“Bella ciao”, di Giampaolo Pansa. Una provocazione alle vestali dell’antifascismo sempre militante – di Giovanni Lugaresi

Che cosa volevano i partigiani che imbracciarono le armi contro fascisti e nazisti? Libertà? Democrazia? Una parte di loro, sicuramente sì, ma un’altra, la più preparata, la più numerosa, la più determinata, no. Voleva altro, e questo altro significava un regime che avrebbe sostituito la dittatura di Mussolini con una dittatura di stampo sovietico

di Giovanni Lugaresi

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pansa-bella-ciaoLe note e le parole di “Bella ciao”, canzone cara ai (velleitari) neorivoluzionari del nostro tempo più che ai partigiani veri e propri di quegli anni lontani, non le sentivamo durante le celebrazioni resistenziali degli anni Quaranta e Cinquanta in terra romagnola, rossa, libertaria e (naturalmente) antifascista. C’erano altri inni, altre parole, e comunque tante bandiere con la falce e il martello – rare le altre.

Incominciammo a sentire “Bella ciao” negli anni Sessanta; da allora, ecco questa sorta di refrain, bonne a tout faire o anche a tout dire, espresso dalla sinistra. Motivo con audience televisivo assai elevato quando tale Michele Santoro, presunta vittima di biechi reazionari, la orecchiò sottovoce in uno studio della tv, appunto.

Ma adesso, che ti ha combinato quel rompiscatole di un Giampaolo Pansa?

 “Bella ciao – Controstoria della Resistenza” ha titolato il suo nuovo libro (Rizzoli; pagine 430, Euro 19,90), quasi una provocazione alle vestali di turno dell’antifascismo sempre militante, il prosieguo di un lungo viaggio nella guerra civile che insanguinò l’Italia dopo l’8 settembre 1943, e non fino al 25 aprile 1945, bensì pure oltre quella data, perché l’ultimo assassinio compiuto dai rossi (quello del sindacalista cattolico Fanin) data 1949!

Una provocazione? Ma no. Diciamo invece, sine ira ac studio, una accurata disanima su una certa parte della Resistenza, certo, la più numerosa, preparata e agguerrita, ma anche la più facinorosa, violenta, cinica, barbara, tale da dimostrarsi speculare, quanto a spietatezza, alle azioni di fascisti e nazisti.

Pansa non è (lo sanno tutti, anche quelli che da sinistra lo contestavano e continuano a farlo) un bieco reazionario; fra l’altro, non aveva l’età quando scoppiò la guerra civile: contava dieci anni alla sua fine, ergo… Ergo, è uno studioso serio, onesto, e come persona un galantuomo senza secondi fini.

Che cosa volevano i resistenti, i partigiani che dopo l’8 settembre 1943 imbracciarono le armi contro fascisti e nazisti? Libertà? Democrazia? Una parte di loro, sicuramente sì, ma un’altra, la più preparata, la più numerosa, la più determinata, no. Voleva altro, e questo altro significava un regime che avrebbe sostituito la dittatura di Mussolini con una dittatura di stampo sovietico. Del resto, a guerra finita, ma non a spiriti rivoluzionari sopiti, non si sentiva dire (le nostre orecchie bambine era bene aperte) che la rivoluzione si sarebbe fatta, che la repubblica borghese avrebbe avuto la gogna e sarebbe stata soppiantata da “Baffone”, che aveva da venì!

Era un progetto, un disegno, molto chiaro e palesemente dichiarato. Il progetto, il disegno, veniva del resto da lontano e tutti i comportamenti dei partigiani rossi nella Resistenza erano volti a quel fine. Per cui… ecco le pagine di Pansa.

 Che cosa bisognava fare secondo gli ordini provenienti dall’alto, cioè dal Pci? Inasprire la lotta; colpire il singolo fascista, aggredire e uccidere specialmente esponenti di rilievo della Rsi moderati, in modo da provocare rappresaglie, e una violenza tira l’altra, ecco, e avanti così, per inasprire la lotta, una sorta di passaggio obbligato verso il traguardo finale.

In questo contesto, le brigate Garibaldi agli ordini di Longo e Secchia, non si sarebbero limitate a eliminare i nemici della democrazia e della libertà, quali fascisti e nazisti, aggrediti indiscriminatamente. Ma sarebbero andate ben oltre, eliminando chiunque nelle file partigiane non condividesse il progetto, il disegno, e i modi per attuarlo.

Naturalmente, l’autore cita fatti e misfatti, fa nomi e cognomi, riferimenti a proclami, dichiarazioni, documenti.

Stragi di partigiani non comunisti in Liguria, Piemonte e quella degli appartenenti alla Osoppo in Friuli, rappresentano, per fare qualche esempio, casi di determinazione, di spietatezza, in un tempo, in una temperie, in zone d’Italia, dove pietà l’era morta davvero, e non soltanto nei confronti di fascisti e nazisti, appunto, ma di chiunque non condividesse il progetto comunista. Altro che battersi per la democrazie e la libertà! Nelle pagine di Pansa ciò emerge nella crudezza di una realtà incontrovertibile. Mario Toffanin detto Giacca, Francesco Moranino detto Gemisto, Cino Moscatelli, esponenti di spicco della partigianeria comunista sono nomi da far venire i brividi, soltanto a leggerli.

Altro che unità antifascista! “Nella guerra civile italiana, annota fra l’altro Pansa, i comunisti non intendevano avere concorrenti. Le bande partigiane che non accettavano di mettersi alle dipendenze del Pci venivano considerate gruppi avversari…”.

L’autore cita anche alcune esperienze di governi provvisori, per così dire, smontando la retorica della “Repubblica di Montefiorino” e rivelando, per quella dell’Ossola, che “fra i suoi avversari non ci furono soltanto i tedeschi e i fascisti, ma anche i comunisti. Erano loro a chiamare ‘governino’ il governo libero insediato a Domodossola. Le altre repubbliche partigiane, a cominciare da quella di Montefiorino, erano nate sotto la stella rossa della Garibaldi. In Val d’Ossola accadde il contrario. E l’avversione del Pci risultò decisiva nello spingere il Cln dell’Alta Italia a guardare con fastidio ciò che avveniva in quell’angolo del Piemonte”.

Tutto quanto riferito, sottolineato, dallo studioso, ha precise pezze d’appoggio e se taluni episodi erano già noti al grande pubblico, altri lo erano meno, quando non addirittura sconosciuti.

 Come che sia: una bella rinfrescata di storia patria, questa di Pansa, e tale da farci concludere con una raccomandazione: quella di pensarci due volte, da parte dei giovani (ancorché velleitari) neorivoluzionari prima di intonare “Bella ciao”…

 Da qualche parte, se non andiamo errati,  sta scritto: “… ed alle genti svela di che lagrime grondi e di che sangue”!

Ecco: meditate, gente, meditate!

1 commento su ““Bella ciao”, di Giampaolo Pansa. Una provocazione alle vestali dell’antifascismo sempre militante – di Giovanni Lugaresi”

  1. Luigi Maria Ventola

    Purtroppo sarà una raccomandazione vana perchè si sa, i trinariciuti hanno la falce e il martello (che non sanno nemmeno come si usano), stampati in fronte.

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