ANCORA SULLA LITURGIA. RICORDI E ATTUALITA’ – di Giovanni Lugaresi

di Giovanni Lugaresi

 

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Giova tornare a parlare della liturgia

Anch’io come la gentile autrice (Carla D’Agostino Ungaretti) nei ricordi faccio spesso riferimento all’esperienza personale, perché penso sia emblematico di un tempo, di una temperie, di una educazione (anche religiosa) che aveva innanzitutto il riferimento del rispetto del prossimo, e dunque, ancor prima, il rispetto delle cose della religione.

Insegnamenti molto semplici, venivano dalla famiglia, anche se i genitori, come nel mio caso, non avevano avuto istruzione: la sesta classe elementare il babbo (nato nel 1901), la quarta la mamma (nata nel 1903). Insegnamenti religiosi che venivano successivamente ampliati e approfonditi nella frequentazione della chiesa, della parrocchia: preti e catechisti/e. Al mattino a messa; al pomeriggio si andava a dottrina e dopo c’era la benedizione eucaristica. Poi, ecco il ricreatorio, ecco i giochi, ecco i canti, ecco, il teatro, il cinema del patronato.

Ogni cosa al tempo e nel luogo giusto. Per cui non c’era modo di confondere il sacro con il profano.

Quanto alla liturgia in latino e ad altre preghiere recitate sempre nella “lingua della Chiesa”, crescendo ci si rendeva consapevoli del valore, della forza, espressi proprio con e nel latino.

Alla fine delle scuole medie incominciai ad andare a messa con il “Breviario della Gioventù Cattolica” di Pietro Ortolani (Stab. Tip. Simboli Recanati 1925) di mio padre.

Attenti alla data: 1925. Sulla copertina, la sigla PAS. Preghiera Azione Sacrificio.

Naturalmente, con preghiere e varie pratiche di pietà, c’era la messa: latino nella colonna di sinistra, italiano in quella di destra.

Questo aureo libretto non l’ho mai abbandonato. L’ho “usato” e continuo a “usarlo” anche quando partecipo alla messa in italiano.

Quella Gioventù Cattolica di quegli anni là – gli anni di mio padre, appunto – non aveva avuto certo le “illuminazioni” del concilio Vaticano II, ma aveva sensibilità, buonsenso, fede, pietà.

E ai sacerdoti che (allora) celebravano la messa coram Deo, non passava per l’anticamera del cervello di infarcire la liturgia con la loro “creatività”: quindi, nessun pistolotto iniziale; nessun fervorino prima della Consacrazione o del Pater Noster, come spesso accade nelle chiese dei nostri giorni. Perché, sarà un caso, ma dopo il Concilio e dopo la riforma liturgica, ogni prete si è sentito in diritto di fare quel che più gli aggrada infischiandosene del “rituale”, che pure esiste. In forza del quale, poi, è prevista la distribuzione della Comunione, oltre che da parte del celebrante, pure da un diacono o da un/a religioso/a, ma non da parte di una qualsiasi persona.

Questo andazzo prosegue: seguito anche da preti retti, per non parlare dei vescovi che hanno altro cui pensare (le spese incontrollate di qualche loro sacerdote finito nelle maglie della giustizia, magari).

Infatti, quando Benedetto XVI parlava, scriveva, di distribuzione delle sacre particole preferibilmente in bocca e con i fedeli in ginocchio, quelli facevano orecchie da mercante… e continuano a farle.

Su questo, Francesco non dice, e non scrive!

Quanto all’adorazione di Nostro Signore, lasciamo perdere. Sentito con le nostre orecchie in una tv cattolica: venerazione di Nostro Signore!!! Adorazione, asini! Adorazione! Non venerazione!

P. S. 18 agosto 2013, con mia moglie a messa nella chiesa di Santa Croce del Montello (Treviso). Liturgia in italiano, ma il giovane officiante ha posto al centro della celebrazione Dio, non il suo “io”.

Alla fine sono andato in sacrestia e dopo il consueto “prosit”, l’ho ringraziato.

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