La Rivelazione di Dio all’uomo  –  di Carla D’Agostino Ungaretti

di Carla D’Agostino Ungaretti

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zzntvtAncora una volta abbiamo la grazia di vivere il S. Natale, vertice della Rivelazione di Dio all’uomo. Il Messale Romano della IV Domenica di Avvento dell’anno B ci ha proposto l’annuncio alla Vergine Maria di un evento inaudito e inimmaginabile, che non aveva mai formato oggetto di ispirazione per alcun fondatore di religioni e che sarebbe rimasto unico nella storia del mondo. Nientemeno che l’incarnazione di Dio che, con un atto di amore infinito verso le sue creature, decide di svuotarsi della Sua natura divina, come dice S. Paolo usando un’espressione forte e, direi quasi, materiale.( Fil 2, 7 ss) per condividerne gioie, dolori, sofferenze e finanche la morte coronata, però, da un’altrettanto inaudito e inimmaginabile evento: la Resurrezione. Da questo evento sarebbe scaturita la signoria eterna del Cristo su tutta la realtà umana, non una signoria territoriale, geografica o dinastica, come aveva predetto al Re Davide il profeta Natan (2 Sam, 7), ma una signoria salvifica che avrebbe riscattato l’uomo dalle conseguenze del peccato originale.

Ho fatto questa premessa per rammentare l’unicità del Cristianesimo a coloro (e ne conosco molti, purtroppo anche sacerdoti) i quali, pur professandosi cristiani, si lasciano pervadere da un insipiente qualunquismo, sia intellettuale che spirituale, nei confronti delle altre religioni, sostenendo che “per salvarsi basta credere in qualcuno, sia esso Maometto, o Confucio, o Lao Tze”. Non intendo certo mancare di rispetto verso questi cristiani, né verso i seguaci di altre fedi, né addentrarmi in discussioni teologiche (per le quali non ho i titoli) sostenendo che chi non ha conosciuto Cristo non si salverà – perché so bene che solo a Dio spetta questa decisione – ma, con questa mia riflessione, voglio ribadire con forza l’unicità della Rivelazione ebraico – cristiana che quei nostri fratelli (forse senza loro colpa) dimostrano di  non avere afferrato.

Ma allora, come si è rivelato Dio? Ricordo che la mia antica insegnante di religione (una suora di fede e di cultura sconfinate, che ha lasciato un’impronta indelebile nel mio spirito) al tempo del mio altrettanto antico liceo classico spiegava a noi allievi che il desiderio di conoscere fa parte della stessa natura umana, come aveva già scritto Aristotele all’inizio della sua Metafisica: Tutti gli uomini, in virtù della loro natura, hanno il desiderio di conoscere. Ma, chiosava la professoressa, quando questo desiderio di conoscenza si concretizza in una ricerca che ha per oggetto Dio, allora ci troviamo di fronte a una questione che per alcuni è un problema, mentre per altri è un mistero.

La mia insegnante spiegava che entrambe le scelte sono legittime, perché Dio non è una questione che si prospetta all’uomo in modo che egli possa risolverla senza un forte coinvolgimento personale. Infatti ci si accorge che non si può rimanere indifferenti quando veniamo coinvolti in una discussione al riguardo o quando sentiamo, nel nostro intimo, di trovarci di fronte all’Assoluto che in qualche modo ci si rivela, ossia ci fa sospettare che, al di là dei nostri miseri e limitati sensi, esista anche un mondo sconfinato, quello dello Spirito.

Molti anni dopo, quando frequentai il corso di teologia per laici, presso l’Università Lateranense, mi accostai alla teologia dogmatica o fondamentale, come si usa oggi chiamare questa materia – base degli studi teologici, alla quale il professore attribuiva la stessa importanza di base che ha lo studio dell’anatomia umana normale nelle facoltà di medicina. “Si è mai visto un medico che non sappia come è fatto il corpo umano?”, diceva “e così non si può studiare teologia senza conoscere preliminarmente il contenuto del dogma cristiano”.  Con lui imparai che nel linguaggio teologico usato dalla Costituzione dogmatica DEI VERBUM, promulgata dal Concilio Vaticano II nel 1965, la Rivelazione esprime l’iniziativa di Dio a farsi conoscere dall’uomo a cui risponde la fede. Volendo rimanere aderente alla tradizione scritturistica ebraico – cristiana, il professore teologo preferiva definire questa “iniziativa” usando il termine mistero, che riteneva più adatto a esprimere l’eterno insondabile progetto di Dio.

Questo termine è di derivazione paolina, ma non fu inventato da Paolo. Infatti, quando l’Apostolo giunse ad Atene, trovò un altare con l’iscrizione: Al Dio ignoto (At 17, 23), il che denotava come i colti e smaliziati Ateniesi suoi contemporanei fossero pienamente consapevoli del “mistero” della divinità e dell’incapacità umana a penetrarlo. Perciò Paolo proclamò: “Quello che voi adorate senza conoscerlo, io ve lo annunzio”. In molti passi del Corpus paolino troviamo il termine “mistero” per indicare l’annunzio che svela il volto di Dio, “mistero taciuto per secoli eterni, ma rivelato ora e annunziato mediante le scritture profetiche per ordine dell’eterno Dio a tutte le genti”, come proclama l’Apostolo nella dossologia finale della lettera ai Romani (16, 25 – 27).

Il termine greco “mysterion” suggerisce la pura gratuità dell’atto con il quale Dio si fa percepire dall’uomo: esso è un atto sovrano e amoroso con il quale Egli intende comunicare non qualche verità sul mondo o sulla storia, ma Se stesso e la Sua luce in una sorta di libera e completa “auto-consegna” o “auto-comunicazione “, in vista di una comunione di vita con l’umanità. Pertanto, essendo un dono gratuito e in quanto tale amoroso, esso dà senso al mondo ed è finalizzato alla salvezza dell’uomo. Questo dono non ha altro fine che il bene dell’uomo stesso, oggetto di tanto amore; esso è amore a tal punto da rimanere tale anche quando l’uomo, nella sua libertà, lo rifiuta; anzi, esso è un dono che non viene mai ritirato da Dio, ma rimane sempre a disposizione dell’uomo che voglia convertirsi.

Con la Rivelazione il mistero nascosto di Dio si fa conoscere al di là di quanto l’esperienza umana potrebbe intendere a partire dall’esperienza di sé e del mondo, e proprio a causa di questo carattere di libera, amorosa e incondizionata proposta, Dio richiede un’altrettanto libera, amorosa e incondizionata adesione da parte dell’uomo, perché Egli non tratta la sua creatura più riuscita come un essere soltanto sottomesso (come vuole l’Islamismo) ma ne riconosce la dignità di essere dotato di ragione e di capacità di decisione e di scelta. Se l’uomo accetta questo immenso dono,  allora il riconoscimento che egli fa di Dio diventa un atto pieno a sua volta di gratitudine, un SI’ che, concretizzandosi in un’autentica esperienza di fede, non può che coinvolgere totalmente la vita umana. Ma può essere anche un NO quello che l’uomo oppone al dono di Dio, senza che per questo cessi il flusso di amore che da Lui promana verso l’umanità.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica riconosce che l’uomo può avere cognizione di Dio per mezzo della ragione naturale (n. 50), ma solo allo stato di “potentia”. Perché l’uomo possa abbandonarsi a Lui rispondendogli, conoscendolo ed amandolo in maniera “oboedentialis”, occorre la chiamata di Dio cioè la Sua grazia e la Sua Rivelazione. In proposito è chiarissima l’argomentazione di Paolo nella lettera ai Romani (1, 21): fin dalla creazione gli uomini hanno potuto avere percezione di Dio attraverso le opere di Lui che potevano essere conosciute, ma dopo la Sua Rivelazione come un Dio unico e personale, non hanno più scusanti se non lo adorano e non lo pregano come Egli merita.

Il mistero della Rivelazione è perciò una storia di salvezza. Nell’Antico Testamento il Dio che salva si serve a volte di uomini e di donne quali strumenti (Mosè, i Giudici, Giuditta, Sansone, Davide). A partire dall’esperienza della liberazione dalla schiavitù d’Egitto, l’idea di salvezza si sviluppa nel corso degli eventi biblici e il popolo vede rinnovarsi l’appello alla liberazione lungo il corso della sua storia. Nell’Antico Testamento, Dio si “compromette” con l’uomo, cammina con lui, lo rimprovera e lo loda, si adira e si placa, a volte combatte con lui contro i nemici, in una continua graduale incarnazione della Sua parola e in un antropomorfismo finalizzato a favorire la sua percezione da parte dell’uomo – sempre nell’assoluta libertà dell’uomo stesso di accettarlo o di rifiutarlo – e nella costante tensione verso la pienezza della Rivelazione che si verificherà con l’avvento del Cristo, previsto dai Profeti.

Dio sceglie da una grande moltitudine un uomo o un gruppo di uomini per un motivo o uno scopo che Lui solo stabilisce, attribuendo al prescelto la responsabilità di essere  luce e aiuto anche per gli altri uomini. Nell’Antico Testamento, oltre Noè, sono chiamati Abramo e la sua discendenza, liberata con Mosè dalla schiavitù dell’Egitto; nel Nuovo Testamento, l’impegno preso da Dio con la sua alleanza è esteso anche ai Gentili, cioè ai non Ebrei, “perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede” (Gal. 3, 14). Ogni tanto, poi, Dio apre un nuovo capitolo di storia promettendo, ad esempio, la venuta del Redentore dopo l’irruzione del peccato nel mondo, il dono della terra al suo popolo, il dono di un figlio ad Abramo e così via. La fede in Dio è fiducia nella sua fedeltà.

Ma Dio chiede anche che la sua rivelazione condizioni l’intera vita dell’uomo, Egli chiede una disponibilità costante del cuore e del comportamento che non può essere sostituita da nessuna manifestazione esteriore di culto. Esempio eterno di ubbidienza incondizionata è Abramo che, accettando con fede l’incomprensibile volontà di Dio, ottenne che la sua spes contra spem gli venisse  “accreditata come giustizia” (Gal. 3, 4). 

Il Catechismo della Chiesa Cattolica dà grande importanza all’alleanza di Dio con Noè (nn. 56 e ss.). Questa grande figura è piena di riferimenti  sia all’Antico che al Nuovo Testamento e attraverso questa alleanza, concepita come universale, la Rivelazione di Dio non si limita più a un solo uomo o a una sola nazione ma si allarga a tutti i popoli della terra. Noè è anzitutto simbolo di consolazione e incoraggiamento per l’intera umanità come archetipo di “uomo giusto” che, non lasciandosi contagiare dal peccato e dal male che lo circondavano, poté usufruire della salvezza rimanendo fedele alla parola di Dio e determinando la definitiva riconciliazione di Lui con l’umanità. L’universalità di questa alleanza rimarrà nella storia come il segno della paziente misericordia di Dio nei confronti del popolo. Nella prospettiva neotestamentaria la figura di Noè rappresenta il coraggio della testimonianza e la coerenza della fede, oltre a rivelare un ulteriore aspetto saliente della Rivelazione: il peccato non potrà mai avere il sopravvento sull’amore di Dio, perché nella morte di Cristo sulla croce ogni uomo viene salvato dal diluvio della morte e dell’autodistruzione, rinascendo a nuova vita attraverso il Battesimo.

La più antica percezione che un Dio gli si stava rivelando si ebbe per Israele con il convincimento di essere stato scelto e salvato con un evento storico prodigioso: la liberazione dalla schiavitù d’Egitto. In epoca post – esilica, dopo l’amara esperienza della deportazione in Babilonia, maturò la convinzione che, nonostante tutto, Dio è un “Dio con noi” ed è fedele perché non è solo liberatore, ma è anche creatore e tutto ciò che esiste è sotto il suo dominio perché è suo. I salmi, altissima opera di poesia, sono un inno di costante gratitudine alla meravigliosa opera del Dio Creatore: “Se guardo il cielo opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?” (Sal. 8, 4 – 5); “I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia”  (Sal. 19, 2 – 3); “Del Signore è la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti.  E’  lui che l’ha fondata sui mari e sui fiumi l’ha stabilita …” (Sal. 24, 1 – 2)

Tutta la Sacra Scrittura, nell’economia della salvezza, è orientata verso un futuro in cui “il lupo dimorerà insieme con l’agnello” e “il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi”(Is. 11, 6 – 8). La pienezza del tempo soteriologico di cui parla S. Paolo si è verificato con l’avvento del Cristo, attraverso il quale Dio si rivela in maniera definitiva (“Chi ha visto me ha visto il Padre”, Gv. 14, 8) facendo sì che l’uomo lo incontri attraverso i mezzi di cui egli dispone e cioè attraverso il Verbo, fattosi uomo come lui, perché “nato da donna” (Gal. 4, 4). Perciò la Costituzione Conciliare DEI VERBUM ha affermato con forza l’unità e la reciprocità dei due Testamenti.

Al vertice della storia della Rivelazione sta, pertanto, la figura di Gesù Cristo, sulla base della testimonianza del Vangelo secondo Giovanni, che parla di lui come del Verbo di Dio (1, 1 – 18), e della Lettera agli Ebrei che, dopo aver affermato la  rivelazione di Dio per mezzo del Figlio, definisce quest’ultimo “irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza” (1, 2). Essenziale per questa conclusiva dinamica della Rivelazione è l’interpretazione che Gesù ha dato di se stesso (“prima che Abramo fosse, IO SONO”, Gv. 8, 58) e, in continuità con essa, l’interpretazione che alla luce dello Spirito Santo la Chiesa degli apostoli ha colto e annunciato di Lui dopo la sua resurrezione.  Se si accetta la Rivelazione alla luce di quell’amore che ne è il principio informativo, diventa allora facile per l’uomo porsi alla sequela di Cristo, accogliendo in sé la sua legge nella consapevolezza che si tratta solo ed esclusivamente di una legge di amore che non lo umilia in nulla ma lo realizza in tutto, rivolgendosi al Padre in quell’atto di piena fiducia e abbandono (“…fiat voluntas tua…”) cosciente e certo che la volontà di Dio si realizzerà sempre e solo alla luce dell’amore.

Il n. 66 del Catechismo proclama che con l’avvento del Cristo la Rivelazione si è compiuta e non dobbiamo aspettarne altre che aumentino le verità in essa contenute, prima della manifestazione gloriosa del Signore. Quelle che nel linguaggio della Chiesa sono chiamate “rivelazioni private” non aggiungono nulla alla Rivelazione che si è compiuta in Cristo, ma possono aiutare a intenderla e custodirla meglio.

Tuttavia, “… molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future” (Gv. 16, 12 – 13). Queste parole di Gesù ci prospettano un progresso continuo e dinamico nella comprensione di Dio, che si concluderà soltanto con il ritorno glorioso del Signore e il disvelamento della Verità tutta intera.

Ancora una volta spero che la mia riflessione di cattolica “bambina” – che deve la sua visione del mondo, totalmente cristiana, agli eccezionali insegnanti che in epoca lontana ha avuto la fortuna di incontrare  e che sono stati capaci di favorire in lei l’azione della Grazia – possa, a sua volta, aiutare la riflessione di chi cerca Dio con cuore sincero, non immaginando neppure quanto  Lo abbia vicino, soprattutto in questi giorni che ci ricordano il vertice della Rivelazione.

3 commenti su “La Rivelazione di Dio all’uomo  –  di Carla D’Agostino Ungaretti”

  1. Grazie. Grazie Signora Carla, cattolica “bambina”, per questo bellissimo, puro articolo.
    Con affetto Auguri di Buon Natale.
    Massimo Sisi

  2. Quanto imparo da lei, cara Carla!!! E, ne sono certissima, non sono solo io a trarre così tanti vantaggi spirituali e
    dottrinali dai suoi scritti!!!
    E ora mi contraddico: fa benissimo a definirsi cattolica “bambina” a motivo della purezza dei suoi sentimenti per
    Dio, Gesù e la Chiesa, e cioè per la Verità!!!!
    Dio la benedica e la ricompensi!!!

  3. Grazie! Bellissimo articolo.
    La storia bimillenaria del cristianesimo, il vangelo stesso, Gesù ha rivelato che la vera sapienza è “donata” dal PADRE, in preferenza, ai “piccoli”.
    Se pensiamo a quello che i nostri politici “adulti” hanno in animo di proporre, si rende urgente dimostrare il valore SOCIALE dei principi cattolici, proprio perchè universali.
    L’attualità dei nostri “affanni” è una prima conseguenza del “disordine” istituzionalizzato: mi riferisco all’aborto, al divorzio, presto anche all’eutanasia….
    Purtroppo sembra che il “fondo” non l’abbiamo ancora toccato.
    Preghiamo e confidiamo nell’aiuto di Nostro Signore.
    Buon Natale nella pace di Gesù

    Vincenzo

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