Cardinale Domenico Bartolucci: il “Fiero spirito fiorentino” che con la musica comunica la Fede – di Pucci Cipriani

libro-pucciPer gentile concessione dell’editore Solfanelli pubblichiamo il capitolo 15 del libro “La Memoria negata – Appunti per una storia della tradizione cattolica in Italia”, di Pucci Cipriani. Il libro è stato presentato a Firenze giovedì 7 novembre e si può acquistare con le modalità indicate in calce.

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Cardinale Domenico Bartolucci: il “Fiero spirito fiorentino” che con la musica comunica la Fede

di Pucci Cipriani

 

brtlcFin da ragazzo sentivo parlare in casa del Maestro don Domenico Bartolucci, di antica famiglia borghigiana , e nato proprio a Borgo il 7 maggio del 1917; il mio babbo, di qualche anno più anziano di lui, ricordava Domenico quando, giovanissimo, partì per il seminario: era particolarmente portato al canto e alla musica, come il suo babbo, che, dopo una giornata di lavoro alle ceramiche “Chini”, se lo portava con sé, alla Misericordia o nelle altre compagnie, a cantare l’ufficio dei defunti…

Nel seminario di Firenze fu subito reclutato come “cantore” e lì portò a termine “cum laude” i suoi studi. Alla morte del suo Maestro Bagnoli gli succedette come Direttore della Cappella del Duomo di Firenze. Nel 1942 si trasferì a Roma dove fu nominato, nel 1947, Direttore della Cappella “Liberiana” e nella Basilica di San Giovanni Maggiore, quindi nel 1956, alla morte di Lorenzo Perosi, fu Pio XII a conferirgli l’incarico di Direttore Perpetuo della Cappella Sistina. Ha scritto quaranta volumi di composizioni musicali: Mottetti, Inni, Laudi e Madrigali, Messe, Opere e Oratori…

Il complesso della Cappella Sistina che, alla morte del Perosi, versava in precarie condizioni, fu risanato grazie all’interessamento personale del Beato Giovanni XXIII e alla grande passione del Maestro borghigiano. Per quaranta anni Mons. Domenico Bartolucci, contrario alla deprecata riforma liturgica e al ventilato abbandono della musica sacra, ebbe come punti di riferimento il gregoriano e la polifonia sacra di Pier Luigi da Palestrina e Giuseppe Verdi e molte furono le esecuzioni, sotto la sua guida, durante le liturgie papali in vari Paese: Austria, Germania, Orlanda, Francia, Belgio, Olanda, Spagna, Isole Filippine, Australia, Canada, Stati Uniti, Turchia, URSS, Polonia e Giappone.

L’ultima sua composizione, e ancora il Maestro lo troviamo intento al lavoro, è l’opera lirica “Il Brunellesco” mai rappresentata e che il Maestro avrebbe gradito fosse presentata a Firenze quando ricevette da Benedetto XVI la porpora cardinalizia.

Nel 1997, con un incredibile colpo di mano, il Maestro fu sostituito alla guida della cappella Sistina da mons. Giuseppe Liberto , contravvenendo quindi a quella nomina papale che prevedeva la “perpetuità” …concetti chiari da duemila anni, nella Chiesa, ma che dopo i Vaticano II verranno aggirati grazie a una sorta di “relativismo” venuta in uso. Sembra che dietro l’estromissione del Maestro Bartolucci ci sia stata l’onnipresente mano di mons. Piero Marini ( da non confondersi con Mons. Guido Marini, un ottimo liturgista fedele alla Tradizione della Chiesa) quello che aveva preso in mano le celebrazioni, di sapore circense, delle funzioni religiose di Giovanni Paolo II e che, durante l’anno Santo, anziché l’organo e le campane, fece suonare, da indigeni mezzo nudi, lunghi corni d’avorio, dopo aver addobbato cardinali e vescovi con paramenti a dir poco clowneschi . Chi avversò quella decisione di sostituire il Maestro perpetuo della Cappella Sistina fu l’allora Cardinal Joseph Ratzinger che, una volta eletto papa, “licenziò” subito mons. Piero Marini e il 24 giugno del 2006 richiamò Mons. Domenico Bartolucci a dirigere un concerto nella Cappella Sistina, quindi, nel Concistoro del 20 novembre 2010, lo nominò cardinale assegnandogli la diaconia dei Santissimi Nomi di Gesù e di Maria in via Lata.

Ho sempre avuto una vera e propria venerazione per il grande Maestro borghigiano ed avevo, fin da ragazzo, assistito alla celebrazione di alcune Messe da lui musicate, ascoltavo, alla radio, i suoi concerti…sapevo che, durante l’estate, nel mese di agosto, Mons. Bartolucci si recava a trascorrere qualche giorno di riposo a Montefloscoli, nel Mugello, in quella sua pieve romanica dove è sempre stato incardinato come sacerdote della diocesi di Firenze.

Grande fu la mia sorpresa e la mia gioia quando mi raggiunse a casa una sua telefonata che mi invitava, appunto, a Montefloscoli: grande fu la mia emozione in quella bella stanza con le poltrone damascate e le foto, ingiallite dal tempo, dei suoi compagni di seminario: “Guardi qui, saremo stati un centinaio…poi c’era il seminario minore, Firenzuola, Fiesole…quante vocazioni…e ora, me lo dica lei…siamo nella desolazione” , entrai e la Signora Maria Paladini mi annunziò al Maestro…conoscevo i signori Paladini perché il marito, Marco, veniva alla fine degli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta a suonare l’organo alla Misericordia per la novena del Santo Natale- finché con la riforma anche la novena non venne messa in soffitta – ed era lui ad intonare le note dell’“Adeste Fidelis” di “Tu scendi dalle stelle” e del canto finale : “Benediteci, o Signore, ti preghiam con voce ardente\ nostri figli sian redenti dal paterno vostro cuor\ Benedite le famiglie, oh gran Dio Sacramentato\ Benedite l’umiliato e contrito peccator…”

Era l’agosto del 1989, avevo fondato l’ANTI 89, ed eravamo stati a Parigi per il bicentenario della Rivoluzione francese per la riconsacrazione della Francia al Cuore Immacolato di Maria, in una piazza di fronte a cinquantamila persone…era uscito da poco il periodico “Controrivoluzione” e il Maestro fu uno dei primi abbonati ; aveva preparato per me un ambito regalo, il libro di Mgr. Emilio Cesbron : “I Martiri di Laval” (Roma 1955) dove l’autore rende palpitanti di vita le fisionomie dei sacerdoti e delle religiose che già, prima del loro arresto e del loro Martirio sotto la lama della ghigliottina, erano ben conosciuti per la loro vita di edificazione e di carità, Martiri che verranno beatificati proprio nel 1955 a Roma da Pio XII, il “Pastor angelicus”.

Ascoltavo, in religioso silenzio, i racconti del Maestro che rispondeva anche alle mie molte domande e quelle ore passavano in un attimo…

E così per oltre vent’anni, nel mese di agosto, mi recavo, lassù, a Montefloscoli, qualche volta accompagnato anche da amici, dove, per noi, Monsignore celebrava, nella sua chiesa, la Messa “tridentina”, e poi in piacevole colloquio ci raccontava le vicende del postconcilio e si soffermava su questa tremenda crisi della Chiesa.

Aspettavo con ansia le “Feriae augustae” per recarmi nella verde campagna di Montefloscoli e nel 2007 feci la mia prima intervista al Maestro, che fu pubblicata su “Il Giornale della Toscana” del 2 settembre.

Monsignor Bartolucci parlò allora di musica sacra, della decadenza attuale di questa musica dovuta anche alla riforma “archeologica” dei benedettini di Solesmes che, al di là delle buone e sante intenzioni, si illusero di ricostruire a tavolino il canto che prima si respirava da ogni cattedrale con sfumature locali…caddero nel romanticismo nelle smancerie : “quando i preti progressisti- disse il Maestro Bartolucci- dicono di voler tornare “alle origini” stanno vaneggiando, vorrebbero ritornare al II Secolo, privandoci della mediazione dei diciannove secoli che da esso ci separano. Se questa non è accademia…o ciarlataneria… scelga lei… la Tradizione è la ghianda che si pianta e che diventa una bella quercia. Farebbe lei a pezzi questa bella quercia per andare a ritrovare quelli che si pensano i resti di quella ghianda?”.

Poi monsignore esprime gratitudine per il “Santo Padre… profondo conoscitore non solo della musica sacra ma dell’animo umano e dei mezzi sensibili che lo conducono a Dio” quindi non si nasconde le difficoltà di una “restaurazione” in questo olocausto liturgico : “La grazia di questo “motu proprio” – dice – del Santo Padre è di giungere, pur dopo il quarantennale cataclisma provocato…dal così detto “spirito conciliare”, in un momento storico importante in cui vivono (o meglio sopravvivono) ancora vecchi sacerdoti di sana dottrina e di buona formazione i quali possono trasmettere (speriamo!) ai giovani preti quella Tradizione vera che passa di mano in mano. Tradizione che deriva, appunto, da tradere, ovverosia tramandare agli altri quello che noi prima abbiamo ricevuto”.

Il 24 giugno 2006 Benedetto XVI aveva voluto una cerimonia speciale per il musicista mugellano onde consacrare “ad perpetuam rei memoriam” la sua vicinanza al grande Maestro, rivolgendosi al quale il Papa disse nell’occasione: “la polifonia sacra, in particolare quella della scuola romana, è un’eredità da conservare con cura (…) un autentico aggiornamento della musica sacra non può che avvenire nel solco della grande tradizione del passato del canto gregoriano e della musica sacra”.

Il 12 agosto 2009 feci al Maestro Domenico Bartolucci, praticamente dodici mesi prima dell’imposizione della porpora cardinalizia, l’ultima intervista che ebbe un’eco incredibile: all’indomani della pubblicazione (12 agosto) su “Il Giornale della Toscana” il “pezzo” fu ripreso dai siti tradizionalisti di tutti i continenti e in casa mia sembrava un centralino telefonico.

Quando arrivai a Montefloscoli la Signora Maria, con la solita gentilezza e delicatezza, ci portò il caffé; sulla scrivania del Maestro l’ormai famoso testo di Monsignor Brunero Gherardini : “Il Concilio Vaticano II- un discorso da fare” per le edizioni della Casa Mariana.

E proprio sulla riforma liturgica sviluppai il discorso.

Va sottolineato che proprio in materia liturgica e musicale, Mons. Bartolucci ebbe agio di lavorare e di “dar consiglio” a cinque papi fino a Benedetto XVI, che definisce “una grazia immensa per la Chiesa, se solo lo facessero lavorare”.

Il testo dell’intervista

Maestro la recente pubblicazione del Motu proprio “Summorum Pontificum” ha portato una ventata d’aria fresca nel desolante panorama liturgico che ci attornia; anche lei dunque ora può celebrare la “Messa di sempre”

 Mah, a dire il vero, io l’ho sempre celebrata ininterrottamente, a partire dalla mia ordinazione…avrei avuto difficoltà, non avendola mai detta, a celebrare la Messa del rito moderno.

Mai abolita dunque?

Sono le parole del Santo Padre anche se qualcuno fa finta di non capire e anche se molti in passato hanno sostenuto il contrario.

Maestro bisognerà pur concedere ai denigratori della Messa antica che quest’ultima non è “partecipata”.

Suvvia non diciamo corbellerie, la partecipazione dei tempi antichi io l’ho conosciuta, tanto a Roma, in Basilica, quanto nel mondo, quanto quaggiù nel mio Mugello in questa parrocchia di questa bella campagna, un tempo popolata da gente piena di fede e di pietà. La Domenica a vespro il prete avrebbe potuto limitarsi ad intonare il “Deus in adiutorium meum intende” e poi mettersi a dormire sullo scranno, per non risvegliarsi che al “capitolo”, i contadini avrebbero continuato da soli ed i capofamiglia avrebbero pensato ad intonare le antifone!

Una velata polemica, Maestro, nei confronti dell’attuale stile liturgico?

Io non so se siete stati, ahimè, a un funerale: “alleluia”, battimano, frasi ridanciane, ci si chiede se questa gente abbia mai letto il Vangelo; nostro Signore stesso piange su Lazzaro e sulla morte. Qui con questo sentimentalismo melenso, non si rispetta neppure il dolore di una madre . Io vi avrei mostrato come una volta assisteva il popolo a una Messa da morto, con quale compunzione e devozione si intonava quel magnifico e tremendo “Dies irae”.

La riforma non è stata fatta da gente consapevole e dottrinalmente formata?

Scusi, ma la riforma è stata fatta da gente arida, arida, ve lo ripeto. E io li ho conosciuti. Quanto alla dottrina, il Cardinale Ferdinando Antonelli, di venerata memoria, mi ricordo che diceva spesso : “Che cosa ne facciamo di liturgisti che non conoscono la teologia?”

D’accordo con lei, monsignore, ma è pur vero che la gente non capiva…

Veda, l’ha mai letto San Paolo: “non importa sapere oltre il necessario” bisogna amare la conoscenza “ad sobrietatem” . Di questo passo tra qualche anno si pretenderà di capire la “transustanziazione”, come si spiega un teorema di matematica. Ma se nemmeno il prete può capire fino in fondo un tale mistero!

Ma come si arrivò allora a questo stravolgimento della liturgia?

Fu una moda, tutti parlavano, tutti “rinnovavano”, tutti pontificavano, sulla scia del sentimentalismo, di riforme. E le voci che si levavano in difesa della Tradizione bimillenaria della Chiesa, erano abilmente azzittite. Si inventò una sorta di “liturgia del popolo”…quando sentivo questi ritornelli mi venivano in mente le frasi del mio professore di seminario, che diceva: “la liturgia è del clero per il popolo”, essa discende da Dio e non sale dal basso. Debbo però riconoscere che quell’aria mefitica si è un po’ rarefatta (ricordiamo che l’intervista fu fatta nel 2009 quando era papa Benedetto XVI n.p.c.) Le giovani generazioni di sacerdoti sono, forse, migliori di quelle che li hanno preceduti, non hanno i furori ideologici mutuati da un modernismo iconoclasta, sono pieni di buoni sentimenti, ma mancano di formazione.

Cosa vuol dire, Maestro, “mancano di formazione”?

Vuol dire che ci vogliono i seminari! Parlo di quelle strutture che la sapienza della Chiesa aveva finemente cesellato nei secoli. Voi non vi rendete conto dell’importanza del seminario: una liturgia vissuta, i momenti dell’anno sono scanditi e sono vissuti “socialmente” con i confratelli…l’Avvento, la Quaresima, le grandi feste che seguono la Pasqua. Tutto ciò educa e non immaginate quanto. Una retorica stolta fece passare l’immagine che il seminario rovinasse il prete, che i seminaristi, lontani dal mondo, rimanessero chiusi in sé e distanti dalla gente. Tutte fantasticherie per dissipare una ricchezza formativa plurisecolare e per poi rimpiazzarla con il nulla.

Ritornando alla crisi della Chiesa e alla chiusura di molti seminari, Lei monsignore, è un fautore di un ritorno alla continuità della Tradizione?

Guardi, difendere il rito antico non è essere passatisti, ma essere “di sempre”, vede, si sbaglia quando la Messa tradizionale la si chiama “Messa di San Pio V” o “Tridentina”, come se fosse la Messa di un un’epoca particolare: è la nostra messa, la romana, è universale nel tempo e nei luoghi, un’unica lingua dall’Oceania all’Artico. Per quel che riguarda la continuità nei tempi vorrei raccontarvi un episodio.Una volta eravamo riuniti in compagnia di un Vescovo di cui non ricorderò il nome, in una piccola chiesa del Mugello, giunse la notizia improvvisa della morte di un nostro confratello, proponemmo di celebrare subito una Messa, ma ci si rese conto che c’erano solo messali antichi. Il Vescovo si rifiutò categoricamente di celebrare. Non lo scorderò mai e ribadisco che la continuità della liturgia implica che, salvo minuzie, si possa celebrare oggi con quel vecchio messale polveroso preso da uno scaffale e che quattro secoli orsono servì ad un mio predecessore nel sacerdozio.

Monsignore, si parla di una “riforma nella riforma”, che dovrebbe limare le storture che vengono dagli anni Settanta.

La questione è assai complessa. Che il nuovo rito abbia delle deficienze è ormai un’evidenza per tutti e il Papa ha detto e scritto più volte, che esso dovrebbe “guardare all’antico”; tuttavia Dio ci guardi dalla tentazione dei pasticci ibridi; la liturgia con la “elle” maiuscola è quella che ci viene dai secoli, essa è il riferimento, non la si imbastardisca con compromessi “a Dio spiacenti e a l’inimici sui”.

Cosa intende dire Maestro?

Prendiamo per esempio le innovazioni degli anni Settanta. Alcune canzonette beat e brutte e tanto in voga nelle chiese nel Sessantotto, oggi sono già dei pezzi d’archeologia; quando si rinuncia alla perennità della tradizione per immergersi nel tempo si è condannati al volgere delle mode. Mi viene in mente la Riforma della Settimana Santa degli anni Cinquanta, fatta con una certa fretta sotto un Pio XII ormai affaticato e stanco. Ebbene solo alcuni anni dopo, sotto il pontificato di Giovanni XXIII, il quale checché se ne dica, in liturgia era di un tradizionalismo convinto e commovente , mi arrivò la telefonata di Monsignor Dante, cerimoniere del Papa, che mi diceva di preparare il “Vexilla Regis” per l’imminente celebrazione del Venerdì Santo. Interdetto risposi: “ma l’avete abolito”. Mi fu risposto: “il Papa lo vuole”. In poche ore organizzai le ripetizioni del di canto e, con gran gioia, cantammo di nuovo, quel che la Chiesa aveva cantato per secoli in quel giorno. Tutto questo per dire che quando si creano gli strappi nel tessuto liturgico quei vuoti restano difficili da riempire e si vedono! Di fronte alla nostra liturgia plurisecolare dobbiamo stare in contemplazione e ricordare che, nella smania di “migliorarla”, rischiamo di fare solo danni.

Maestro, che ruolo ebbe la musica in questo processo?

Ebbe un ruolo incredibile per più ragioni . Il lezioso cecilianismo, al quale certo Perosi non fu estraneo, aveva introdotto con le sue arie orecchiabili un sentimentalismo romantico nuovo, nulla a che vedere ad esempio con quella corposità eloquente e solida di Palestrina. Certe deteriori stravaganze di Solesmes avevano creato un gregoriano sussurrato, frutto anch’esso di quella pseudorestaurazione medievaleggiante che tanta fortuna ebbe nell’Ottocento.

Passava l’idea dell’opportunità di un recupero archeologico , tanto in musica che in liturgia, di un passato lontano dal quale ci separavano i “secoli bui” del Concilio di Trento…Archeologismo insomma, che non ha nulla a che vedere, dico, che non ha nulla a che vedere con la Tradizione e che vuol restaurare ciò che forse non è mai esistito. Un po’ come certe chiese restaurate in stile “pseudoromanico” da Viollet-le-Duc.

Quindi tra un archeologismo che si vuol ricongiungere al passato apostolico, prescindendo dai secoli che da esso ci separano, e tra un romanticismo sentimentale che disprezza la teologia e la dottrina, in un’esaltazione dello “stato d’animo”, si preparò il terreno a quell’attitudine di sufficienza nei confronti di ciò che la Chiesa e i nostri padri ci avevano trasmesso.

Cosa vuol dire, Monsignore, quando in ambito musicale attacca Solesmes?

Voglio dire che il canto gregoriano è modale, non tonale, è libero, non ritmato, non è “Uno, due tre, uno, due, tre”; non si doveva disprezzare il modo di cantare delle nostre cattedrali per sostituirvi un sussurramento pseudomonastico e affettato. Non si interpreta un canto del Medioevo con teorie d’oggi, ma lo si prende com’è giunto fino a noi; inoltre il gregoriano di una volta sapeva essere anche canto del popolo, cantato con forza come con forza il nostro popolo esprimeva la sua fede. Questo Solesmes non lo capì, ma tutto ciò sia detto riconoscendo il grande e sapiente lavoro filologico che fece riguardo allo studio dei manoscritti antichi.

Maestro a che punto siamo, allora, nella restaurazione della musica sacra e della liturgia?

Non nego che vi siano alcuni segni di ripresa, tuttavia vedo il persistere di una cecità, quasi un compiacimento per tutto ciò che è volgare, sguaiato e di cattivo gusto e anche dottrinalmente temerario (pensate un po’: giova ricordare che l’intervista è stata fatta nel 2009 n.p.c.) …non mi domandi, per favore, di dare un giudizio sulle chitarrine e sulle tarantelle che si cantano ancora all’Offertorio…Il problema liturgico è serio, non si dia ascolto a quelle voci che non amano la Chiesa e che si scagliano contro il Papa (Benedetto XVI n.p.c.) e se si vuol guarire l’ammalato ci si ricordi che il medico pietoso fa la piaga purulenta.

(Intervista di Pucci Cipriani per “Il Giornale della Toscana” del 12 agosto 2009)

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Un’intervista che fece davvero rumore…in tutto il mondo, basta dare un’occhiata Internet, un’intervista che fece scandalizzare le pallide e cascanti vestali conciliari e che confortò nella Fede e nella testimonianza i tanti che soffrivano in silenzio. Quando Benedetto XVI impose al Maestro Bartolucci la porpora cardinalizia qualcuno pubblicando la mia intervista scrisse: “L’intervista che gli è valsa la porpora”…in effetti il Santo Padre espresse tutta la sua ammirazione e venerazione per il Maestro in occasione del concerto offerto dal compositore mugellano il pomeriggio del 31 agosto 2011 a Castel Gandolfo:

“….Un grazie affettuoso e speciale all’autore dei brani che abbiamo ascoltato , il Maestro Cardinale Domenico Bartolucci. Grazie eminenza, per avermi donato questo concerto e aver composto, per l’occasione, il pezzo ‘Benedictus’ a me dedicato come preghiera e ringraziamento al Signore per il mio Ministero . Il Maestro cardinale Bartolucci non ha bisogno di presentazioni. Vorrei solo accennare a tre aspetti della sua vita, che lo caratterizzano in modo evidente- oltre al suo fiero spirito fiorentino- e cioè: la fede, il sacerdozio e la musica.

Caro Cardinale Bartolucci, la fede è la luce che ha orientato e guidato sempre la sua vita, che ha aperto il suo cuore per rispondere con generosità alla chiamata del Signore; ed è da essa che è scaturito anche il suo modo di comporre. Certo lei ha avuto una solida formazione ricevuta nel duomo di Firenze, nel Pontifico Istituto di Musica Sacra, con grandi didatti, tra i quali Vito Frazzi, Raffaele Casimiri, Ildebrando Pizzetti. Ma la musica è per lei un linguaggio privilegiato per comunicare la fede della Chiesa e per aiutare il cammino di fede di chi ascolta le sue opere; anche attraverso la musica lei ha esercitato il suo ministero sacerdotale. Il suo modo di comporre si inserisce nella scia dei grandi autori di musica sacra, in particolare della Cappella Sistina di cui è stato per molti anni Direttore: la valorizzazione del prezioso tesoro che è il canto gregoriano e l’uso sapiente della polifonia, fedele alla tradizione, ma aperto anche a nuove sonorità.

Caro Maestro, questa sera, con la sua musica, ci ha fatto rivolgere l’animo a Maria con la preghiera più cara alla tradizione cristiana, ma ci ha fatto anche riandare all’inizio del nostro cammino di fede, alla liturgia del Battesimo, al momento in cui siamo divenuti cristiani: un invito a dissetarci sempre all’unica acqua che estingue la sete, il Dio vivente, e ad impegnarci ogni giorno a rigettare il male e a rinnovare la nostra fede, riaffermando il “Credo!”

‘Christus circumdedit me’, Cristo mi ha avvolto e mi avvolge : questo mottetto riassume la sua vita, il suo ministero e la sua musica, caro signor Cardinale. Rinnovo allora il mio grazie a Lei…e ben volentieri impartisco la mia Benedizione Apostolica”

Joseph Ratzinger- Papa Benedetto XVI

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1 commento su “Cardinale Domenico Bartolucci: il “Fiero spirito fiorentino” che con la musica comunica la Fede – di Pucci Cipriani”

  1. UNo degli ultimi grande uomini di Chiesa. E lo dice un vescovo ortodosso. Oggi la Chiesa ha perso il semso della bellezza, direi dello splendore che riflette lo Spklendore di Dio. La stessa Carità, virtù cristiana per eccellenza, non può sopravvivere senza lo splendore che si manifesta in una vera Liturgia. Senza Slendore divenda opera sociale laica o peggio laicista. Eppure , E’ quello che stiamo vedendo. Insieme a papa Benedetto, Bartolucci è stato l’ultimo testimone dello splendore nel mondo cattolico. Ma anche nell’Ortodossia non siamo esenti da questa malattia modernista. Si deve accorciare le messe perchè non ci sono più preti. Ma perchè non ci sono più preti? Non forse lo Splendore della Gloria di Dio attira vocazioni. L’esempio è dato dal fatto che gli ordini religiosi “liturgici ed oranti” non subiscono questa crisi o la subiscono meno assai rispetto al clero secolare. Se uno vuol far parte di un complesso musicale rok o simili non è affatto necessario che vada a farlo in chiesa. La musica da Chiesa è “quella cosa” di cui il M° Bartolucci è stato uno degli ultimi…

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