ABBASSO L’OMOFILIA CATTOLICA. A margine della conferenza stampa del 24 luglio a Roma – di Elisabetta Frezza

di Elisabetta Frezza

 

ADERIAMO ALL’APPELLO PER FERMARE LA PROPOSTA DI LEGGE CONTRO L’OMOFOBIA


Il 24 luglio scorso si è svolta a Roma la conferenza stampa dei Giuristi per la Vita sul disegno di legge contro l’omofobia e la transfobia così come congedato, con emendamento condiviso, dalla commissione giustizia della Camera dei Deputati lo scorso 23 luglio e destinato alla discussione in Aula.

gpvHo avuto personalmente l’onore di presentare la conferenza e di moderarla, illustrando anzitutto l’iniziativa promossa dall’associazione Giuristi per la Vita di cui faccio parte – in collaborazione con molte testate e siti che vi hanno aderito – per raccogliere le firme di tutti coloro che condividono l’allarme nei confronti di una normativa tanto dissennata, che si pretenderebbe di far passare proditoriamente come misura urgente per assolvere a un’ineludibile esigenza di civiltà.

Nell’introdurre l’argomento, si è cercato di spiegare le ragioni stricto sensu giuridiche per le quali il progetto sia da ritenersi inaccettabile, al di là di tutte le valutazioni di merito sul tema da essa investito: sul virtuosismo sessuale à la page, appena intuibile dall’acronimo in progressivo allungamento che ne sintetizza le espressioni (LGBTIQ…), non si intendono qui esprimere giudizi, ché già abbastanza è stato detto, nel bene e nel male.

Ciò che preme rilevare è piuttosto come la stessa formulazione della norma partorita dalla commissione giustizia sia a dir poco delirante e risponda in pieno all’impianto proprio dei sistemi penali totalitari.

In un ordinamento liberale, infatti, la legge non deve trasformarsi in uno strumento del dispotismo statale e il cittadino deve essere sottratto tanto all’arbitrio del legislatore quanto a quello del giudice. Il principio dell’oggettività giuridica del reato (per cui il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice deve rappresentare un valore primario preesistente, sentito dalla collettività come meritevole di tutela penale e non “inventato” dal legislatore per un interesse particolare) e quello dell’oggettività materiale del reato (per cui la lesione del bene giuridico tutelato dovrà manifestarsi attraverso un comportamento corrispondente al “tipo” previsto dalla norma penale, e descritto da essa in termini oggettivi che lo rendano materialmente verificabile senza lasciare spazio alla creatività dell’interprete) sono stati elaborati nel tempo dalla scienza penalistica allo scopo di scongiurare derive liberticide.

A criteri opposti a quelli sopra illustrati si rifanno i sistemi penali adottati dallo stato totalitario. Esso, mirando a controllare ogni aspetto della vita di relazione e ad appiattire ideologicamente gli individui, impone valori propri; e nella pericolosa veste di Stato etico, propulsore di una nuova “moralità”, trova nella legge penale uno strumento tra i più efficaci per piegare la volontà dei singoli ai fini che si è prefisso: la pena diventa un potente strumento di coercizione e di adeguamento forzato dei singoli alle finalità del potere politico.

Così è per il progetto in esame, che eleva l’omosessualità e la transessualità a valori assoluti, da tutelare in sé; e prevede una tutela speciale per i soggetti che ne sono portatori, in aggiunta a quella che la legge penale assicura a qualunque cittadino per il solo fatto di essere tale. Come dire, una categoria più uguale delle altre, portatrice di un valore collettivo riconosciuto, capace di competere vittoriosamente persino con diritti costituzionalmente garantiti quali la libertà di manifestazione del pensiero e la libertà religiosa.

Oltre alla genericità e all’ampiezza delle condotte descritte dalle norme incriminatrici, va sottolineato un altro aspetto che concorre pericolosamente a renderle degne di un regime poliziesco e dittatoriale: la struttura propria del c.d. reato di opinione. Quel tipo di figura criminosa cioè che, essendo ritenuta fortemente limitativa della libertà di manifestazione del pensiero, nonché retaggio inaccettabile del passato totalitario nazionale, era stata depenalizzata dalla recente legge n. 85 del 2006, salutata dall’allora Ministro della Giustizia come tale da avere “innalzato il tasso di democrazia” della Repubblica Italiana, con l’unica clamorosa eccezione e conclamata anomalia costituita proprio da quella legge n. 654 del 1975 (legge Mancino) sui reati commessi per motivi razziali ed etnici, cui il disegno di legge in oggetto si aggancia, dilatandone la portata applicativa.

Il motivo omofobico e quello transfobico divengono, alla pari dei motivi razziali ed etnici, veri e propri elementi costitutivi della fattispecie penalmente rilevante. Vale a dire che il movente assurge a elemento costitutivo del reato: un unicum nel nostro sistema penale di stampo liberale, dove i motivi che muovono l’azione hanno rilievo soltanto come circostanze (aggravanti o attenuanti), che non incidono sull’esistenza del reato ma soltanto sulla sua gravità, cioè sulla quantificazione della pena.

È perciò evidente come alla configurazione di una fattispecie lesiva che sia materialmente determinabile in base a criteri oggettivi, si sostituisca qui la valutazione dirimente di quell’atteggiamento interiore che spalanca le porte all’arbitrio dell’interprete massacrando il principio di legalità.

Queste sommarie osservazioni sul progetto di legge contro l’omofobia e la transfobia sono sufficienti per intendere che di vero e proprio monstrum giuridico si tratta, che va combattuto nella sua interezza e con ogni mezzo a disposizione. Non vi è spazio alcuno per emendamenti, adattamenti, contrattazioni e compromessi.

Le categorie giuridiche non sono equiparabili a merce di scambio per cui si possa aggiungere di qua o togliere di là senza conseguenze devastanti sulla tenuta del sistema; rispondono a una logica che deve essere ferrea, di interdipendenza reciproca e di coerenza interna.

Per questo, le sciagurate esternazioni di certi parlamentari in quota cattolica che, preconizzando la sconfitta sul campo, auspicano la limitazione del danno per il tramite di “strategie” compromissorie di mediazione con l’avversario (perché, “cristianamente”, bisogna evitare lo scontro) risultano in casi come questo addirittura vergognose.

Di fronte a battaglie di civiltà di simile portata, in cui si gioca il futuro delle nuove generazioni, non è consentito gettare la spugna, né sottrarre ai propri rappresentati la fiducia nella vittoria; non è cristiano farlo.

Chi, per opportunismo, per calcolo o per viltà, cede alla logica del male minore, che tanto danno ha portato all’Italia degli ultimi decenni, usurpa il voto cattolico. Il sacrificio legalizzato di milioni di innocenti nel grembo della madre, negli alambicchi dei laboratori, nei congelatori della vita umana, dovrebbe far risuonare un campanello di allarme…

Chi di loro ha la fede dovrebbe intravvedere, magari in lontananza, la vittoria finale, e lavorare con tutte le proprie forze per realizzarla, in spregio a qualsiasi logica di potere e di tornaconto politico immediato.

Innanzi a snodi epocali quale quello che ci tocca ora in sorte, ci vogliono in Parlamento cavalieri senza macchia e senza paura.

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