A.A.A. Popolo in sostituzione offresi. Ma noi non ci stiamo

Viviamo nel tempo felice in cui in ogni sala d’aspetto, in ogni scomparto di treno, in ogni piazzola di sosta, senza distinzione di sesso, di età, di razza, di religione, di opinioni personali, come da Costituzione, ognuno di noi tiene in mano tutto lo scibile umano e se ne giova. E siccome tutti veniamo a sapere contemporaneamente e democraticamente le stesse cose, non esistono dislivelli conoscitivi e diventa superfluo anche lo scambio di informazioni. Cosa che però non dovrebbe incidere su quella libertà di giudizio sulla quale si fondano, secondo l’inattuale Bernard Show, anche le corse dei cavalli.

Ma il catering mediatico ci solleva anche dalla fatica di elaborare giudizi di valore fornendoli precotti, in modo che di ogni fatto possiamo dire con sicurezza se è umanitario, antifascista, omofobico, medievale, sessista, razzista, empatico, inclusivo, democratico, populista, aperto, oscurantista, e via discorrendo. Insomma abbiamo tutto ciò che ci serve per possedere un autentico sapere di gregge, secondo la locuzione cara alla Lorenzin.

Per questo abbiamo appreso per anni che l’export import di umani dall’Africa era roba umanitaria, anzi, nell’era del disincanto e dell’onniscienza prèt à porter, tutto lo spazio della cosiddetta “immigrazione” è stato coperto dalla cortina umanitaria in cui si è trasfigurato.

Eppure avrebbe potuto apparire chiaro fin dall’alzarsi del sipario su questa commedia dell’assurdo che l’Africa non è abitata da un popolo abituato come i Vichinghi a solcare i mari con le proprie barche in cerca di fortuna. Che tra il cuore dell’Africa e le sue coste settentrionali ci sono sterminate distese desertiche in cui non ci si avventura senza mezzi e senza l’aiuto di qualcuno interessato all’impresa o all’adeguato compenso. Che l’Africa è un continente ricchissimo e se tanti decidono di andarsene è magari perché altri cercano di spingerli fuori a tutti i costi per appropriarsi liberamente di tanta ricchezza. Che le guerre da cui molti sarebbero indotti a fuggire non si accendono da sole qua e là come i boschi d’estate, ma magari sono scatenate, in questo o quel posto, proprio da quelli maggiormente interessati all’esodo dei suoi abitatori. Oppure che i cosiddetti profughi, a differenza dei profughi veri, sono aitanti giovanotti che fuggono armati di smartphone lasciando eroicamente indietro donne e bambini e che tutt’ al più si portano dietro per esigenze di spettacolo qualche comparsa in stato di gravidanza avanzata, cioè nella condizione ideale, come è noto, per una rischiosa traversata per mare. Che i traghettati arrivati a destinazione non hanno mai trovato, né potevano trovarlo, l’eldorado concordato con i trasportatori, ma piuttosto una adeguata occupazione nel mercato della droga e della prostituzione.

Soprattutto non sarebbe stato difficile capire che l’Africa ha un miliardo e mezzo di abitanti in vertiginoso aumento e sarebbe difficile stiparne anche solo una parte nella vecchia e più piccola e non disabitata Europa come auspicato da tutta la intellighenzia europeista.

Eppure si è andati avanti per anni a dare per scontato che si trattasse di un fenomeno normale, spontaneo, ragionevole, soprattutto inarrestabile al pari di un fiume in piena, tanto da essere codificato nel linguaggio politico internazionale come “flusso” migratorio, continuo e ineludibile per definizione. Sicché assecondarne la corrente fosse cosa altrettanto naturale, umanitaria, democratica, civile, moralmente obbligatoria e persino economicamente fruttuosa, mentre ogni impedimento giuridico, creando la clandestinità, costringeva al traffico illegale e al ricorrente naufragio.

Questo allontanava l’ipotesi stessa che si avesse il diritto di difendere la propria terra anche da una invasione organizzata da criminali di mezza tacca pronti a buttare in mare il carico umano per obbligare all’accoglienza umanitaria. Il naufragio è rimasto l’argomento forte contro ogni difesa dei propri confini, brandito con successo anzitutto dall’estemporaneo capitano che lanciava anatemi dalla tolda della barchetta in forma di altare, ignaro anche del fatto che la libera chiesa ha a che fare col libero Stato.

Infine, chiunque versasse lacrime sacrosante sul nostro calo demografico e sulla perdita crescente di nuove generazioni di italiani, è stato regolarmente consolato con la buona notizia che saremo ripopolati dagli africani e che saranno loro a pagare le nostre pensioni.

Ci sono voluti anni perché si cominciasse a pensare che la cosiddetta immigrazione clandestina, politicamente assistita, fosse un traffico di merce umana a cui si fingeva di non poter porre fine, ovvero non si voleva, per ragioni a prima vista difficilmente decifrabili. Intanto, nonostante il coinvolgimento emotivo guadagnato alla causa dei clandestini dai naufragi, proprio questi a lungo andare hanno finito per minare l’immagine salvifica di quella singolare politica immigratoria, amministrata dagli scafisti.

Ecco allora l’idea geniale della filantropia massonica cosmopolita, di lasciare ad essi le operazioni di imbarco sotto costa, e inaugurare il trasporto sicuro con le proprie le navi umanitarie, al sopra di ogni sospetto. Così è stata perfezionata la base teorica dell’immigrazionismo umanitario ben organizzato. Se il naufragio è legato all’immigrazione e salvare il naufrago è cosa obbligatoria per ragioni umanitarie, accettare l’immigrazione è moralmente obbligatorio, perché umanitario.

Sulla base di un simile paralogismo, dunque, l’immigrazione non solo non va ostacolata per evitare che diventi attività pericolosa, ma è necessario che sia fornita di mezzi adeguati, cioè umanitari, che diventano o anche legittimi in quanto transitano concettualmente, per così dire, attraverso i diritti umani.

Ancora una volta alla parola magica è stato affidato il compito di chiudere il discorso, confondere i presupposti di fatto, neutralizzare ogni resistenza. Ecco dunque come in questo mare di moralità superiore non c’è più posto per altri sistemi concettuali, come il diritto, la legge, l’interesse nazionale, l’interesse degli autoctoni, il sentimento comunitario e quello identitario, la difesa di una identità etnica e culturale.

Ecco dunque l’arrivo trionfale delle navi armate dalle ricche Ong. Che sbarcano quelli che sono andati a prendere a destinazione, cioè dove l’armatore ha deciso di portarli, soprattutto in Italia. Senza essere autorizzati, perché, si dice, non valgono le regole ordinarie sui limiti delle acque territoriali quando c’è di mezzo il salvataggio in mare. Ma non si sa bene di quale salvataggio si tratti, dal momento che i fuggiaschi africani sembra siano restii a tentare la traversata a nuoto del Mediterraneo e che le navi sono state attrezzate proprio per fornire un trasporto sicuro come qualunque compagnia di linea. Però non importa. I trasportati dalle navi umanitarie hanno lo status di naufraghi per definizione dal momento dell’imbarco e lo conservano fino alla fine stabilita del viaggio, anzi, sembra che lo mantengano per sempre, come un tatuaggio.

In ogni caso tutti gli ostacoli di natura giuridica devono cadere e per legittimare la importazione forzata di clandestini si è passati dalla oggettività del naufragio alle motivazioni umanitarie soggettive di chi conduce l’operazione. In questa nuova prospettiva, non è solo il gesto umanitario a neutralizzare l’ostacolo della legge, perché entra in scena con spettacolare prepotenza addirittura la motivazione umanitaria. Essa diventa la straordinaria causa di giustificazione capace di assicurare la non punibilità di qualunque violazione di legge. È così che anche la scemenza condivisa di colti politici nostrani ha potuto esibirsi liberamente nel pensoso raffronto tra l’autista tedesca della bagnarola portaafricani, e la incolpevole eroina sofoclea, mosse entrambe dalla legge umanitaria dell’amore, che nel caso della prima pare sia una sorta di amore universale globalizzante.

Per vero andrebbe precisato che la seconda si impicca da sola dopo essere stata condannata a morte, mentre eroine più recenti come le Ulrike Meinhof e Gudrun Esslin conterranee della suddetta autista sono state invece suicidate amorevolmente a casa loro nel carcere di Stammheim. Tanto per ricordare anche ai colti italioti e agli ingrati ministri teutonici quanto possano mutare nel tempo le fortune umane e quanto poco inospitale sia questo nostro stralunato e pur colto Paese.

Dunque nel tempo della felice democrazia cosmopolita si possono violare le leggi impunemente, forzare un blocco navale, con il concorso “morale” e materiale dei collaborazionisti locali che non rischiano neppure la rasatura, anzi possono aspettare coraggiosamente di festeggiare ogni sconfitta morale, politica, economica e culturale del Paese che li ospita e li tollera con rassegnazione. Ora tutti gli umanitari si sentono non punibili per definizione. Non per nulla il 5 luglio 2018, con una mozione approvata per alzata di mano, il Parlamento europeo ha invitato gli stati membri ad abolire le norme penali previste dal 2002 per i privati e le Ong che favoriscono l’immigrazione clandestina. Ovvero come la inciviltà Comunitaria si prepara a cancellare anche la civiltà giuridica.

La autista germanica al comando di un novello olandese volante, che è un pericolo in mare quanto lo sarebbe su un’autostrada, è forse una sessantottina ibernata a suo tempo e scongelata per l’occasione, come suggerisce il suo sguardo catatonico, ma sapeva di avere referenti a Strasburgo come a Bruxelles, e un giudice ad Agrigento, oltre alla plebaglia cosmopolita al proprio fianco, mentre le tante navi della flotta umanitaria avanzano di nuovo contro l’Italia.

E qui arriviamo al punto decisivo. Perché, se dalla costatazione incontrovertibile dei fatti si evince che abbiamo a che fare con un fenomeno organizzato e guidato secondo un programma puntuale e flessibile studiato per aggirare ogni nuovo ostacolo, la domanda ineludibile e decisiva riguarda il fine ultimo di tanto impegno. Le Ong, con la loro plateale entrata in scena, hanno avuto il merito di mostrare, se ce ne fosse ancora bisogno, che il trasferimento ossessivo di africani verso l’Europa, anzi verso l’Italia, non si sarebbe potuto realizzare se non fosse stato pianificato, organizzato e finanziato da quanti hanno interesse a tenerlo in piedi.

Hanno dimostrato che questo trasferimento non giova affatto agli africani e si pone frontalmente contro l’Italia. Dunque è diventata decisiva la domanda che sola è capace di farci prendere coscienza di una realtà troppo minacciosa per consentire la distrazione. La domanda circa le finalità di questo enorme e micidiale marchingegno, che soltanto da poco tempo finalmente ha preso corpo.

Ora si è formata, fra quelli che pure hanno messo a fuoco lucidamente tutti gli aspetti del fenomeno, la opinione che un capitalismo senza frontiere e senza scrupoli miri a formare con gli immigrati il famoso esercito industriale di riserva con il compito di abbassare il costo del lavoro e mettere la manovalanza africana in feroce concorrenza con i già disastrati lavoratori italiani o anche europei. Ma si tratta di una spiegazione piuttosto irrealistica, smentita dal numero sproporzionato degli importati rispetto ad una supposta offerta di lavoro che fra l’altro è contraddetta dalla stagnazione economica. Senza contare che questa massa di presunti profughi senza arte né parte, o appaiono stabilmente nullafacenti, o attivamente inseriti nei traffici criminali della mafia nigeriana o in quelli limitrofi di altre organizzazioni delinquenziali.

Se si vuole interpretare il fenomeno in chiave di interessi economici o meglio ancora geopolitici, è acclarato semmai che la deportazione di africani ha come unica certezza anzitutto il danno arrecato al paese di arrivo, e che risponde invece a quello di chi è intento a tenere le mani sulle ricchezze africane e, come i francesi, si è impegnato nella eliminazione sistematica, anche fisica, di ogni personalità politica che abbia tentato di curare l’indipendenza e l’interesse di quegli stati che cercavano di liberarsi da ingombranti tutele straniere. Ma la risposta più verosimile alla domanda perché mai tante forze siano coalizzate per riversare in particolare sulle coste italiane le falangi africane va ricercata piuttosto proprio in quell’affermazione peregrina per cui gli africani risolveranno con la loro prolificità lussureggiante l’avvizzita demografia italiana. In essa emerge che si è messa in conto una vera e proprio sostituzione di popolo, e il conseguente annientamento culturale.

Questa la premessa per fare poi dell’Italia il grande parco giochi privato aperto al pubblico ma anche sempre a disposizione per usi strategici. Il mezzo per ridurre a terra di conquista un Paese popoloso e provvisto di un enorme patrimonio culturale e di una cospicua ricchezza privata, è privarla della propria linfa vitale, riempire il vuoto di nuove generazioni mancanti con altre in cui nessuno possa più riconoscere le proprie fattezze e le proprie ascendenze, e con esse la propria storia, la propria lingua, il proprio spirito, il proprio patrimonio culturale. In cui nessuno potrà più trovare antichi legami di sangue e di terra.

Una nuova forma di guerra umanitaria è portata con le navi della filantropia massonica cosmopolita a cui si è presentata l’occasione di realizzare l’“Idealismo Pratico” di Kalergi in una forma all’apparenza non bellicosa e volutamente non allarmante. Anzi, indiscutibilmente umanitaria come è umanitaria la morte inflitta per fame e per sete invece che con il Zyclon in questo tempo di tutte le libertà e di tutti i diritti.

Ma se, nell’era magnifica che ha eretto un altare alla libertà, la sostituzione di popolo, ovvero il meticciato imposto dall’alto, appare diabolica quanto disperante, miserabile è l’aiuto portato a quel disegno dai collaborazionisti interni. Antichi e nuovi barbari si possono agevolmente accordare in questa follia collettiva in cui il delirio di onnipotenza incontra un cieco istinto autodistruttivo, o forse qualcosa di peggio come il tradimento. Quello dei collaborazionisti indigeni della autista tedesca al comando del nuovo olandese volante, “facilitatori culturali” incapaci di capire che oltre al cieco sentimento di parte e all’idea tronfia di servire una moralità superiore c’è il senso profondo della appartenenza alla patria, alla storia che ci ha preceduto, alla terra, quella appartenenza che dà all’esule lo struggimento della nostalgia, e nella Roma antica faceva della interdictio aqua et igni, una pena più grave della morte.

Siamo in guerra con la follia di quelli che hanno pensato di stringere questa parte del mondo nei loro artigli foderati di denaro e di poterne stravolgere gli assetti sentendosi abitatori di un proprio olimpo diabolico. Questa guerra abbiamo il dovere di combatterla, perché non è vero che basta la comune natura umana a formare una comunità di uomini. Occorre il patrimonio di una storia tramandata, di una cultura sedimentata, di una identità fatta di sangue e di terra in cui riconoscersi. Questo patrimonio comunitario capace nonostante tutto, di forgiare ancora esseri pensanti va difeso a tutti i costi contro il delirio di onnipotenza del signori apolidi del globalismo che stanno tentando sull’Italia l’esperimento del meticciato universale.

6 commenti su “A.A.A. Popolo in sostituzione offresi. Ma noi non ci stiamo”

    1. Complimenti per il suo scritto! Tuttavia, noi che cosa possiamo fare, oltre che constatare la situazione e denunciare le nefandezze? Come al solito, NIENTE. Certo, è già buona cosa che si scrivano articoli come il suo, ma, purtroppo, chi li legge o chi va alle conferenze è già d’accordo, conosce già i termini della questione. “Senza di me non potete far niente”. Chiediamo dunque senza stancarci a Sua Divina Maestà il Suo aiuto, per l’intercessione di Maria Santissima. Cor Iesu, miserere nobis. Cor Mariae, ora pro nobis.

      1. Laurentius, lei ha perfettamente ragione. So che Fermani è un’ottima cattolica tradizionalista e, in questo eccellente scritto, così efficace nell’ordine degli aspetti che si propone di chiarire e approfondire, implicitamente sta sullo sfondo Gesù Nostro Signore. Ma occorre dirlo apertamente, intanto individuando in Dio e nella religione cattolica tradizionale il più importante, anzi il vero obiettivo contro il quale combatte la massoneria internazionale, con l’immigrazionismo e con mille altri mezzi diabolici, e al contempo indicando nella Divina Provvidenza l’unica non ingannevole e assoluta certezza contro il male. L’analisi politically uncorrect e in tutto condivisibile aggancia lo scopo solo se si pone in ottica siffatta.

  1. Grazie dott.ssa Fermani, per il contributo che dà alla causa della libertà dello spirito (e ora non più solo quella!) con questi Suoi mirabili scritti, così lucidi e nel contempo sottesi da un profondo dolore. Grazie per non farmi sentire sola nell’immane lotta contro lo spirito del Male che è l’agente cusale di questa immane tragedia.

  2. Grazie per l’articolo signora. C’è un aspetto di tutta la questione però che rimane latente, o forse non mi è chiaro. Tutta la manovalanza ideologizzata che collabora a vario titolo per il successo dell’impresa, in fin dei conti quali benefici spera di ricavare da tale dedizione spesa in tempo, danaro, rischi personali? Forse “un pugno di dollari” per parafrasare un celebre film o più probabilmente come già accaduto in passato un “pugno di mosche ” ?

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