“266. Jorge Mario Bergoglio”, di Aldo Maria Valli – recensione di Cesaremaria Glori

di Cesaremaria Glori 

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266. Jorge Mario Bergoglio. Questo è il titolo che Aldo Maria Valli ha dato al suo libro su Papa Bergoglio. Questo piccolo ma ben meditato e, di conseguenza, approfondito libro rappresenta un’analisi abbastanza completa ed esauriente del pontificato di Papa Francesco tra quelle sinora pubblicate.

Il libro si apre con la domanda che s’era posta l’estensore dell’articolo apparso nel settembre 2015 sul settimanale statunitense Newsweek, certamente un periodico non proprio tenero con la Chiesa Cattolica. La domanda era provocatoria ed era sollecitata dalla discontinuità che Papa Francesco ha impresso alla Chiesa retrograda pre-Bergoglio sollevando parecchie divisioni al suo interno. Da una parte si sono schierati la gran massa dei Media occidentali e l’ala progressista della  Chiesa di Roma e dall’altra l’ala variegata dei conservatori. La domanda che si faceva Newsweek era in realtà la stessa che era emersa dal quindicinale americano The Remnant, espressione di gruppi cattolici tradizionalisti che rimproverano a Papa Francesco di proclamare le proprie idee invece di centrare l’insegnamento della Chiesa sulla parola di Dio. Bersaglio di questo quindicinale era soprattutto quel suo “manifesto personale” rappresentato dalla Evangelii Gaudium e  da certi gesti e certe precise affermazioni contenute nelle sue risposte fatte a braccio ai giornalisti. Ma le critiche non arrivano soltanto da destra, poiché anche gli ambienti più progressisti, che tanto avevano sperato in lui, incominciano ad entrare in fibrillazione.

Valli analizza poi la dottrina di Kasper da tutti riconosciuto come l’ispiratore principale della linea teologica e pastorale di papa Francesco. Per Kasper il dono principale di Dio è la Misericordia, dono che non ha un’aria di superiorità che opprime o forza la libertà, ma che dà la libertà. Secondo Kasper non c’è contrapposizione tra giustizia e misericordia. Un mondo che è solo giustizia può essere molto freddo. La giustizia  è invece il presupposto della misericordia. Coerentemente Papa Bergoglio propone la figura di riferimento del samaritano, cui si oppone quella del dottore della legge, il fondamentalista. L’ispirazione samaritana dovrebbe, per Papa Francesco, ispirare l’intera azione della Chiesa, la quale deve assomigliare ad un ospedale da campo dove si curano le ferite più profonde e mortali dell’umanità contemporanea. Ferite che riguardano però soprattutto l’aspetto sociale e umanitario e non quello della eterna salvezza, per la quale, appunto,  Dio si è incarnato. La proposta di Papa Francesco di privilegiare la dimensione pastorale a scapito di quella dottrinale  si scontra non tanto con la tradizione quanto con la logica; la pastorale, infatti, svincolata da un solido aggancio dottrinario rischia di diventare semplice consolazione di stampo sentimentale.  Rivelatrice, in proposito, è l’idea di papa Francesco circa l’atteggiamento materno della Chiesa. Nella sua visione, se il padre educa giudicando, la madre lo fa abbracciando e la Chiesa, egli lo ha detto più volte, è una madre  che educa con la tenerezza e non con la forza della legge. Oggi, infatti, l’Occidente vive in una cultura che fa i conti con lo sbandamento morale anche per aver messo ai margini la figura paterna, fonte di giudizio e di indirizzo etico.

La propensione alla misericordia di Bergoglio, secondo il giornalista argentino Luis Badilla, troverebbe il suo humus nella mentalità della sua famiglia, emigrata dall’Italia; una famiglia che ha sperimentato sulla sua pelle, tramandandosene il ricordo, la durezza dell’esperienza dell’emigrante in una terra straniera e lontana. Questa eco troverà poi il suo rafforzamento in quella  Teologia del Pueblo teorizzata dal teologo argentino Juan Carlos Scannone, gesuita come Papa Francesco e suo amico. Una teologia che tiene conto del personale e del soggettivo e che trova il suo riferimento nella Gaudium et spes, a sua volta radice ed ispirazione della Evangelii gaudium. Ispirazione che fu al centro della Conferenza latino-americana di Medellin (1968) e che fu applicata sino alla Conferenza di Aparecida (2007).  Una teologia che nel pensiero progressista sfocia nella Nuova Chiesa della Libertà (NCL), nella quale c’è un solo dogma: ognuno è libero di fare come gli pare; la gente sente il papa parlare di misericordia e pensa che tutto sia lecito, che tutto sia dovuto. Da qui ad arrivare al chi sono io per giudicare il passo è breve. Papa Francesco lo dice nell’ intervista a La Civiltà cattolica ove afferma che l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile, una delle sue dichiarazioni più problematiche. La decisione individuale, se presa in coscienza, è sempre buona o almeno ha sempre valore, per cui nessuno la può giudicare da fuori in base ad una norma universale. Non siamo in pieno relativismo? Lungo questa strada, scrive Valli, è facile approdare all’idea secondo cui la sincerità e la spontaneità cancellano la natura del peccato. E’ veramente misericordioso rispettare questa libertà? O non sarebbe misericordia ricordare al peccatore il suo allontanamento dalla Verità e aiutarlo a fare chiarezza dentro di sé secondo la legge data da Gesù? Tacere quest’obbligo significa rendere irrilevante la legge divina. Quando Papa Francesco sostiene che ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere fra essi secondo la sua coscienza, non fa una dichiarazione aperta di relativismo?

Con questi presupposti saltano il senso di responsabilità, il Purgatorio e, di conseguenza, le indulgenze. Forse è stato anche per questo motivo che l’affluenza ai vari santuari e alle Chiese diocesane nell’ultimo Giubileo della Misericordia è stata così scarsa e poco sentita.  Dati  questi presupposti salta anche il concetto dei Principi non negoziabili. Se è la coscienza a discernere quale è il Bene e quale è il Male, essendo essa il metro di giudizio, che senso ha parlare di principi non negoziabili?  Anche in questo caso si può parlare di una certa liquidità del pensiero papale. Se anche la Chiesa aderisce al soggettivismo, la questione della verità non è più di pertinenza della ragione umana ma  resta un sogno, un’illusione perduta, il lontano retaggio di un passato morto e sepolto.

Col terzo capitolo del suo libro Valli affronta un tema assai attuale e lo fa con il titolo In amore niente regole, spiegandone subito il significato: per la Chiesa di Papa Francesco, dopo Amoris Laetitia, il popolare adagio va modificato come segue: sull’amore non ci sono regole generali, ma si può procedere solo caso per caso, ovvero con un discernimento personale e pastorale dei casi particolari. Chi ha la guida non può procedere con l’occhio fisso sul codice di diritto canonico. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. I casi potranno essere i più vari e disparati ma la Chiesa, comunque, affermi pur sempre che non è rispettato l’ideale che il Vangelo propone per il matrimonio e la famiglia. Viene quindi ammessa l’esistenza di un vulnus all’ideale cristiano di famiglia, ma ciò non impedisce di beneficiare del sacramento dell’Eucarestia, previo, per l’appunto, il discernimento personale e pastorale e, così, con questa soluzione di compromesso si dà un bell’addio all’indissolubilità del Matrimonio cristiano, anche se esso resta come un’ideale  di perfezione grata a Dio. Un ideale che, come ogni ideale, resta destinato ad essere un traguardo per una minoranza, mentre la maggioranza avrà la licenza di scostarsi dall’ideale. Un dato è certo: tra Amoris Laetitia  Familiaris Consortio s’è venuta a creare una netta frattura,in quanto A. L. sembra configurare una violenza alla misericordia di Dio, una forzatura interpretativa del principio dell’Indissolubilità del matrimonio cristiano affermato in tutta chiarezza da Familiaris Consortio  e non un suo sviluppo come sostiene Kasper. Il cardinale Schoenborn, al riguardo, cerca di aggirare l’ostacolo dell’indissolubilità rimarcando la via caritatis che si estrinseca nel discernimento e nell’accompagnamento e non nel giudizio rigoristico. Papa Francesco, secondo Schoenborn, confida nella “gioia dell’amore”, l’amore che sa trovare la via come una bussola che scopre una via di fuga. Ma questa non è una spiegazione, poiché si occupa del come ma lascia senza risposta il perché deve essere così. Il richiamo all’amore è una nota stonata. Quale amore, quale via e per arrivare dove? In ogni caso la norma divina viene aggirata e resta accantonata la Verità  e come ha sostenuto il cardinale Caffarra il metodo di Papa Francesco elude il problema della salvezza dell’anima limitandosi al benessere della persona e da una spiritualità centrata sui diritti di Dio e i doveri dell’uomo si è passati ad una spiritualità centrata sui doveri di Dio e sui diritti dell’uomo. Ma è proprio vero che sia per il benessere dell’uomo, per la famiglia? Non ci si accorge che la famiglia è in crisi in tutto il mondo? Non ci si accorge che il calo della natalità fa paura in Europa, che padri e madri sono costretti a lavorare entrambi trascurando l’educazione dei bambini e ciò accade perché non si è guardato alla Verità della questione principale: famiglia e matrimonio sono un tutt’uno e non possono essere scissi. Rompendo l’unità familiare si scardina la famiglia e per correre dietro ai transfughi che hanno tentato di ricostituire un suo simulacro se ne è distrutta la  sua sacralità e il principio fondante che è nella parola di Dio. Si è privilegiata la volontà dell’uomo a scapito dei diritti di Dio.

Nei successivi capitoli Valli affronta altre tematiche dell’attività del pontificato di papa Francesco: la sinodalità, l’accoglimento dei migranti, il proselitismo, il dialogo fra le religioni, l’Islam, la riforma della Curia, la realpolitik vaticana, la politically correcteness etc. Cominciamo dalla sinodalità che è un’eredità del Concilio Vaticano II. Non c’è dubbio che il CVII ha voluto riprendere il tema del Conciliarismo, già affrontato dal Concilio di Costanza e mai approvato dalla Chiesa di Roma, per riproporlo come sinodalità, cioè come un compromesso fra la supremazia del concilio e il principio dell’autorità papale. Una questione delicata e di difficile soluzione e che si è cercato di affrontare con il coinvolgere i vescovi nella pastoralità, cioè nell’aggiornare la Chiesa nei linguaggi e nel modo di proporre il Vangelo. Papa Francesco, rifiutando il sistema piramidale e gerarchico a favore di quello assembleare, ha parlato anche di un salutare decentramento; decentramento che era già in cammino col dare maggiore rilievo alle conferenze episcopali e che, con lui, aveva avuto un immediato segnale col definirsi non pontefice bensì vescovo di Roma e con il costituire il sinodo dei vescovi e, a seguire, con la costituzione di varie commissioni aventi il compito di rinnovare la Curia. L’accelerazione su questo campo c’è stata ma il cammino non è certo facile e i risultati incerti sinora raggiunti starebbero a dimostrarlo.

Quanto all’accoglienza dei migranti Papa Francesco si è esposto più d’ogni altra autorità a livello mondiale per una sua applicazione  generalizzata e senza impedimenti. I suoi proclami a Lampedusa e a Lesbo ne hanno fatto un campione dell’accoglimento indiscriminato. Questa sua propensione si accompagna a quella verso l’Islam che egli continua a sostenere essere una religione di pace contro ogni evidenza e contro la storia. Una storia ultramillennaria che dovrebbe rammentare che, dalla seconda metà del secolo settimo ad oggi, l’Islam è sempre stato un movimento di massa volto alla conquista armata. Una conquista armata che è sancita nel suo testo costitutivo, il Corano. Papa Francesco privilegia il concetto che tutte le religioni siano pacifiche e che conducano al Dio unico. Su questo punto la differenza con il predecessore, che aveva tentato a Ratisbona di intavolare con l’Islam un dialogo costruttivo basato sul rapporto fra fede e violenza e tra fede e ragione, è netta. Papa Francesco ha puntato tutto sul dialogo, sulla collaborazione, con iniziative dal chiaro sapore sincretista che creano confusione, perché si è accantonata la questione della Verità. Confusione che sembra emergere ancora più chiaramente dal concetto che il papa si è fatto del Proselitismo e che egli contrappone a quello di missione, quasi che il termine proselitismo contenesse una connotazione negativa, di aggressività nei confronti dei credenti di altre fedi. Questa confusione rischia di indurre alla passività e all’ inerzia evangelizzatrice che è in antitesi completa con quell’invito a spronare la Chiesa ad uscire, ad andare dovunque e di accettare la sfida del confronto. Una Chiesa in uscita non può non parlare del Vangelo col richiamarlo concretamente mediante le opere di missione. Certi slogan sembrano fatti apposta per gettare confusione.

Confusione che è ancora più evidente quando papa Francesco parla di e su l’Islam. Anche l’Islam adorerebbe il nostro Dio  che è un Dio unico e misericordioso. Unico sì, ma anche trino per i cristiani e qui l’eguaglianza va a pezzi come convengono gli stessi mussulmani, per i quali Dio è inaccessibile, mentre per i cristiani è tanto accessibile che si è fatto cibo per l’uomo. Come spiega l’intervistato Padre Samir, la misericordia dell’Islam è come quella del ricco che concede qualcosa benevolmente al povero, mentre la misericordia di Gesù è quella di Dio che si fa povero e che dona tutto Sé stesso. Papa Francesco, inoltre, sostiene che nel Corano Gesù e Maria siano oggetto di profonda venerazione. Se si può parlare di venerazione per Maria che, effettivamente, è venerata specialmente dalle donne mussulmane che vanno in pellegrinaggio nei luoghi mariani, non si può dire altrettanto per Gesù che non è affatto venerato e che è considerato un grande profeta, peraltro inferiore a Maometto che è invece venerato in modo conclamato. Il Corano cita Gesù perché pretende di farne completare la rivelazione da Maometto che, pertanto, gli risulta superiore. Leggendo il Corano ci si rende conto che Gesù e Maria non fanno altro che applicare le preghiere e il digiuno secondo quanto scritto in quel testo. Maria è certamente la figura più bella tra tutte quelle presentate nel testo sacro mussulmano: è la Madre Vergine, che nessun uomo ha mai toccato, ma non può essere la Theotocos, la madre di Dio, anzi è una buona mussulmana. Quanto alla solidarietà islamica verso i poveri, padre Samir fa notare che, mentre il cristiano è chiamato ad aiutare tutti, quella dei mussulmani è rivolta per lo più alla stessa comunità islamica.

Il Papa sostiene poi che i fondamentalismi sono da entrambe le parti ma Padre Samir obietta che i fondamentalisti cristiani non portano le armi, mentre quello mussulmano è un fondamentalismo armato e guerriero. Maometto stesso nella sua vita ha fatto più di 60 guerre e nel Corano incita più volte alla guerra jhadica, alla violenza per diffondere l’Islam. La violenza è nel Corano, come in esso è l’idea di conquista. In Oriente, dice Padre Samir, si comprende molto bene che il terrorismo islamico è motivato religiosamente con citazioni, preghiere e Fatwa da parte di imam che spingono alla violenza ed è sufficiente che un imam si creda un muftì, un’autorità nazionale, che può emettere giudizi ispirati al Corano fino ad ordinare di uccidere. L’Islam ha un problema con la violenza di matrice religiosa come aveva segnalato Benedetto XVI a Ratisbona nel 2006. Negarlo significa prima di tutto non aiutare l’Islam a fare i conti con se stesso.

Papa Francesco cerca sovente di scaricare la colpa unicamente sui trafficanti d’armi, ma i terroristi hanno dimostrato che si può uccidere fabbricando esplosivi fatti in casa e che si può fare stragi usando impropriamente un comune automezzo o anche la propria persona. In tutte queste azioni è la volontà della persona che conta, non il mezzo usato.

L’altra questione affrontata da Valli è la riforma della Curia, alla quale papa Francesco ha attribuito tutti i mali che l’affliggono: carrierismo, arrivismo, servilismo, maldicenza, finta affettazione, durezza di cuore. Le riforme iniziate non sono andate molto avanti e sembrano fare la fine di ogni altra riforma avviata nel passato: l’insabbiamento o le sabbie mobili dell’attendismo. L’analisi che ne fa l’autore è riassuntiva ma egualmente esplicativa delle difficoltà che l’opera riformatrice sta incontrando.

Altri aspetti sono stati presi in considerazione nell’agile testo di Valli come la realpolitik nei confronti dei paesi islamici; la questione degli abusi sui minori che vedono implicati molti religiosi e che sembra allargarsi sempre di più coinvolgendo persone insospettabili anche all’interno dei sacri palazzi; i rapporti con gli ortodossi e in modo particolare con il patriarca russo Kirill soggetti a notevoli implicazioni di natura politica con il regime di Putin; i rapporti con il governo statunitense di Trump improntati ad una vicendevole  astiosa polemica.

Un capitolo a parte è dedicato dall’autore ai rapporti con i media  e con la gente che piace, molto spesso per piacere a loro ed essere contraccambiato. Questo aspetto è stato trattato per prendere in considerazione la popolarità di papa Francesco nei vari paesi del mondo. Ne emerge un quadro molto composito. A picchi elevati di carattere positivo si oppongono livelli molto bassi di accoglimento come in Tunisia, Turchia ed Algeria. Valli sostiene che nel papa c’è la consapevolezza  che in certi casi ci si può montare la testa e cioè che una grande popolarità può anche spingerti a dire e fare, consapevolmente o meno, ciò che il mondo vuole. Questa ricerca della popolarità può pagare un prezzo alto soprattutto sul piano dottrinale e ciò è pericoloso, come confessa un prete romano intervistato dall’autore. Il pericolo è che la barca di Pietro, senza un nocchiero dottrinalmente avveduto, rischia facilmente di incagliarsi o, peggio, di finire sugli scogli della modernità. E nel momento in cui un papa, come nel caso di Francesco, piace tanto a coloro che non hanno mai nascosto la loro lontananza e ostilità dalla Chiesa, non è legittimo interrogarsi su ciò che il successore di Pietro va predicando?

Altri aspetti esaminati della multiforme attività del papa sono la lavanda dei piedi del Giovedì Santo che  mediaticamente ha preso un  netto sopravvento sulla celebrazione eucaristica sollevando le perplessità del cardinale Sarah, il quale si è sentito in dovere di precisare che, in base alle nuove norme, non c’è alcun obbligo di lavare i piedi anche alle donne, visto che il decreto, emanato dallo stesso pontefice, prevede che “si può” e non che “si deve”.  Questo è un caso emblematico che, a dispetto della proclamata sinodalità delle decisioni, vede il Papa prendere una risoluzione in prima persona e, nonostante i pareri contrari, la impone. Un teologo interpellato ammette che con la Missa in Coena Domini la Chiesa ricorda l’istituzione dell’Eucaristia e dell’ordine sacro, cioè due momenti rappresentanti il cuore del mistero cristiano che vengono messi un po’ nell’ombra a favore di un gesto di misericordia mediaticamente appetitoso.

Un altro aspetto trattato è quello della tendenza ecologista di Papa Francesco  che ha dato l’impressione che la Chiesa stia rischiando di restare imbrigliata nel mainstream, nel flusso del pensiero più scontato ed indiviso. Un pensiero che ha sollevato le rimostranze abbastanza risentite dello scienziato Franco Battaglia che, letta l’enciclica Laudato Sì, ha preso carta e penna e  si è rivolto direttamente a Papa Francesco per manifestare il suo meditato dissenso e rimproverargli la superficialità e l’inconsistenza scientifica dei suoi argomenti.

Valli prende poi in considerazione in modo agile ma esauriente altri aspetti del pensiero e dell’attività papale come la sua adesione alla teologia del Pueblo e il conseguente suo populismo, all’influenza nazionalpopolare di Juan Domingo Peron, per il quale il giovane Bergoglio ebbe una infatuazione politica agli inizi degli anni Cinquanta e che sembra ancora aleggiare come un fantasma nella sua mente.

Non mancano poi i riferimenti a certe aperture verso personaggi politici italiani esaltati a prescindere dalle loro idee e dai loro precedenti non certamente in linea con la dottrina cristiana.

Il libro , seppur nelle sue modeste dimensioni, getta uno sguardo abbastanza ampio sul pensiero e sull’azione di papa Francesco. E’ un libro coinvolgente che fa pensare e meditare. Un libro da non perdere.

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Aldo Maria Valli: 266 – Jorge Mario Bergoglio Franciscus P.P. – Liberilibri – quarta ristampa 2017

11 commenti su ““266. Jorge Mario Bergoglio”, di Aldo Maria Valli – recensione di Cesaremaria Glori”

  1. “Quando Papa Francesco sostiene che ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere fra essi secondo la sua coscienza, non fa una dichiarazione aperta di relativismo?” Certamente, dico io. Anche Hitler e Stalin (tra l’altro cristiani battezzati nelle loro rispettive confessioni) avevano una loro idea del Bene e del Male ed hanno effettuato delle scelte che sicuramente per loro erano il Bene dei loro popoli. Allora, come la mettiamo? Si troveranno in Paradiso accanto ai milioni di morti da loro ammazzati? E con gli attentatori jihadisti cosa diciamo? Anche loro sono convinti, secondo coscienza, di operare il Bene! E perché li condanna ogni volta che entrano in azione?

    1. è il numero d’ordine (cronologico) dell’attuale pontefice, secondo la successione apostolica, così come il 21 è il numero ‘ordine del C.V.II nella serie dei Concili Ecumenici. Personalmente, io mi fermo al papa n. 260 (Pio XII) e al Concilio n. 20 (il C. V. I), il resto è troppo inquinato dal fumo di satana, come riconobbe anche papa Paolo VI. Su un altro numero dovremmo riflettere (riportato da antonio Socci, che di numerologia se ne intende, specialmente in ambito di apparizioni della Madonna) : il 666, il numero del diavolo. Ebbene, Socci ci ha mostrato che, sostituendo alle lettere che formano la parola BERGOGLIO (maiuscola) i corrispondenti valori nella scala ASCII e sommando il tutto si ottiene, appunto, il famigerato 666, e ci ha ricordato il passo dell’Apocalisse (13, 18) dove si parla del falso profeta, riconoscibile appunto da questo numero.

  2. Per Kasper, el grande teologo di Bergoglio, il suo riferimento, il dono principale di Dio è la misericordia. E qui siamo di fronte ad una affermazione che è una pura cretinata teologica. Il dono di Dio all’uomo è Dio stesso, e in Dio non c’è ‘principale’ o ‘secondario’: “Egli è l’ Essere Semplicissimo ( Catechismo della Dottrina- sì, DOTTRINA, Bergoglio mio, anche se la parola non ti piace, e si vede come sei messo…. – Dottrina della Chiesa Cattolica ).
    Quindi , tra Misericordia e Giustizia non c’ è contrapposizione alcuna, per il semplice fatto che non essendoci elementi separati in Dio, in Dio non c’è nulla da contrapporre a nulla. In Dio la Giustizia é Dio , come la Misericordia é Dio, quindi l’una e l’altra sono la natura stessa di Dio indivisa: Giustizia e Misericordia si danno a noi insieme. Quando Dio si manifesta a noi come Giustizia, è in forza della sua Misericordia, e quando Misericordioso, è in forza della sua Giustizia. Analogamente in noi, l’ottenere misericordia da Dio è imprescindibile dal fare pace con la sua Giustizia, tramite la nostra…

    1. … conversione a Lui. “ Convertitevi a Lui con tutto il cuore e con tutta l’anima , per fare la giustizia davanti a Lui”. “Convertitevi o peccatori, e operate la giustizia davanti a Lui: chissà che non torni ad amarvi e vi usi misericordia?”.

      Misericordia aenza conversione? Misericordia a prescindere, perché Dio è ‘principaliter’ Misericordia? “No, vi dico, se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”. (Lc 13)

      Kasper e Bertoglio vadano all’inferno, allora, che quello è il luogo della Misericordia con Giustizia ( della giusta giustizia – non quella che equivale al concetto ora imperante di BONISMO, scemo e criminale).

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