Aldo Moro, gli anni di piombo e i “chierici” assenti – di Mario Bozzi Sentieri

“La gran parte dei vecchi leader delle BR, di Prima Linea, dei variegati gruppi della sinistra eversiva, di Autonomia è ormai libera. Saldati i conti con la giustizia, resta ora di rendere onore al passato e ricordare quei tanti, soprattutto cattolici, che seppero andare in anni difficili contro i falsi miti del Progresso”. L’invito di Mario Adinolfi, pubblicato in appendice al saggio Cattolici e anni di piombo di Giuseppe Brienza, edito da Solfanelli, può essere un viatico originale, in occasione del quarantesimo anniversario dell’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, che cade oggi 9 maggio.

Al di là delle rievocazioni ufficiali, del detto e non detto di quella tragica vicenda, una questione importante, su cui varrebbe la pena aprire una serie riflessione riguarda i “cattivi maestri” che orientarono ideologicamente prima la contestazione giovanile e poi la lotta armata, ma anche quanti  si opposero a certe derive culturali, in alcuni  casi pagando con la vita o con gravi lesioni personali la propria coerenza. In molti  casi subendo l’ostracismo dei mass media, della cultura “egemone”, ormai trasformatasi, dopo essere stata “cultura della resa”, in   sistema di potere.

Vale la pena ricordare le iniziative, a partire dal 1973, del Cidas (Centro Italiano Documentazione Azione Studi) finalizzate a collegare le differenti correnti  di pensiero non marxista e il “Manifesto per la libertà”, indirizzato agli elettori, in occasione delle elezioni  politiche del 20 giugno 1976, da una coraggiosa pattuglia di intellettuali liberaldemocratici e di tradizione cristiana. Né vanno dimenticate figure eminenti di intellettuali che, con il loro pensiero, segnarono passaggi importanti, nella storia culturale degli Anni Settanta: da Gianfranco Miglio, politologo dell’Università Cattolica di Milano, studioso del decisionismo conservatore di Carl Schmitt, ad Augusto Del Noce, attento analista  del processo di secolarizzazione e del “suicidio della rivoluzione”.

Che cosa mancò allora? L’impegno del “partito dei cattolici”. È storia nota. Alla strategia gramsciana, sviluppata dal Pci a partire dagli Anni Cinquanta, la Democrazia Cristiana non seppe opporre un’analoga e organica azione di risposta e proposta culturale. Alle maggioranze elettorali centriste mancarono, dopo il 18 aprile 1948, organiche strategie metapolitiche. I riferimenti alla Dottrina Sociale della Chiesa vennero gradualmente messi da parte. In molti casi si arrivò all’assimilazione culturale in un melting pot, che – per dirla con Del Noce – giunse a mettere insieme i vari materialismi in corso: “lo psicanalitico, lo strutturalistico, il positivistico, subordinandoli però al marxistico, e magari servendosi anche di teologi – e neppure questi mancano – che parleranno di un ‘materialismo cristiano’”.

A prevalere fu il compromesso ideologico, premessa necessaria a quello politico. In quel contesto la responsabilità di larga parte del mondo culturale cattolico rispetto a quello che avvenne in Italia, tra ’68 ed “anni di piombo”, fu certamente indiretta, ma non per questo meno grave.

Ci volle il trauma provocato dalla morte di Aldo Moro per fare ritrovare il bandolo di una matassa culturale perduta. Ma intanto l’assenza dei “chierici” aveva provocato quella stagione di morti fisiche e spirituali da cui ci volle un decennio per uscire, lasciando peraltro  una serie di rovine spirituali  con cui dobbiamo ancora fare i conti. Nel ricordo delle vittime di quegli anni, ancora oggi l’individuazione delle responsabilità culturali e politiche è essenziale per una battaglia di verità in gran parte ancora da fare.

 

 

 

 

 

 

7 commenti su “Aldo Moro, gli anni di piombo e i “chierici” assenti – di Mario Bozzi Sentieri”

  1. Una RAI nelle mani di un’area politica, che della sinistra degli anni di piombo ha ereditato solo la presupponenza e la violenza dialettica, sta ripercorrendo i fatti di quegli anni con una totale falsificazione della realtà. Anche oggi, dopo che quel culturame è stato sconfitto anche con il voto politico, gli eredi restano indisturbati. Non solo ciò che resta dei cattolici tace, ma finisce con avvallare la “santificazione” implicita delle misere idee che stavano dietro gli anni di piombo. Eravamo i primi nella rivoluzione elettronica con l’Olivetti, ed ora siamo gli ultimi. I tanti giovani, molto preparati, che ogni anno debbono andare all’estero, lo sanno di chi è la colpa? Un ministro della repubblica, ancora in carica, li ha salutati dicendo che andandosene sarebbero stati un fastidio in meno. A noi servono posti di lavoro, ovvero stipendi, non le fabbriche, che poi sporcano anche.

  2. la crisi cominciò dai consacrati; da un complesso di inferiorità rispetto al modo. Dal modernismo, forse anche da prima, molti chierici si trovarono divisi in se stessi e non furono più in grado nè di approfondire il proprio, nè di conoscere il mondo, quindi non furono più in grado di insegnare in maniera convincente.Il CVII fu l’illusione alla quale tutti si aggrapparono nella speranza che risolvesse il loro problema di identità. Solo quelli che non persero la stella polare riuscirono a passare indenni attraverso l’illusione e passarono il testimone; altri se restarono,continuarono a camminare con il mondo, trovandolo originale, più avanti della Chiesa, che loro non conoscevano più. Solo quando la Chiesa divenne, la chiesa fotocopia del mondo quelli cominciarono a sentirsi a loro agio, ignoranti col mondo ignorante, legati alla cronaca e non al Vangelo. Siamo ad oggi dove la maggior parte della gerarchia è mondana. Ma il rigagnolo, quasi sotterraneo, di coloro che non persero la stella polare, ha ripreso il suo corso e diventa di giorno in giorno più simile ad un vero fiume.

  3. All’epoca in cui fu ucciso Aldo Moro ero un adulto assai consapevole. Allora mi convinsi che lo si saprebbe potuto salvare e che la maggiore responsabilità della sua morte stava nel suo partito. Per altro, Moro si era reso responsabile di un accordo politico e di governo con i comunisti.

  4. Rispondo alla richiesta di Eraldo. Si tratta di Giuliano Poletti le cui benemerenze copio dal suo sito. Nato a Imola nel 1951 perito agrario, tecnico agricolo. Nel 1975 consigliere comunale a Imola. Poi assessore alle attività produttive e consigliere provinciale a Bologna. Presidente dell’ESAVE (Studi e promozione della viticoltura e dell’enologia per l’Emilia Romagna). Presidente della Le-gacoop di Imola nel 1989, ha lasciato l’incarico a settembre del 2000 per assumere quello di Presidente Regionale di Legacoop. Dal 1992 al 2000 presidente di EFESO, l’Ente di Formazione della Legacoop Emilia Romagna. Presidente di Legacoop Nazionale, Presi-dente di Coopfond (fondo per la promozione cooperativa di Legacoop) e Presidente dell’Alleanza delle Cooperative. Dal febbraio 2014 ha ricoperto la carica di Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali (delega alle Politiche giovanili, Servizio civile nazionale, Integrazione e Politiche per Famiglia) del Governo Renzi, poi nel Governo Gentiloni. Se non mi sono perso qualche cosa.

  5. Non vorrei che di “chierici assenti” siano anche da annoverare tra i lettori di Riscossa Cristiana. Qualche volta ho citato Padre Lombardi che durante il pontificato di Pio XII fu un grande predicatore, rispettato e temuto dagli stessi comunisti. Era chiamato la “voce di Dio”. Egli sostenne la necessità del Concilio, ma quando, dopo la morte di papa Pacelli, il Concilio venne aperto, non fu invitato, venne allontanato dalla predicazione e la sua presenza venne cancellata seguendo il costume in voga in URSS sotto Stalin . Alla radio ed alla televisione ascoltiamo la voce di tutti da Mussolini a Hitler, ma quella di Padre Lombardi mai. Sono riuscito ad avere la registrazione di un suo discorso che ho messo in rete: http://www.lacrimae-rerum.it/filmati/discorso-padre-lombardi.html. Mi risulta che ben pochi hanno avuto la curiosità di ascoltarlo. Come saprete il CVII venne ispirato da Rahner e da una certa Louise Rinser sua amante ed anche di un altro imprecisato prelato incluso nel Concilio.

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