L’ideologia dominante è sempre l’ideologia della classe dominante. Marx azzeccò molte diagnosi, equivocandosi sulla prognosi e sulla terapia. Su questo punto l’autore del Capitale non sbagliava. È inutile guardare al presente con la lente deformante del complottismo, deplorare il “marxismo culturale” come sentina di ogni male o rimpiangere i bei tempi andati del liberalismo conservatore, un ossimoro per un’ideologia che fa del cambiamento continuo la sua ragion d’essere. Joseph Schumpeter parlò di distruzione creatrice, John M. Keynes di spiriti animali. La verità è che il capitalismo globalista vincente sta modellando il mondo a sua immagine e che- conoscendo la naturale opposizione dei popoli alle sue ricette- lavora attivamente per cambiare noi, la trascurabile maggioranza. 

Il suo è un progetto antropologico di lungo periodo che conduce alla formazione di un’umanità nuova, l’uomo-trans. Tran-sessuale nelle pulsioni, trans-nazionale nella tensione cosmopolita, transumano nella sostanza, ibridato con la macchina e sottratto alla sua essenza naturale. La domanda è: l’uomo della terza decade del Terzo Millennio è ancora tale o è una specie nuova? È il paradosso della nave di Teseo, la questione metafisica della persistenza dell’identità originaria di un’entità completamente modificata nel tempo. La creatura-uomo rimane se stessa se tutte le sue componenti sono cambiate e perfino il cervello- sede del pensiero e dello spirito- appare riconfigurato secondo una volontà calata dell’alto?   

Nel racconto greco, la nave su cui viaggiò Teseo nell’ avventura che lo portò a sfidare e uccidere il Minotauro – uno dei miti fondanti d’Occidente – si era conservata intatta nel corso degli anni, nonostante fosse stata sostituita nel tempo ognuna delle sue componenti, dalla chiglia ai remi alle vele. Giunse un momento in cui tutte le parti originali erano state sostituite, benché la nave conservasse la sua apparenza originaria. Era stata completamente rifatta, ma allo stesso tempo era rimasta la stessa, era ancora la nave di Teseo. La questione metafisica è: l’umanità ha conservato la sua essenza oppure no? Ovvero, l’entità modificata nella sostanza ma senza apparenti variazioni nella forma, è ancora la stessa? 

Continuiamo ad avere due gambe, due braccia, due occhi e una testa, ma siamo ancora noi stessi? La domanda è diventata urgente dalla primavera del 2020, alba scura dell’epidemia, ma galleggiava nell’aria da trent’anni, dal trionfo epocale del mercato. Il pensiero corre a un’opera pittorica tra le più significative del secolo passato, La persistenza della memoria di Salvador Dalì, il dipinto degli orologi molli. Il quadro raffigura una landa deserta dominata dalla presenza di alcuni orologi dalla consistenza quasi fluida, che, squagliandosi, assumono la foggia dei loro sostegni. Si è sempre sottolineata la rappresentazione dell’elasticità del tempo, ma non si è indagato abbastanza sul secondo significato, la portata del cambiamento. Gli orologi di Dalì, diventati pressoché liquidi, segnano ciascuno un’ora diversa, ma sono ancora strumenti capaci di scandire il tempo? L’homo sapiens sapiens è lo stesso di “prima” o si è liquefatto per l’azione dell’ingegneria sociale? 

La risposta -forse- è in un’intuizione di Antonio Gramsci, il concetto di “rivoluzione passiva”, il mutamento significativo, ma non immediato di un sistema politico, sociale ed esistenziale. Per il pensatore sardo la trasformazione è attuata dalla classe dominante al fine di prevenire un processo rivoluzionario dal basso che ne metterebbe in discussione il dominio. La rivoluzione è passiva nel senso che è subita, poiché l’iniziativa è nelle mani del potere. Ogni tanto avvengono degli strappi, momenti decisivi della trasformazione impressa. Nell’ultimo trentennio, nell’ordine, il crollo del comunismo sovietico, l’attentato delle Torri Gemelle, la crisi finanziaria del 2007-2008 e dal 2020 la pandemia in cui siamo ancora immersi. Tutti cambiamenti che hanno scandito varie tappe di una trasformazione profonda dell’uomo, avvenuti prima che scattasse una reazione, una rivolta contro la distopia liberista, in nome delle ferite sociali, morali, antropologiche inferte a popoli, persone, generazioni. 

Il livello più alto del potere corre sempre un passo avanti al resto dell’umanità e sa cogliere le opportunità anche nelle tragedie. La pandemia è l’esempio più significativo. In due anni la nave di Teseo è stata smontata pezzo dopo pezzo a velocità crescente e l’esito più stupefacente non è il cambiamento in sé, pur immenso, ma il fatto che sia stato accettato senza reazione, non percepito nella sua estensione eccezionale e accompagnato da un consenso che le oligarchie avevano in gran parte perduto. Per questo, la domanda che poniamo riguarda la nostra identità, personale, individuale e collettiva. Siamo ancora gli uomini di “prima” o il cambiamento ci ha resi “altro da sé”? Il quesito non è ozioso o astratto, giacché dalla risposta dipende la possibilità di una reazione. Possibilità di reazione, non reazione. Il dubbio, infatti, è che – guardandoci allo specchio – siamo diventati insensibili a ciò che vediamo, che non importi più se siamo ancora “noi”. Il processo di mutazione è penetrato nel profondo del Sé con un’accelerazione che sgomenta. 

La nave di Teseo è stata cambiata dall’interno, a partire dalla diminuzione delle libertà concrete e dallo svuotamento della democrazia, totem massimo del nostro tempo. Se ne accorgono anche le statistiche. Il settimanale The Economist elabora il Democracy Index: secondo i parametri del vangelo vivo dell’economia liberista, solo l’8,4 per cento degli abitanti del pianeta vive in democrazia piena, ovvero in un regime che rispetta le libertà politiche e civili, in cui esistono mezzi di comunicazione indipendenti, un sistema di controlli e di contrappesi. L’indice diminuisce costantemente da quindici anni. Chissà perché non ne siamo affatto meravigliati. Sarebbe interessante valutare secondo i criteri dell’Economist le misure anti epidemiche italiane, il green pass obbligatorio, gli applausi scroscianti dei giornalisti all’apparizione di Draghi – l’uomo della provvidenza – alla conferenza stampa natalizia. 

D’altra parte, quale democrazia può sussistere (indipendentemente dal giudizio sul principio) in una società-mercato in cui il consumatore ha rimpiazzato il cittadino? L’intero fasciame della nave di Teseo è stato sostituito alacremente nell’ultimo biennio: basta libertà di movimento, obblighi di ogni tipo, limitazioni di libertà intollerabili, quel che restava della comunità e della solidarietà cancellato in nome del distanziamento sociale e della nuda vita biologica. E poi il confinamento, la creazione del nemico nella persona del famigerato “no vax”, che è poi chi pone le domande che la democrazia liberale riteneva ineludibili. Inoltre, l’arsenale ideologico del Grande Reset, l’ecologismo climatico; la sorveglianza totale, biocratica, la digitalizzazione dell’intera vita; la negazione della natura; il divieto di riunione mascherato dall’ossessione securitaria anti-assembramento. La nave assomiglia sinistramente al Titanic. 

La spirale del cambiamento, da rivoluzione passiva in senso gramsciano si è trasformata in alacre distruzione degli spazi di comunità, discussione e libertà, una spirale che non può essere compresa con gli strumenti intellettuali del tramontato “Stato di diritto”. L’unica definizione di democrazia che ci soddisfa è quella di Arthur Moeller Van den Bruck: la partecipazione di un popolo al suo destino.  Tre parole altamente simboliche, partecipazione, destino, popolo. I loro significati sembrano dissolti: la partecipazione non è solo sconsigliata, ma proibita. Decide qualcuno, dall’alto, insindacabilmente, con l’ausilio degli “esperti”. Quale popolo può sussistere senza uno straccio di progetto comune, di polis in cui riunirsi, dibattere e riconoscersi? In quanto al destino, conta esclusivamente quello individuale, scandito dal ritmo delle vaccinazioni che non assicurano immunità e neppure vita; neanche il vaccino è tale. L’inganno è colossale, eppure nello stato di vita sospesa la maggioranza assoluta è con il potere, sostiene con gli stessi applausi dei media servili ogni nuova limitazione di libertà. 

Quando c’è la salute c’è tutto, dicono. E intanto falliscono nell’intento, nonostante la Dea Scienza, nonostante l’immenso apparato di manipolazione, nonostante un attacco senza precedenti alla nostra sanità mentale. Che dire del fatto che, saliti su un bus o su un treno, siamo assaliti da un costante bombardamento acustico a base di mascherine “correttamente indossate”, ordini di distanziamento, minaccia di sanzioni? Per alcuni, la minoranza cattiva, ribelle, facinorosa, è una tortura, per molti è una rassicurazione, la prova che un potere benevolo veglia su di noi. Non parliamo della televisione, in cui le trasmissioni più neutre sono le televendite, mentre la pubblicità, diventata da tempo politicamente, razzialmente e sessualmente corretta, comincia a mostrare il mondo in maschera, il consumatore felice dal volto invisibile. Lo schiavo è invitato a non vedere le catene, anzi ad amarle in ossequio all’ossessione della sicurezza che ha messo k.o. la libertà. “Le tue catene son fatte di fior” era un’aria famosa di un’operetta, Cincillà… Sbalordisce che ci crediamo. 

In un dipinto fosco e drammatico, Dos forasteros, noto come Duello rusticano (ma l’originale, due forestieri, due estranei è ben più pregnante) Francisco Goya rappresenta un duello mortale tra due poveracci già sanguinanti nel fondale arido di una sierra, luogo che allude alla prigionia e alla fatalità. I due combattono una lotta feroce con furia cieca. L’artista fa capire che lottano per nulla e che stanno perdendo la loro umanità. È la vittoria più grande del potere di ogni tempo: dividere chi è già vinto, renderci reciprocamente ostili. Cambiano le motivazioni, non l’isteria irrazionale contro il nemico di turno. I peggiori istinti dell’essere umano vengono a galla per volontà di chi comanda. Se è una prova generale di totalitarismo, l’esperimento sta riuscendo oltre le più rosee aspettative dei manipolatori. Un gruppo di esseri umani, è il turno dei no-vax, denominazione derisoria, errata, semplificatoria ma proprio per questo efficace, viene esposto all’odio, alla ripugnanza, alla demonizzazione, e la sua oppressione è spacciata per dovere civico dalla politica, dai mezzi di comunicazione, dall’economia, finanche dalla chiesa. La maggioranza approva istericamente. Hanno modificato la nostra umanità: la nave non è più di Teseo. 

Proviamo a immaginare, davanti alla TV, se il film che stiamo guardando, risalente a dieci, venti, trent’anni fa, rispecchia le idee, i modi di dire ed essere del presente e soprattutto se potrebbe essere ancora prodotto senza incorrere nella polizia del pensiero, cioè nel divieto per motivi razziali, di linguaggio, per una battuta “sessista”, per un’allusione politicamente scorretta a una delle comunità protette e rancorose, perché, orrore, parla di una famiglia o di una vita normale. Non ci accorgiamo più di nulla per sovraccarico, perché la manipolazione ha raggiunto vertici di perfezione, per sovrana indifferenza (in-differenza: nulla è distinto). Crediamo a tutto per indifferenza più che per ignoranza. Forse un cambio di paradigma passerà anche per il ripristino del reato di abuso della credulità popolare.  La nuova discriminante è tra i consenzienti e coloro che “non la bevono “(gli àpoti di Giuseppe Prezzolini) e continuano a porsi domande, esercitare il giudizio, usare il cervello. 

Colpisce la crescente compiacenza della maggioranza schierata con il più forte, soddisfatta di vedere discriminati, puniti “gli altri”, i sediziosi. Non conta il contenuto di ciò in cui si crede, importa avere la determinazione a difendere principi e convinzioni, la volontà di seguire la propria bussola interiore. Accettare di essere esclusi è difficile, ma è il solo modo per vedere con i propri occhi, rendersi conto che il panorama è cambiato in profondità, che la nave non è di Teseo, è un’altra, a cui siamo estranei, passeggeri casuali e paganti. È l’epoca degli ultimi uomini in un doppio senso. Ultimi in quanto un pugno di criminali ha previsto un futuro transumano, da animali e propaggini della tecnologia. Ultimi perché indegni della scintilla divina, folla indistinta nell’alveare urbano, incapaci di percepire la perdita di identità, massa che vede bianco e dice nero se questa è la volontà del domatore. 

Coloro per i quali è indifferente la nave di Teseo o di qualunque altro, che non inizierebbero mai il viaggio dell’eroe – troppo pericolo, chi glielo fa fare? – sono gli ultimi uomini di Zarathustra. “Ahimè! giunge il tempo del più spregevole tra gli uomini che non sa più disprezzare sé stesso. Guardate! Io vi mostro l’ultimo uomo. Che cosa è amore? Che cosa è creazione? Che cosa è nostalgia? Che cosa è astro? – così chiede l’ultimo uomo ammiccando. La terra sarà divenuta allora piccina e su di lei saltellerà l’ultimo uomo che impicciolisce ogni cosa. La sua razza è indistruttibile come quella della pulce; l’ultimo uomo vive più a lungo di tutti. Noi abbiamo inventato la felicità – dicono gli ultimi uomini e ammiccano”. Un gregge addomesticato: che abbia ragione chi ci incatena e meritiamo il nostro destino?  

2 commenti su “La nave di Teseo”

  1. Qualcuno le capisce, altri rimangono tiepidamente indifferenti: vogliono “stare tranquilli”, loro “hanno fatto il loro dovere”, se non avessero fatto quello che hanno fatto sarebbero morti, e poco importa se muoiono o si ammalano persone: è un danno collaterale, insignificante se l’obiettivo è quello di salvare l’umanità. Non c’è speranza: qualcuno si ravvederà, altri resteranno perennemente nel dubbio, la massa continuerà a seguire gli ordini del cane (non è una metafora) che la controlla. Il termometro dei valori per i quali abbiamo lottato per una vita segna lo zero.

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