Antifascismo: elisir di Dulcamara della dittatura democratica – di Roberto Pecchioli

di Roberto Pecchioli

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Una barzelletta vecchia di decenni narra di un comiziante di paese che enuncia i problemi del momento, urlando ogni volta agli ascoltatori “sapete di chi è la colpa? E’ dei fascisti!”. Un omino in fondo alla piazza replica invariabilmente: “E i ciclisti?”. Seccato, alla fine l’oratore sbotta: Che cosa c’entrano i ciclisti? E l’uomo, di rimando: e i fascisti?

Fuor di battuta, è impressionante come la categoria metastorica di fascismo sia utilizzata come ingiuria massima, interdetto definitivo, giudizio negativo inappellabile in ogni ambito del dibattito politico e subculturale, e come, ahimè, funzioni sempre. Negli anni Cinquanta del secolo passato Leo Strauss coniò l’espressione “reductio ad hitlerum” per designare l’espediente dialettico destinato non solo a chiudere la bocca dell’interlocutore, accusandolo di essere nazista, ma ad espellerlo definitivamente dallo spazio pubblico. In Italia, massima espressione di questo manicheismo insopportabile fu Norberto Bobbio, il “papa laico”, con la sua celebre, ma ridicola espressione secondo cui dove c’è cultura non c’è fascismo e dove non ce n’è, ecco materializzarsi il fantasma nero.

Fatto sta che queste sciocchezze sono ancora credute, e basta evocare il fascismo, a proposito di qualsiasi cosa si voglia allontanare, squalificare o insultare, ed il gioco è fatto, magari con l’aiuto di qualche medium con tavolino treppiedi. Sì, perché lo straordinario miracolo, ben superiore a tutte le Lourdes dell’universo nonché alla liquefazione periodica del sangue di San Gennaro, avviene in assoluta assenza del protagonista. Convitato di pietra onnipresente, il fascismo – ed il suo omologo nazismo, evocato nei casi di maggiore emergenza – non c’è più e nessuno ne segnala la presenza, tranne in innocui circoli di turisti funebri in visita a Predappio in abbigliamento d’epoca con sosta in trattoria, come per le periodiche feste filoasburgiche organizzate in varie zone del Nordest italiano affezionate al ricordo del Re ed Imperatore.

Per rendere più credibile l’operazione, in Italia si organizzano veri e propri festival di indignazione a comando e moralismo d’accatto per suscitare la riprovazione popolare nei confronti di chi osa ricordare i propri morti. Per l’occasione, oltre alla mobilitazione dei fantasmi (ANPI, qualche asmatico superstite ultranovantenne della guerra civile), è gradito il pensoso messaggio di sdegno a ciglio alzato delle autorità costituite, del clero giornalistico ed accademico, e, novità recente, il rassicurante intervento delle autorità di pubblica sicurezza, pronte a identificare e punire il più intollerabile reato commesso nel nostro tranquillo paese presidio di legalità, levare il braccio destro al cielo. Ladri, assassini, truffatori, clandestini, sfruttatori vari si fregano le mani dinanzi alla mobilitazione messa in piedi contro il nulla. Naturalmente, non si tratta che di polverone, propaganda, imbroglio programmato, un circo del tipo di quelli di una volta, con l’imbonitore che urlava “venghino, siori, venghino, più gente entra, più bestie di vedono.”

Ma è solo il mantice che alza la polvere destinata a coprire la realtà. Il fatto è che il sistema ha collaudato un’arma letale per cui, in altri tempi, avrebbe potuto essere perseguito per abuso della credulità popolare. L’antifascismo del Terzo Millennio, infatti, altro non è che l’Elisir di Dulcamara. Nell’opera più famosa di Gaetano Donizetti, l’Elisir d’Amore, Nemorino, un povero contadino, è innamorato della bella e riottosa Adina, concupita anche dal soldataccio Belcore, un bieco sergente reclutatore di nuove leve, probabilmente un fascista ante litteram, o, per usare il lessico di Umberto Eco, un “urfascista”. Un imbroglione girovago, il sedicente dottor Dulcamara, gli vende una pozione, un elisir che guarisce tutti i mali, e, nella fattispecie, farà innamorare Adina. “Udite, udite, o rustici” è la nota aria con cui Dulcamara presenta il suo rimedio alle folle. I “rustici” abboccano, ma, nel libretto di Felice Romani, alla fine l’amore di Nemorino trionfa. Un finale vicino all’opera buffa, come l’antifascismo a gettone attivato negli innumerevoli juke-box   mediatici a tema prefissato. Funziona sempre, come quel certo analgesico della pubblicità, che ci libera da emicranie e dolori assortiti.

Vale la pena quindi analizzarlo un po’ più da vicino, l’elisir di Dulcamara contemporaneo, e capire se è possibile difendersi, contrastarlo, o se è invece più opportuno cavalcare la tigre, ovvero partecipare al coro. Prendiamola un po’ da lontano, smontando, o, decostruendo il meccanismo, a partire da due punti fermi. Il primo è che quella vigente nel mondo occidentale non è assolutamente una democrazia, bensì una dittatura mascherata mediatica e tecnologica neoliberale, più precisamente ordoliberale. L’altro, corollario e conseguenza del primo, è che la finta democrazia non tende a reprimere il dissenso (lo fa solo in seconda battuta), ma ne impedisce in vari modi la costituzione. Lavora piuttosto ad organizzare, estendere capillarmente, generalizzare il dissenso dal dissenso. E’ il suo specifico modo di riprodurre un consenso indiretto, per stanchezza, estenuazione, afasia, mancanza di alternative, conquista dei cervelli di masse sfruttate e spremute in ogni modo, cui deve essere offerto qualche effimero sfogo e, soprattutto, un nemico.

Ci aiutano alla comprensione due concetti tratti da grandi sociologi e pensatori francesi, René Girard e Jean Baudrillard.  Girard, in La Violenza e il Sacro enunciò la teoria secondo cui la società (leggi il potere) scarica la sua violenza su un capro espiatorio, placando i conflitti e ricostituendo il vincolo sociale. Insomma, designare un nemico su cui proiettare impulsi distruttivi, sentimenti negativi, stati interiori indicibili che i soggetti rifiutano o non confessano, localizzandoli in un altrove prefabbricato è da sempre un esercizio di potere sociale. In questo senso, l’antifascismo fantasmatico non ha relazione alcuna con il fascismo storico, defunto nella tempesta d’acciaio della seconda guerra mondiale. Dunque, non ha senso risuscitare i morti, o reagire con riflessi uguali e contrari all’antifascismo da capro espiatorio. Significherebbe giocare con le regole dell’altro, in campo avverso e con l’arbitro pagato dalla squadra avversaria. Del pari, non bisogna immaginare neppure per un attimo che il Dulcamara antifascista creda nel suo Elisir. Sarebbe fare torto all’intelligenza del sistema, che utilizza espedienti, crea luoghi comuni, organizza credenze collettive per sfruttarle a fini di potere.

Jean Baudrillard lo ha spiegato molto bene, nella Precessione dei Simulacri, citando il biblico libro dell’Ecclesiaste.” Il simulacro non è mai ciò che nasconde la verità; ma è la verità che nasconde il fatto che non c’è alcuna verità. Il simulacro è vero. Questo è il tempo in cui il reale non esiste più, è scomparso, sostituito dai media e dalla tecnica.”

Non è più possibile distinguere il mondo reale dalle immagini, e tutto è governato dal principio di simulazione, che determina come la nostra vita viene percepita e vissuta. La società contemporanea è immersa in quella che Baudrillard chiama iperrealtà, vale a dire una pseudo-realtà generata dalla simulazione di modelli inesistenti. Un brano di Lo scambio simbolico e la morte è illuminante: “al giorno d’oggi, tutto il sistema precipita nell’indeterminazione, tutta la realtà è assorbita dall’iperrealtà del codice e della simulazione. È un principio di simulazione quello che ormai ci governa al posto dell’antico principio di realtà. Le finalità sono scomparse: sono i modelli che ci generano. Non c’è più ideologia, ci sono soltanto dei simulacri.”

Il simulacro del male è il fascismo, tanto che esso può essere evocato a proposito di qualsiasi fenomeno che il potere vuole bollare come negativo, creando nei suoi confronti quel dissenso preventivo che è la prima fase della riproduzione del consenso che sollecita per sé.  Guy Debord, nella Società dello Spettacolo identificava il nuovo capitalismo assoluto (ab solutus, sciolto da qualsiasi legame, territoriale, etico, storico, ideale) come il regime che era riuscito a imporre un rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini.

L’antifascismo è dunque lo strumento privilegiato per deviare il dissenso, anestetizzare o impedire ribellioni e pensiero critico, attraverso la creazione a tavolino di un nemico pervasivo ed incombente contro cui instillare odio. E’ un giuoco di specchi, di raggi orientati ad arte per deviare l’onda dello scontento e dell’indignazione. L’antifascismo è il corrispettivo dei due minuti quotidiani di odio che il Grande Fratello obbligava ad indirizzare verso l’arcinemico Emmanuel Goldstein, una figura inesistente, un “simulacro”, nel linguaggio di Baudrillard, un capro espiatorio nel lessico di Girard. O, semplicemente, il cattivo delle fiabe di ogni tempo, l’orco, il puffo Gargamella da utilizzare come antonomasia del male nel quotidiano spettacolo in cui siamo agiti dai media e dalla tecnica al servizio del capitalismo privo di alternative, conclusione della storia.

Se la tesi esposta è vera, si deve prendere atto che non sussistono, allo stato dei fatti, strumenti per opporsi razionalmente al simulacro, né ha senso argomentare, controbattere nel merito. Non si riesce ad entrare nel dibattito, ma se anche ciò fosse possibile, esso sarebbe indirizzato dal clero secolare e regolare del potere in maniera da sobillare le coscienze (rectius, orientare truffaldinamente le aree cerebrali degli spettatori deputate al pensiero critico) nel senso voluto da chi detiene la proprietà del gioco, formula le regole, decide in anticipo il bene ed il male, designa arbitri, autorizza i giocatori.

Scartata l’ipotesi di pestare ancora l’acqua nel mortaio, ovvero essere oggettivamente complici di Dulcamara, il quale, ribadiamolo, è un imbroglione ma non uno sciocco, e sa benissimo che l’Elisir non ha altra proprietà se non l’effetto placebo indotto ai creduloni, non restano che due possibilità. La più semplice è quella di entrare nel cerchio magico, rinunciare alla verità in nome del tornaconto e, come il Carducci disse dei manzoniani d’accatto del suo tempo, “tirare quattro paghe per il lesso”. E’ la condotta più diffusa, e le coscienze inquiete si placano facilmente, al termine di pasti calorici e regolari, riducendo se stessi alla definizione di Feuerbach: l’uomo è ciò che mangia.

Ce n’è, forse, un’altra, ed è quella di accettare il gioco, cavalcare la tigre, assumere cioè il linguaggio degli altri per dimostrarne l’infondatezza e tentare di cogliere il rimbalzo. Le critiche fondamentali mosse al fascismo riguardano la supposta funzione di violento cane da guardia dell’ordine sociale fondato sul capitale e il suo autoritarismo. E’ sin troppo facile, a chi abbia occhi per vedere, prendere atto che se la cifra essenziale del fascismo è la sua vicinanza al liberalismo, noi oggi siamo nel pieno di un fascismo bianco. La logica della merce, il valore di scambio come unico elemento di valutazione, l’indifferenza verso il bene comune, il soffocamento delle istanze di giustizia sociale, l’enfatizzazione di disuguaglianze economiche intollerabili, la riduzione di tutto a rapporti di forza basati sul potere del denaro sono evidenti. Il fascismo, ad usare la grammatica corrente, ha solo cambiato camicia. Bianca di bucato, con le cifre iniziali del proprietario ricamate, e accompagnata da cravatte alle moda.

Il fascismo, dicono, ama la guerra. Ma è molto difficile anche agli storici elencare il numero di conflitti generati, alimentati, prodotti dal vigente sistema, anche a limitarsi all’ultimo quarto di secolo. Soltanto, si evita di indicare la guerra con il suo nome: polizia internazionale, intervento umanitario, ristabilimento della pace. I ciechi non distinguono la luce anche a chiamarli non vedenti, pertanto siamo legittimati ad assegnare la disonorevole qualifica di fascisti ai membri dell’establishment americano e occidentale, che bombardano, uccidono, distruggono.

Il fascismo era autoritario e negava libere elezioni. I nuovi fascisti spostano il problema: i mercati, cioè loro stessi spogliati dall’abito da cerimonia politica, votano tutti i giorni, i popoli ogni cinque anni, e solo per candidati simili dai programmi sovrapponibili, loro amici e servitori. Ove emergessero voci davvero dissonanti, verrebbero attaccate con tutta la potenza dei padroni di ogni cosa, screditate, infamate. I leader avversi vengono uccisi senza troppi complimenti (vedi Gheddafi o Saddam), ovvero demonizzati e minacciati di guerra (Putin, gli iraniani), contro altri vengono scatenate guerre civili devastanti (Assad, le primavere arabe, le rivoluzioni arancioni nell’Europa orientale). Senza contare i legittimi sospetti su morti come quelle dell’intera classe dirigente polacca precipitata in aereo qualche anno fa, la feroce delegittimazione di esponenti politici come l’ungherese Orban, l’austriaco Hofer, Marine Le Pen, lo stesso Berlusconi, il cui (scadente) governo fu fatto saltare con un golpe bianco orchestrato dall’alto.

Fascismo purissimo, ostile alla volontà dei popoli, devoto all’unica oligarchia ammessa, quella del denaro, nemico delle fedi religiose e di qualunque ideale non esprimibile in valuta e compravendibile sul mercato. E che dire della lotta di classe, che i super ricchi ammettono orami tranquillamente di avere condotto con devastante successo contro i poveri, tanto che i cento uomini più ricchi del pianeta hanno un reddito pari a quello di alcuni miliardi di loro conspecifici, gli obsoleti esseri umani?

Fascismo è anche obbligo di pensare come vuole il potere. Come descrivere altrimenti il dominio del linguaggio politicamente corretto, che entra nei recessi della mente per imporre o proibire parole e concetti, con l’aiuto di una cultura e di una tecnologia asservita?  Fascismo è anche, dicono, vietare le differenze, imporre uniformità. Dunque, il pensiero unico neoliberale è fascismo distillato, e lo è lo schiacciamento delle identità dei popoli, a partire dalla tirannia della lingua inglese, pretesa per separare i popoli dalle lingue madri ed esigere come codice unico la non- lingua del mercato unico. Uno dei venerati maestri del pantheon liberale, Stuart Mill, scrisse che se la vita fosse “ridotta ad un unico modello uniforme, ogni deviazione verrà considerata empia, immorale, mostruosa e contraria alla natura”

E che cosa c’è di meno reale della democrazia formale, ridotta a procedura, anestetizzata a partire dai sistemi elettorali che negano la rappresentanza e delle Costituzioni ridotte a pezzi di carta, rese impotenti dinanzi a semplici trattati – TTIP, TISA, ecc.? Quanto ai governi, essi sono stati ristretti a governance, amministrazione dell’esistente, compressi in regole a priori – l’ordoliberalismo – che iscrivono l’orizzonte dell’economia privatizzata nella legislazione proprio per respingere preventivamente nell’illegalità ogni tentativo di modificare l’esistente. Il denaro viene creato dal nuovo Signore  – il sistema finanziario privato – che lo presta, graziosamente ed a strozzo, a quel che resta del potere pubblico, rendendo gli Stati schiavi del debito creato artificialmente.

Se a tutto questo vogliamo dare un nome che ne riassuma tutta la carica negativa, ne esprima l’odiosità, battezziamolo pure fascismo e, in tal senso, confessiamoci antifascisti. Ciò che conta è che ci si opponga a quell’ordine costituito, che, parole e musica “loro”, è oggettivamente fascista nel senso metastorico e transpolitico che lorsignori hanno attribuito al termine.

Si cercano per arruolamento dei nuovi partigiani che lottino contro il fascismo immenso e bianco, anzi arcobaleno, chiamato privatizzazione del mondo, assalto alla morale naturale, nomadismo coatto, precariato a vita, distruzione della famiglia, disprezzo della trascendenza, riduzione all’identico unita all’esplosione delle diseguaglianze di censo. Contro il fascismo del duce–denaro e del Gran Consiglio dei banchieri e dei signori delle multinazionali, non c’è Elisir che tenga. Bisogna lottare, in un fronte inter-nazionale di mille diversità con un nemico comune.

L’albero si riconosce dai frutti, insegna l’evangelista Matteo: quelli del neoliberalismo sono infetti. Tu chiamalo, se vuoi, fascismo. Essenziale è combatterlo!

9 commenti su “Antifascismo: elisir di Dulcamara della dittatura democratica – di Roberto Pecchioli”

  1. Adesso però accanto al fascismo come capi d ‘ accusa bisogna mettere : il razzismo, la xenofobia, l’islamofobia, l’erigere ponti e chi più ne ha più ne metta……

  2. Con il dovuto rispetto e la consapevolezza del male e delle sofferenze che stanno subendo quei popoli, anche noi possiamo controbattere e introdurre nel linguaggio delle parole atte a smascherare le nefandezze dei regimi di sinistra. Ad es. Socialista! Cubano! Madurista! Se non altro ci sono i fatti a supporto dei tragici effetti per le popolazioni oppresse dai regimi socialisti (il termine comunista a mio avviso è semanticamente appassito e non corrispondente alla realtà gli stessi comunisti si mascherano dietro la “democrazia” socialista)… Michele

  3. Alla faccia del fascismo, Mussolini avrebbe da imparare dai nostri governanti, eletti da nessuno in pochi anni hanno stritolato la famiglia: affamandola, sostituendola con fanta famiglie omo, e famiglie multietniche super coccolate, minacciando i genitori di essere espropriati del sacro e santo (perchè voluto in primis da Dio stesso)diritto di crescere, educare e proteggere i figli (anche da accanimenti vaccinali per rimpinzare case farmaceutiche e tasche dei politici). oggi ci minacciano di toglierci i figli o di vaccinarli in modo coatto, senza alcuna minima emergenza sanitaria e nessuna epidemia di nessuna malattia senza nessuna cautela, o controllo su cosa iniettano ai bambini. Il fascismo era un’opera pia in confronto, almeno le famiglie si aiutavano e sostenevano, come anche il lavoro e c’era orgoglio nazionale, la mafia scappava all’estero, non governava, e i nostri prodotti venivano protetti. Che pietà, quanti lobotomizzati abbiamo ormai in Italia, mentre il cappio liberale liberticida li soffoca ancora trovano un po’ di fiato per dire cretinate

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