DEGENERAZIONE FAMIGLIA Sottotitolo: La ballata del falso poliziotto, ovvero come la volpe vestita da agnello porti acqua al mulino del lupo – di Patrizia Fermani ed Elisabetta Frezza

La iattura del “moderatismo” all’italiana – id est alla democristiana – ha generato un altro mostro; un mostro che, per la sua morfologia esemplare, merita di essere segnalato un po’ come avviso ai naviganti.

Trattasi infatti di un caso di schizofrenia allo stato archetipico, manifestata dal solito coacervo pro life e pro family e capace di tradursi, ancora una volta, in un ottimo servizio al sistema.

L’antefatto è il seguente. La associazione Progetto Marzotto di Vicenza istituisce un concorso letterario per gli alunni delle scuole elementari, medie e superiori (quindi per l’intera gioventù vicentina), intitolato “La famiglia che vorrei” e così presentato:

“Nel tempo il concetto di famiglia tradizionale si è evoluto, vedendo la costituzione di nuove tipologie, tra queste la famiglia di fatto, affidataria o quella formata da genitori omosessuali. In una società dove tutti dovrebbero avere pari dignità e opportunità, esistono ancora persone a cui non viene riconosciuto il diritto alla famiglia, che per le motivazioni più diverse ne sono private.” E ancora, per meglio precisare l’intento della operazione: “Ci piacerebbe cambiare prospettiva, rovesciare il binocolo e fare dell’Italia un puntino brillante nella mappa del mondo, partendo dalla nostra storia, vita, quotidianità, ma senza dimenticare di confrontarci con uno scenario e un approccio più complesso, che tenga conto delle rispettive differenze e della situazione globale. Per un futuro possibile migliore”.

 

 

 Dunque la fondazione Marzotto, forse intendendo dare nuovo lustro a un blasone conquistato grazie alle virtù proprie della modernità, ha ritenuto che nulla potesse essere più redditizio per stare al passo coi tempi di una campagna “culturale” a sostegno del fenomeno omosessista e dei suoi derivati più o meno carnascialeschi.

Così l’illuminismo di Valdagno ha partorito l’idea “educativa” di indire un concorso tra gli alunni per indurli a riconoscere come il concetto di famiglia si sia darwinianamente evoluto in senso “inclusivo”, sì che debba essere esteso ad ogni sua imitazione degenerativa. In altre parole, ai pargoli va suggerito non solo che le famiglie naturalmente evolute devono essere parificate a quelle meno aggiornate, ma anche che alle prime bisogna guardare come a un modello virtuoso.

A questo scopo, secondo un uso scolastico corrente, viene data “la traccia” che i ragazzini inermi seguiranno, sicuri di essere stati messi sulla strada giusta. E potranno scrivere, in quanto suggerito dalla traccia, che anche quella inclusiva di due maschi o due femmine corredata dai prodotti acquistati al mercato degli umanoidi può essere, perché no, “la famiglia che vorrei”.

Ma cosa fa a questo punto l’importante associazione che porta il nome di Generazione famiglia e dietro di lei, a testuggine, tutto il seguito di sigle e siglette (una ventina) che si propongono come poderoso baluardo proprio a difesa della famiglia?

La reazione corale della galassia pro family è a dir poco straordinaria.

Anzitutto, a un’unica voce, Generazione famiglia con la sua nutrita scorta segnala la presenza, nel progetto, di quella che in termini aggiornati si suole definire una “criticità”, anzi due: da un lato si ravvisa “la possibilità che un tema sensibile venga affrontato in chiave ideologica”, dall’altro che ciò avvenga “senza informare preventivamente i genitori”.

Sulla base di questa premessa, Generazione Famiglia e il suo codazzo fondano il proprio giudizio perentorio, che è il seguente: “Con questo non vogliamo dire “no” ad iniziative che seppur condivisibili nelle finalità spesso non lo sono per metodi e contenuti ma vogliamo soprattutto dire “sì“ alla libertà educativa di tutti i cittadini e al pluralismo culturale”. Proviamo a tradurre: l’iniziativa ha una finalità condivisibile (quella, spiegheranno subito dopo, di impegnarsi a contrastare qualsiasi discriminazione, per definizione ingiusta), ma questa finalità è perseguita con metodi e contenuti un po’ meno condivisibili; in ogni caso, condivisibile o no questo o quell’altro, noi non siamo contrari all’iniziativa stessa, perché per principio non ci piacciono i “no”, che sono divisivi e alzano muri. A noi piacciono le condivisioni (anche se non troppo condivisibili) e i ponti, e dunque vogliamo dire solo “sì”. Ecco dunque il nostro sì al pluralismo culturale e a sua sorella la libertà educativa.

I difensori della famiglia in formazione plenaria, cioè, danno per scontato che il concetto di famiglia non sia un a priori di contenuto ideale inconfutabile, ma risulti dalle esperienze contingenti e magari negative (i “vissuti”), capaci di mettere in discussione l’ideale assoluto di famiglia. Così la famiglia viene già presentata come problema, in virtù di “vissuti” vecchi e nuovi. E si capisce come, anche secondo il Difensore della Famiglia, occorra che ad essa venga dato un contenuto nuovo e più ampio, fornito da nuove esperienze.

Tutto ciò non toglie che ci si debba preoccupare di chiedere che le famiglie vecchio stile – se ancora ce ne sono in giro – siano avvertite preventivamente del tema che verrà sottoposto ai propri figli con il concorso. Non perché esso possa confondere le coscienze in via di formazione, no, ma perché possa essere legittimamente esercitato il proprio dissenso, come si addice in un sano orizzonte di pluralismo democratico.

Insomma, per i paladini della famiglia il concorso della fondazione Marzotto non deve essere combattuto in sé e per sé, per la convinzione profonda della sua aberranza, per il sacrosanto amore per la verità e il correlativo coraggio di difenderla contro l’onda anomala della menzogna istituzionalizzata. No. Quello che va salvato è, appunto, il pluralismo democratico.

Appare allora evidente che chi si propone come Difensore della famiglia non solo non crede in ciò che dice di difendere, ma a conti fatti intende servire, pur in apparente contrapposizione, il presunto avversario. Di fronte ad una iniziativa imprenditoriale che dovrebbe apparire a dir poco grottesca a chiunque abbia conservato almeno un uso normale della ragione e un normalissimo senso morale, il nostro strenuo Difensore si barcamena giocando su due tavoli, forse intendendo esorcizzare il pericolo che la parte non ancora adeguatamente “acculturata” del popolo aspiri, nonostante tutto, alla sanità della mente e dei costumi, e magari si ribelli. Sorge il dubbio, in altri termini, che il compunto Difensore della famiglia si sia assunto il compito di assorbire il dissenso e la ripugnanza verso un progetto planetario ritenuto irrinunciabile dal potere.

Insomma, è plausibile che il farsi monopolisti di un valore senza difenderlo serva soprattutto al gioco politico. E, mentre viene messa in scena la dialettica, si crea l’illusione che la buona battaglia venga già combattuta, mentre viene servito a tutti il placebo democratico.

Ecco dunque il patinato Difensore della famiglia battersi come un leone perché i genitori possano decidere in anticipo se far partecipare o meno i propri figli al concorso del progressismo imprenditoriale, senza correre il rischio così di “essere scavalcati su tematiche sensibili e divisive” e vedere compromessa la propria libertà educativa. Come è auspicabile che i genitori possano interloquire sulla iniziazione dei figli minori al paracadutismo prima che essi vengano arruolati precocemente e senza contraddittorio nella Folgore.

Del resto, se qualcuno covasse ancora dei dubbi sulle reali intenzioni del nostro eroico Difensore, egli ribadisce che, nonostante tanti insegnanti siano in grado di assolvere bene il proprio compito educativo perché sensibili alle discriminazioni che ancora penalizzano gli omoerotici, i genitori non debbano in ogni caso essere esclusi dalle procedure..

Come dire che non è importante abolire la sedia elettrica, ma sapere se il meccanismo viene controllato a dovere da tutti gli interessati, e questo basta a rendere la pratica ineccepibile.

Per uscire di metafora, possiamo riconoscere con una certa sicurezza che il tavolo vicentino apparecchiato dai difensori della famiglia fornisce un contributo decisivo alla de-generazione della famiglia.

E poiché il tavolo stesso da un lato ci invita a fidarci solo delle proprie pietanze, mettendoci in guardia dal prendere iniziative personali, dall’altro ci informa, a caratteri cubitali, che È FONDAMENTALE FARE RETE CON GLI ALTRI GENITORI, possiamo ragionevolmente supporre che, per disegno superiore e con il decisivo apporto dei finti antagonisti, nella rete del tavolo dobbiamo rimanere tutti impigliati.

Si ripropone qui la vecchia questione, che ha sempre fornito una suspence particolare anche al giallo più banale, se sia meglio avere a che fare con un malvivente vero oppure con un falso poliziotto. Cioè, bisogna vedere in concreto se fa più danni chi sta scavando apertamente una trappola, oppure chi, indossati i panni del protettore dei viandanti, ve li conduce dentro mentre li mette in guardia sulla pericolosità dei luoghi.

 

 

 

 

6 commenti su “DEGENERAZIONE FAMIGLIA Sottotitolo: La ballata del falso poliziotto, ovvero come la volpe vestita da agnello porti acqua al mulino del lupo – di Patrizia Fermani ed Elisabetta Frezza”

  1. Allibito e avvilito. Tanta mobilitazione di forze per accarezzare il Lupo, ma “in sicurezza”! “Se il sale perdesse il sapore…” Sempre più gente si contorce all’inverosimile per non dispiacere a Dio né agli inimici sui… Forse bisogna tornare semplicemente alla Dottrina, o ancor più alla base, al Vangelo: “Sì, sì, no, no”.

  2. Buongiorno,
    leggendo la circolare inviata non ho visto il logo di Generazione Famiglia, perchè criticate quella associazione?
    Grazie e un augurio di buona e Santa Pasqua

  3. Il mostro moderno sa dissimulare i suoi tentacoli. Grazie alle due Autrici per la chiarezza fatta attraverso questo scritto.

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