Apologetica. Rubrica quindicinale di Corrado Gnerre

Dal linguaggio papale-papale … al linguaggio pastorale-pastorale

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Apologetica – rubrica quindicinale di Corrado Gnerre

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Dal linguaggio papale-papale … al linguaggio pastorale-pastorale

di Corrado Gnerre

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Il cattolicesimo contemporaneo, che pur si sciacqua la bocca con bei concetti come: partecipazione attiva del popolo, centralità del sentimento e dell’esperienza della fede e altre stramberie varie, è caduto di fatto in un impietoso intellettualismo, molto peggiore di quello che avrebbe voluto combattere. E ci è caduto proprio perché ha voluto far fuori la dottrina a vantaggio di una fumosa pastoralità.

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A proposito del pastoralismo contemporaneo e di recenti documenti della Chiesa con numero di pagine da far quasi invidia ai più classici romanzi della letteratura russa, vorrei offrire ai miei lettori alcune riflessioni…

Il Cristianesimo è una religione dei semplici o degli intellettuali? Ovviamente la risposta è scontata: “Ti ringrazio, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto” (Matteo 11,25-26)

Il Cristianesimo è tutt’altro che una religione “gnostica”, cioè basata sulla conoscenza e basta, per cui questa (la conoscenza) sarebbe l’unico criterio di salvezza. No, il Cristianesimo è religione della centralità della volontà e dell’esercizio della virtù. Non a caso nel Pater non diciamo “Signore, sia pensato il tuo pensiero”, bensì “Signore, sia fatta la tua volontà”. Ed ecco perché per il Cristianesimo un analfabeta e un teologo stanno sulla stessa griglia di partenza nella “gara” della salvezza: tutti e due possono farcela in egual misura e a tutte due viene richiesto prima di tutto l’amore a Dio (si sarà giudicati sull’amore). Ovviamente questo non significa che la conoscenza non abbia la sua importanza, essa svolge sì una funzione insostituibile, ma ausiliare; insostituibile perché non si può amare ciò che non si conosce, ma tale conoscenza ha bisogno di tradursi e di completarsi nell’amore, cioè non può rimanere da sola.

Il cattolicesimo contemporaneo, che pur si sciacqua la bocca con bei concetti come: partecipazione attiva del popolo, centralità del sentimento e dell’esperienza della fede e altre stramberie varie, è caduto di fatto in un impietoso intellettualismo, molto peggiore di quello che avrebbe voluto combattere. E ci è caduto proprio perché ha voluto far fuori la dottrina a vantaggio di una fumosa pastoralità. Un esempio? Ve lo faccio subito. Prendiamo la dimenticanza del Magistero. Dimenticanza che è su due versanti: da una parte una dimenticanza-dimenticanza, nel senso che il Magistero sembra essere divenuto un optional perché alla fine il criterio definitivo finisce con l’essere il proprio pensiero; dall’altra una dimenticanza che si esprime con un magistero che è sempre meno Magistero, cioè di un insegnamento che è sempre meno insegnamento, di pronunciamenti che hanno abbandonato un linguaggio preciso, chiaro, definitorio a favore di un linguaggio pastorale, fluido, che molto spesso si ferma in mezzo al guado, che dice e non dice. Insomma al posto dello stile papale-papale … lo stile pastorale-pastorale!

Ebbene, questa dimenticanza del Magistero, da intendersi secondo le due prospettive di cui sopra, ha favorito gli intellettuali e non i semplici. Mentre i primi (gli intellettuali) possono “trafficare” sui documenti e sui pronunciamenti, interpretando e contro-interpretando, glossando a proprio piacimento, forti di una presunta preparazione culturale; i secondi (i semplici) non sanno più che pesci prendere, non hanno più la grazia di ascoltare direttive precise e fanno la classica figura degli asini in mezzo ai suoni … anche se sarebbe meglio affermare degli asini in mezzo agli asini, perché poi, smarrita la verità oggettiva, tutti sono destinati … a ragliare. L’allora cardinale Ratzinger, ancora Prefetto della Congregazione della Fede, sottolineò questo concetto in una intervista rilasciata negli anni ’80 del secolo scorso; e parlò del Magistero della Chiesa come elemento capace di assicurare una vera “democrazia” della Chiesa, cioè una democrazia nella salvezza. Dovendo accettare una verità insegnata e non da interpretare soggettivamente tutti partono con le stesse chances: non solo il teologo ma anche la vecchina di campagna … anzi molto spesso quest’ultima parte avvantaggiata perché più umile e più capace di ascolto.

Se volessimo continuare su questa falsa riga avremmo l’imbarazzo della scelta per indicare esempi. Ma un ultimo lo facciamo. Si pensò di togliere il latino dalla liturgia per renderla più “comprensibile” (come se il Mistero andasse compreso piuttosto che vissuto, ma lasciamo perdere…); dicevamo: si pensò di togliere il latino dalla liturgia per renderla più comprensibile e poi che si è fatto? Si è aperto lo show delle prediche che si sono riempite di parole come: kerigma, koinonia, agape, esegesi… parole facilmente scambiabili come lamento di qualche pensionato greco dinanzi alla crisi economica.

In Don Camillo e i giovani d’oggi il pretone della Bassa difende la richiesta di un suo parrocchiano, il Pinetti, che vuole che sua figlia si sposi con il rito con cui anche questi e sua moglie si erano sposati. Ma il pretino don Chichì è irremovibile…

“La Chiesa deve rinnovarsi!” gridò il pretino. “Lei, dunque, non sa niente di ciò che è stato detto al Concilio?”

“Sì, ho letto,” rispose don Camillo “ma roba troppo difficile per me. Io non posso andare più in là di Cristo: Cristo parlava in modo semplice, chiaro. Cristo non era un intellettuale, non usava parole difficili, ma solo le umili e facili parole che tutti conoscono. Se Cristo avesse partecipato al Concilio, i suoi discorsi avrebbero fatto ridere i dottissimi padri conciliari.”

Proprio così. Per molti teologi oggi il Vangelo e la Dottrina di Cristo sono troppo semplici, occorre complicarli con redazioni e contro-redazioni, con analisi storico-critiche, esegetiche e diavolerie varie … e alla fine che rimane? La prosopopea del biblista e del teologo di turno.

Dice bene don Camillo: “Io non posso andare più in là di Cristo: Cristo parlava in modo semplice, chiaro. Cristo non era un intellettuale!”

8 commenti su “Apologetica. Rubrica quindicinale di Corrado Gnerre”

  1. Giusto, i fedeli hanno bisogno di certezze. Come ho già detto, mia nonna aveva le idee molto chiare riguardo la sua fede e poco gli sarebbe importato delle disquisizioni sull'”epicheia” dell’attuale Pontefice o dei sofismi teologici per trovare tracce di cattolicità nell’esortazione papale. Ricordiamocelo: “Il vostro parlare sia SI-SI-NO-NO”!

    1. “epicheia” : ne inventassero altre di astruserie per nascondere la loro perfida volontà di distruggere 2 millenni di dottrina cristiana: il linguaggio prolisso ed ermetico è una caratteristica del clero (teologi in primis) modernista, nemico mortale del “si si, no no”, così pure come l’antropocentrismo e l’immannetismo. Quanto all’ecumenismo, poi, stendiamoci sopra un velo pietoso, non merita nemmeno di essere preso in considerazione, tanto è evidente la sua essenza traditrice di Cristo. Proprio per questo l’hano sposato, i preti modernisti, e ne sono ossessionati. Il tutto converge verso un’unico punto : la rubellione alla Verità Rivelata, l’odio alla Chiesa preconciliare, la sete di vendetta contro di esssa, la furia demolitrice della liturgia (NOM), della pastorale (la “nuova evangelizzazione”), del catechismo (i blesfemi catechismi francese ed olandese del secolo scorso), del’arte sacra (le orrende a blaseme chiese moderniste, come la “chiesa cubica” di Foligno). Dai modernisti liberaci, o Signore !

  2. Grazie, caro Corrado, l’analisi fatta è del tutto concorde al mio modo di intendere (oserei dire ,di non intendere) quanto affermano certi “intellettuali”.
    Mentre quello che ho perfettamente compreso e condiviso leggendo questa ottima riflessione, che quando ci si mantiene nella chiarezza e nella semplicità dei concetti, si mette in pratica la frase di Gesù : ” Il vostro parlare sia sì sì, no no. Tutto il resto viene dal maligno. ” Sia lodato il nome di Gesù.

  3. Spero che stiate sentendo il Gr1: uno ha già dichiarato che questa visita a Lesbo e’ anche per i musulmani (“siamo tutti figli dello stesso dio”), ed il priorissimo Bianchi ha già pontificato.

  4. In questo stupendo articolo che condivido in toto, la chiarezza del Prof. Gnerre ci ricorda che tutti possiamo salvarci e che a tutti viene richiesto “PRIMA DI TUTTO l’amore a Dio”. Ecco, questo “prima di tutto” mi ha colpito molto, perché oggi, in un mondo dove tutto gira al contrario, ma dove si parla tanto di amore, il “prima di tutto” è diventato l’uomo con tutte le sue esigenze umane, poi gli animali, umanizzati anch’essi e pieni di diritti, poi l’ambiente, questo sì bisognosissimo di ecologica attenzione. Succede così che in tutta questa specie di enorme rispetto, Dio, da cui tutto dipende e che tutto riassume in sé, è passato all’ultimo posto, talmente ultimo, che neanche si nomina più e tutta questa esplosione di amore non avviene più, come una volta si diceva, “per amor Suo”, ma per amor nostro. E allora cade tutto, ché tutto vola basso e niente vola verso l’Infinito, là dove invece consiste ed è presente l’Essenziale.

  5. Certamente non sono le scienze, neppure le scienze bibliche, condizioni necessarie della salvezza! Ci mancherebbe altro! Ciò non vuol dire che l’esegesi biblica, la storia del cristianesimo, le varie branche della teologia non abbiano nei loro diversi ambiti legittimamente una funzione specifica da svolgere. Grandi intellettuali come i principali padri della chiesa greci e latini, i grandi scolastici, in primis Tommaso d’Aquino ,e poi nella modernità Pascal, ecc.ecc., hanno messo la loro intelligenza e la loro erudizione al servizio della fede. Anche solo dal punto di vista apologetico, oggi una fides quaerens intellectum è quanto mai necessaria.

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