Marta Cartabia alla Corte Costituzionale. Un altro cristallo rotto

Tripudio femminista in corso: è stata espugnata la presidenza della Corte Costituzionale. Avevamo appena assolto l’imperativo categorico di batterci il petto ai piedi del totem della violenza sulle donne, al quale tutti senza eccezione si sono prostrati vestendo la contrizione di circostanza, che il palinsesto ci ha imposto la puntata successiva del programma di rieducazione di massa: via i fazzoletti, fuori i coriandoli, è tempo di baldoria per le femmine al potere.

Subito dietro la premier finlandese trentaquatrenne che – hanno sottolineato i titoli dei giornali – è “figlia” di due “mamme” (si tratta di un caso avvenieristico di gametogenesi, o dal titolare dello spermatozoo dobbiamo ormai prescindere per convenzione universale?), anche l’Italia dà quindi il proprio significativo contributo al genderismo istituzionale. Il che è bello e istruttivo, specie mentre in tutta la penisola si sta indagando per sottrazioni seriali di bambini da parte di personaggi vari, legati al mondo degli affidi, che ci raccontano la storia di cinquemila anni di patriarcato da abbattere.

«Con la mia elezione si è rotto un vetro di cristallo» ha dichiarato – o si deve dire sentenziato? – Marta Cartabia, appena accaparrata la prestigiosissima carica. Come dire, un’immagine letteralmente spaccona. «I vetri rotti fanno male» ha commentato Camillo Langone, con saggezza fuori moda e perciò alquanto ardita. Oggi tira il sesso ex debole o, tutt’al più, le sue imitazioni; fatto sta che il vir va obliterato, insieme alla sua inutile o dannosa escrescenza: la figura del padre.

SUA CIELLINITÀ All’undici di dicembre, dunque, data della presa della Consulta. Ma chi è colei che è riuscita nell’impresa? Mentre tutto il resto del mondo spara coriandoli di gioia genderista, un paio di cose, sul suo conto, vogliamo segnalarvele noi.

Il primo segno particolare di Marta Cartabia, intorno a cui ruotano praticamente tutti gli altri, è la ciellinità. Dall’altro giorno la signora è, di fatto, l’esponente del culto ciellino in più alto grado nel pianeta. Molti dei suoi correligionari – n.b. la dicitura “correligionario” non è oziosa, ma attinge al magistero di un compianto cardinale lombardo, il quale pare andasse dicendo che «la chiesa più vicina a quella cattolica è CL» – sono stati trascinati dagli altari nella polvere, talvolta persino in quella del carcere. In controtendenza di genere rispetto alla sequela di detronizzati illustri (Formigoni, sì, ma pure Lupi, Volonté, Mauro, Simone, eccetera eccetera), la Cartabia è invece protagonista incontrastata di una carriera sfolgorante.

Sembra tuttavia che sulla sua fondamentale matrice ciellina, sulla vicinanza a don Gius e sull’amicizia con Carrón, si debba sorvolare se, scorrendo da cima a fondo e ritorno la trionfale articolessa del Corrierone del 12 dicembre, non ci si imbatte mai, ma proprio mai, nel nome, o nella sigla, o in uno dei soprannomi, o nel patronimico, di Comunione e Liberazione. Zero. L’appartenenza a CL, che si sa essere un vero e proprio marchio a fuoco, è furtivamente sostituita dalla generica espressione «formazione cristiana». Ci chiediamo se l’acrobazia possa essere considerata una fake news omissiva: secondo noi incontrovertibilmente lo è.

CARRÓN FA LA PACE CON LA CHIESA E COL MONDO Dalla sana e robusta costituzione ciellina della giurista lombarda discendono infatti molti altri elementi essenziali del suo profilo personale e pubblico. Per esempio, fu proprio durante il mitico Meeting di Rimini (grande territorio di caccia per gli affari sanitari di satelliti di CL), che lo scorso agosto il suo nome fu inserito nel cilindro dei papabili premier. Si vede che i legulei sconosciuti ai più e men che mai eletti vanno forte, ultimamente, come candidati a palazzo Chigi. Del resto, bisogna risalire all’era silvica (2008) per trovare un presidente del consiglio uscito dalla matita elettorale.

Quali altri meriti potesse vantare la signora per essere d’emblée proposta come capo del governo italiano, a parte il genere favorevole, bisognerebbe chiederlo alla sua casa madre nonché sponsor ufficiale. Sta di fatto che l’idea trovò pure un certo consenso trasversale. Forse qualche ulteriore informazione sparsa ci può aiutare a rispondere alla domanda.
Si dice che Marta Cartabia sia amica e consigliera di Juan Carrón, il chierico spagnolo designato erede di don Giussani. Colui il quale, si può dire, ha traghettato il corpo di CL in area progressista. Dopo che, qualche anno fa, i ciellini si recarono in massa all’Angelus per venerare Bergoglio e questi, anziché ringraziare, li bastonò senza alcuna pietà, i vertici evidentemente decisero che bisognava tornare ad essere amici dell’inquilino vaticano, chiunque egli fosse e qualunque cosa dicesse.

E Carrón provvide: di lì a non molto uscì sul solito Corriere un doppio paginone in cui il guru spirituale di CL apriva alle unioni invertite. Fu, oltre che un caso di scuola di piaggeria, un segno epocale di svolta per la religione del Meeting, dove fino a un paio di anni prima si raccoglievano firme malandrine contro il ddl Scalfarotto (omofobia) e si tenevano conferenze malandrine contro il ddl Cirinnà (unioni omosessuali). Ed ecco che il Corriere della Sera, che soffiò a pieni polmoni sul fuoco appiccato alla torre del celeste governatore lombardo, da allora parve rabbonirsi verso i suoi compagni di fede e di interessi. Siccome poi l’appetito vien mangiando, il Carrón ci ha preso gusto ed è salito pure sull’altro carro papale: «i sovranismi sono fallimentari, il Cristiano deve vincere la paura, i migranti prima che numeri sono persone concrete».

Probabilmente l’agiografia della Cartabia dove non si nomina nemmeno la consorteria di appartenenza – un po’ la stessa cosa che sta accadendo per il candidato emiliano e governatore uscente Bonaccini, che accuratamente nasconde marchio e colori del PD – risponde alla logica dell’armistizio intercorso tra Vaticano, via Solferino e il blocco giussanista, sempre più stinto e sfilacciato persino nella sua capitale.

AFFARI FARMACEUTICI Ricordiamo, ancora, visto che nessuno lo fa, che proprio alla Cartabia dobbiamo il capolavoro sui ricorsi della Regione Veneto contro la legge Lorenzin sull’obbligo vaccinale. Per bocca della signora, che dell’organo era relatrice, la Consulta rigettò l’impugnazione del governatore Zaia, il quale chiedeva di decidere in autonomia sulla materia visto che oltretutto, sia in fatto di burocrazia sia in fatto di copertura vaccinale, il Veneto era incontestabilmente a posto. Nulla da fare, gli sbarrò la strada la neo-presidenta: «Il passaggio da una strategia basata sulla persuasione a un sistema di obbligatorietà si giustifica alla luce del contesto attuale caratterizzato da un progressivo calo delle coperture vaccinali». Par di capire che la vaccinomania abbia colpito anche lei e la sua Corte, secondo cui senza coperture vaccinali gli italiani versano in condizione di pericolo grave e imminente. Specie per il morbillo, malattia infettiva che da che mondo è mondo i bambini dovevano pigliarsi tutti (anzi, si cercava addirittura di procurare il contagio), d’improvviso diventata un’ossessione planetaria, per la benemerita Fondazione Bill e Melinda Gates e per tutti i cointeressati: nessuno osi discutere il trivalente prodotto con cellule di aborto procurato, nemmeno quando migliaia di famiglie, e pure qualche studio qua e là, suggeriscono che, forse, degli effetti collaterali si ostinano a verificarsi. Insomma, in un’unica decisione (peraltro di rango costituzionale) si concentra un agglomerato di temi – aborto, libertà di cura, sovranità famigliare etc. – che, in teoria, dovrebbero tutti interessare un “cattolico praticante”, persino un ciellino, o quantomeno un titolare di quella stramba entità che si chiama coscienza.
E VISSERO TUTTI/E FELICI/E E CONTENTI/E Quindi, mentre la propaganda distribuisce coriandoli per festeggiare il nuovo spettacolare traguardo di genere, e i sudditi aderiscono felici alle celebrazioni indette in onore della presidenta, vaccini conditi con cellule di feto abortito e alluminio (materiale con il quale, ha appena comunicato il Ministero, meglio non incartare i panini dei bambini) vengono imposti erga omnes col timbro della Corte Costituzionale. E di Comunione e Liberazione che, a quanto è parso e pare, qualche interesse negli affari sanitari deve pur tenerlo.

Ora che abbiamo finalmente la persona giusta (per genere e religione) al posto giusto, attendiamo fiduciosi che venga messa costituzionalmente la spunta sulle ulteriori tappe dell’agenda scritta ai piani superiori per l’ulteriore mutazione genetica, giuridica e morale, di ciò che resta della nostra povera Italia. Manca ancora qualcosina da fare, il potere preme e il tempo stringe, ma la Corte giussanoide lascia ben sperare in una accelerata supplementare ecclesialmente corretta. Al massimo si romperà qualche vetro. I cocci sono nostri.

3 commenti su “Marta Cartabia alla Corte Costituzionale. Un altro cristallo rotto”

  1. I N C R E D I B I L E !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
    O R R I B I L E !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

    A C H E P U N T O S I A M O ?????????

  2. Albino Mettifogo

    “Specie per il morbillo, malattia infettiva che da che mondo è mondo i bambini dovevano pigliarsi tutti, d’improvviso diventata un’ossessione planetaria”

    E non si provi a discutere della inutilità del vaccino contro il morbillo in ufficio…i colleghi ti sbranano. Lo so per esperienza.
    Albino

  3. Anch’io ho frequentato CL ai tempi dell’università (15 anni orsono!) e ricordo bene le posizioni di fermezza che si prendevano (allora non Bassetti ma Ruini). Ora trovo molto triste e doloroso il percorso progressista ben descritto nell’articolo. Carron e Vittadini traditori!

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