All’origine dei nostri mali. Un documento inedito – di Daniel Moscardi

di Daniel Moscardi

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A volte la scoperta di un documento inedito di un secolo e mezzo fa può far riflettere sullo stato delle cose attuali. Se è ormai un fatto storico accertato che la creazione dell’Italia unita fu ottenuta con la truffa e con l’inganno, dovremmo poi stupirci di ciò che l’Italia è oggi?  Il documento in questione è la testimonianza di uno dei “vinti della storia”, uno che la storia dovette subirla, e si vide portar via il proprio regno. Si tratta del proclama ufficiale di protesta scritto da colui che si considerava ancora “legittimo proprietario” del Granducato di Toscana, Ferdinando IV di Asburgo Lorena. Il documento fu stilato dall’esilio temporaneo di Dresda, dove Ferdinando era riparato ospite del suocero Re Giovanni di Sassonia, all’indomani della proclamazione del Regno d’Italia, nel Marzo del 1861.

Anche tra gli appassionati di storia pochi sanno che Ferdinando IV di Asburgo Lorena (1835-1908) fu, almeno nominalmente, l’ultimo Granduca di Toscana. Primogenito e quindi erede al trono di Leopoldo II, Ferdinando assunse il titolo granducale nell’esilio d’Austria, dopo che il padre era stato costretto ad abdicare dall’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, nel Luglio del 1859.

Costretto alla fuga da Firenze, assieme al resto della famiglia Granducale, il 27 Aprile del 1859, Ferdinando visse quella data da vittima inerme, succube delle fatali indecisioni del padre, che anche nelle ore decisive che precedettero la partenza lo tenne in disparte. Nel tardo pomeriggio di quel mercoledì dopo Pasqua, infatti, il Granduca Leopoldo e la sua famiglia lasciavano per sempre Firenze in direzione di Bologna e da lì a Vienna con poco più che i vestiti indosso, avendo scelto di abbandonare la Toscana piuttosto che provocare (improbabili) spargimenti di sangue a causa dei (pochi) tumulti inscenati ad arte dagli agenti piemontesi inviati allo scopo a Firenze.

In realtà tutto quello che accadde fu l’esposizione del tricolore italico alle finestre di alcuni edifici già predisposti in precedenza da chi aveva organizzato la cosa, in modo da far credere al Granduca che la città era tutta dalla parte del Piemonte. Fu una semplice quanto abile operazione di propaganda da parte di poche centinaia di persone, tra i quali vi erano certamente alcune decine di carabinieri piemontesi travestiti da civili, inviati da Cavour a Firenze in segreto nelle settimane precedenti.

La storiografia ufficiale (quella appunto scritta dai vincitori) negli anni ci ha propinato la favoletta del tiranno oppressore che fugge inseguito dalla folla ormai pronta alla sollevazione in massa. Altra menzogna fra le tante costruite ad arte per giustificare l’unità d’Italia.

Niente di tutto questo. E’ noto che i fiorentini si tolsero il cappello e salutarono rispettosamente “il babbo” (così veniva chiamato affettuosamente il sovrano dal popolo) mentre percorreva il tragitto che da Palazzo Pitti lo portava verso la via Bolognese. Pochi in realtà sapevano cosa stava accadendo, tranne gli organizzatori dei “tumulti di piazza”, e sicuramente il Granduca stesso pensava, come accadde 11 anni prima, che si trattasse di un esilio temporaneo. Ma così non fu.

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Carattere e temperamento deciso, praticamente l’opposto di suo padre Leopoldo, Ferdinando tentò fino all’ultimo (ovvero fino al 1866, quando l’Austria riconobbe ufficialmente il Regno d’Italia) di rientrare in possesso del Granducato, soprattutto dopo l’esito della pace di Zurigo tra Francia e Austria, seguita alla battaglia di Solferino e San Martino, che vide perdite spaventose da entrambe le parti. Le clausole di pace prevedevano espressamente il rispristino dello status quo ante per Toscana, Parma e Modena, anche se tali clausole rimasero vaghe in quanto a modi e tempi.

Ferdinando ebbe la sfortuna di avere come diretto avversario un personaggio altrettanto deciso e autoritario come Bettino Ricasoli, che non per niente si meritò il nomignolo di “Barone di ferro”. Ricasoli era di fatto il nuovo dittatore della Toscana, e non aveva nessuna intenzione di mollare la presa. Occorreva sancire al più presto il passaggio da stato indipendente alla “unione col regno Sabaudo”, e occorreva farlo con una parvenza di legalità. Fu così che fu indetto il plebiscito del marzo 1860 che ebbe poi a rivelarsi come una farsa assoluta, con il popolino messo in fila davanti a due urne, quella del SI e quella del NO, con le schede del NO (all’unione col Piemonte) praticamente introvabili dato che i tipografi incaricati della stampatura delle schede vennero opportunamente “visitati e ammoniti”. Chiamateli pure brogli ante litteram se volete. Naturalmente i risultati furono scontati, con l’unica eccezione di Castiglion Fibocchi, nell’aretino, dove i NO superarono i SI, così che a Ferdinando fu affibbiato il nomignolo di “Re di Castiglion Fibocchi”. Inutile dire che questa storia dei plebisciti-farsa con risultati bulgari fu la stessa negli altri stati annessi al Piemonte e identica fu ripetuta per il Veneto nel 1866.

Nella sua protesta ufficiale Ferdinando non usa mezzi termini nel denunciare i metodi usati per impossessarsi dei “regni altrui” e parte dal fatto che i vari regnanti degli Stati italiani erano tutti imparentati fra loro. “Ponendo in non cale i più naturali riguardi di parentela”, tradotto in italiano dell’inizio del terzo millennio vuol dire “fregandosene del tutto” del fatto che Vittorio Emanuele II e Ferdinando erano in realtà cugini in quanto la madre di Vittorio Emanuele, Maria Teresa di Asburgo Lorena (1801-1855) era zia paterna di Ferdinando.

Quando parla di “privati assalitori”è chiaro il rifermento a Garibaldi e alla sua spedizione in Sicilia che sarebbe andata poco lontano senza l’appoggio della marina di sua Maestà britannica e relative mazzette versate ai generali borbonici con la promessa di passaggio al futuro esercito italiano. La resistenza “cui si tenta di venire a capo…collo stato d’assedio e colle fucilazioni” era quella della guerriglia legittimista borbonica in varie parti del Regno delle Due Sicilie, opportunamente bollata (dai vincitori) come “brigantaggio”. Oggi il termine sarebbe “insurgents”, così come “portando la guerra là dove non era stata dichiarata”, oggi si chiama opportunamente “restoring democracy”. Niente di nuovo sotto il sole.

Amaramente, il proclama si conclude con la speranza che le potenze europee non riconoscano il nuovo stato,”espressione dell’illegittimo ordine di cose momentaneamente prevalso in Italia”. Ferdinando aveva visto lontano, chiamando le cose per nome. Il fatto che una nazione nasca “con l’intrigo e la violenza” dovrebbe farci riflettere sugli effetti prodotti su milioni di italiani che hanno subìto sofferenze ed ingiustizie, costretti a lasciare i loro luoghi natii e andare a cercare miglior fortuna altrove. L’emigrazione italiana nel mondo nasce di fatto grazie all’unità d’Italia.

Ferdinando si spinge oltre ed auspica un concetto che “doveva e poteva conciliarsi” con le esigenze dei vari stati italiani: quello federativo, visto come unica soluzione per la penisola data “la disuguaglianza delle indoli e la diversità degli interessi locali”. Parole scritte da qualcuno che aveva già intuito verso che razza di disastro una unione forzata e artificiale ci avrebbe condotto.

Di seguito il testo integrale del proclama di protesta di Ferdinando IV.

Durante due anni il Piemonte ha svolto la sua opera sovvertitrice, non repugnando a mezzo alcuno ed alternando l’intrigo con la violenza. Dopo aver allontanato i legittimi Principi, o manomessa l’integrità dei loro domini, calpestando i più sacri diritti, dimenticando il rispetto dovuto alla maestà del Sovrano Pontefice e compromettendo gli augusti interessi del Cattolicesimo, ponendo in non cale i più naturali riguardi di parentela, prezzolando il tradimento, portando la guerra là dove non era stata dichiarata o senza che fossero spirati i termini fissati dalle trattative diplomatiche in corso, connivendo con i privati assalitori, disapprovati finchè l’impresa non fosse compiuta, glorificati poi quando si è potuto profittare del risultato: dopo aver progressivamente imposto a tutti gli Stati d’Italia un sistema di annessioni che si è preteso dalla libera volontà dei cittadini per via di un suffragio universale, che l’ignavia di alcuni, le blandizie e la corruzione impiegate a riguardo di altri, il terrorismo esercitato sui più hanno reso illusorio, e contro il quale in varie parti d’Italia ha protestato già una resistenza di cui si tenta di venire a capo cogli ordini del giorno i più feroci, collo stato d’assedio e colle fucilazioni; dopo avere, sotto colore di patriottismo sacrificati gli interessi e il legittimo amor proprio di ciascuno degli Stati d’Italia all’egoismo di uno fra tutti e all’ambizione della sua Dinastia, il governo Piemontese ha voluto riassumere in una parola il già fatto, e il Re Vittorio Emanuele ha preso il titolo di Re d’Italia.

La proclamazione del Regno d’Italia sancisce per i singoli stati della penisola la distruzione individuale, senza di cui sarà sempre vano sperare il benessere e la tranquillità d’Italia e che, resa necessaria dalla lunga abitudine, dalla disuguaglianza delle indoli e dalla diversità degli interessi locali, fatta cara e gloriosa dalle antiche e belle tradizioni, poteva e doveva conciliarsi, mercè il concetto federativo, col ripristinamento della potenza italiana.

La proclamazione del Regno d’Italia, rovesciando tutta l’organizzazione politica della penisola, mentre viola i diritti delle legittime Dinastie, distrugge unilateralmente i trattatati fondamentali cui presero parte tutte le potenze d’Europa, contraddice apertamente alle stipulazioni di Villafranca, le quali, confermate a Zurigo col concorso del Re di Sardegna, dovevano essere la base del nuovo diritto pubblico italiano.

Nell’interesse degli imperscrittibili diritti della Nostra Dinastia, nell’interesse del vero bene della Nostra diletta Toscana e dell’Italia tutta, Noi, riferendoci alle proteste anteriormente emesse dal Nostro amatissimo Genitore e da Noi stessi, ci crediamo ora in dovere di protestare, siccome protestiamo nel modo il più violento, contro questo atto del Governo del Re Vittorio Emanuele ed abbiamo fiducia che le Potenze Europee, molte delle quali hanno dato più di una volta al Piemonte segni pubblici della loro disapprovazione non saranno per riconoscere un titolo, che è l’espressione dell’illegittimo ordine di cose momentaneamente prevalso in Italia”

Dresda, 26 Marzo 1861

                                                                                                                          “firmato Ferdinando”

14 commenti su “All’origine dei nostri mali. Un documento inedito – di Daniel Moscardi”

      1. Gentile Lotario,
        dogma di fede è l’anti-unitarismo? Per riaffermare la regalità sociale di Cristo è necessario tornare alla mappa politica del tempo della Restaurazione?
        Una volta appurati i mali del Risorgimento cosa dovremmo fare secondo lei?

      2. sembra di sì: non si può contestare! Io dico invece che quella intenzione e quel metodo segnarono la fine dell’ Italia- per Italia intendendo quella gloriosa esperienza di civiltà che la resero famosa e ammirata nel mondo!! Perchè l’ Italia e gli Italiani non sono nati con Garibaldi e Cavour…. ” Noi tutti uomini di cultura possiamo dirci Italiani”, affermava Erasmo di Rotterdam nel XVI secolo. Con Gribaldi e Cavour sono nati Italiani malformati, tanto che ora assistiamo alla nostra agonia anche fisica!

        1. Sì, è innegabile che la cultura di “regime” post-unitaria abbia prodotto poco. Lo scriveva anche Biffi citando se non sbaglio Soloviev. E’ anche vero però che quei santi e beati italiani a cavallo tra ‘800 e ‘900, servendo Cristo e la Chiesa, hanno continuato a tenere alto il nome delle nostre genti nel mondo. L’agonia del nostro paese dipende da altro oggi: il saggio di Paolo Pasqualucci è illuminante in tal senso. I Patti Lateranensi sanciscono la fine definitiva della questione romana. Punto. Che poi un certo pensiero laico, che ha radici nel risorgimento liberale e repubblicano, continui oggi a cavalcare una unità artefatta e priva di radici è sicuramente un problema. Come rispondere a questi signori però? Se non battendosi per restituire l’Italia a Cristo? Come in fondo fece tutto quell’associazionismo cattolico a partire dall’Unità d’Italia con preghiere e opere sociali. E la Provvidenza li premiò col 1929.

  1. Se qualcuno non fosse convinto che i nostri predecessori (nel tempo) siano stati spesso molto migliori di ciò che noi siamo, anche in intelligenza, gli consiglio di leggere questo testo del giovane Ferdinando

  2. Il documento conferma una tendenza che la storiografia più competente chiarisce sempre più: le rivoluzioni quasi mai sono state volute dal popolo e spessissimo sono state organizzate da pochi pretoriani con l’appoggio della nomenklatura illuminata. Sulla condizione attuale d’Italia vale più che mai la Parola evangelica “dal frutto riconoscerete l’albero”.

  3. MARIO BOZZI SENTIERI

    Viene da chiedersi perché – nel caso della Toscana, ma anche in altre realtà – i legittimi sovrani non riuscirono ad affermare i loro diritti ed un’idea “alternativa” del processo unitario. Incapacità ? Inconsapevolezza ? Distacco dalla realtà ? I principi, nel senso di valori fondativi, da soli non bastano a “fare la Storia”….

    1. Risposta: estrema fragilità della forza delle ragioni di fronte alla ragione della forza. In particolare in quegli anni, in cui una propaganda con caratteri neo-evangelici (ovviamente falsi) esplodeva dai salotti in cui era fermentata e fermentava, spazzando via ogni ostacolo.
      Qualcosa di simile avvenne nel 1914: dalla “tranquillità entusiasta del mondo civile” all’inferno della guerra di sterminio, in un attimo, semplicemente perché la Massoneria aveva deciso così.

      Esattamente la stessa cosa del XIX secolo avviene in questo momento nella Chiesa devastata dall’occupazione massonica: non tutto il Clero è massonico, assolutamente no, ma
      1- la gran parte di esso è comunque abituata a leggere i giornali e ad andare al cinema, considerandoli “fonti rispettabili della cultura contemporanea”, anziché “strumenti di bombardamento satanico delle popolazioni cristiane”;
      2- praticamente tutti sanno che “l’ira del Capo, di Enzo Bianchi, delle Edizioni Paoline significa morte” (vedasi don Minutella). Preferiscono vivere adeguandosi che morire

  4. La storiografia revisionista ha dato un notevole contributo a illuminare un lembo di storia purtroppo “tradito” da propagande e mitologie (cfr. il libro di Luigi Copertino sul Risorgimento)
    Ma la soluzione non è nel folklore neo-borbonico e neo-legittimista
    Sarebbe bello parlare qualche volta anche dell’epopea del movimento cattolico, di Giuseppe Toniolo, della grande storia dell’Azione Cattolica “””””Italiana”””””” prima del mutamento della stessa
    O della Coldiretti di Paolo Bonomi che teneva sotto scacco il comunismo nelle campagne del veneto bianco (veneto cattolico e italianissimo)

  5. un paese nato dallo stupro è un paese che ama farsi stuprere. E’ scorretto dirlo o è scorretta la realtà italiana???

  6. Alberto Speroni

    di corruzione in corruzione di inganno in inganno ,un popolo giace sotto una strisciante dittatura che offusca l’orizzonte di una degna RINASCITA !

  7. Certo, la realtà odierna è quello che è e indietro non si torna. Però è importante conoscere le fonti di questa nostra Repubblica italiana. Alla luce di come siamo messi oggi non si può dire con grande convinzione che l’unità l’Italia sia stata un bene. Magari se fossimo divisi in tanti staterelli sarebbe ancora peggio, non so. Comunque si vede continuamente come l’Italia non sia unita affatto e come ancora continuino nelle loro performance coloro che in un certo senso sono gli eredi degli usurpatori di un tempo.

  8. Aggiungo che la quadratura del cerchio non è fattibile: bisognerebbe che una buona volta lo si capisse. Come l’unità d’Italia è qualcosa di posticcio, così lo era stato anche il sistema elettorale maggioritario che si era voluto soppiantasse il proporzionale che invece a mio parere, declinato in vari modi, è comunque l’unico sistema adatto per questa nostra Repubblica.

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