C’era una volta l’umiltà cristiana. A quelli della nostra generazione, l’hanno insegnata. Ci è stato anche spiegato che, in termini teologici, l’umiltà cristiana si chiama timor di Dio e non è di origine umana, ma soprannaturale: è uno dei Sette Doni dello Spirito Santo, cioè lo ricevono le anime che sono in grazia di Dio. Si tratta perciò d’una qualità assai diversa e infinitamente superiore all’umiltà intesa in senso puramente umano: è una benedizione che scende dall’Alto e aiuta gli uomini ad acquisire e a mantenere il giusto atteggiamento nei confronti di Dio.

Naturalmente, chi possiede l’umiltà cristiana è umile anche di fronte agli uomini, perché vede negli uomini i fratelli in Dio, da amare per amor Suo e non perché, necessariamente, essi siano amabili in se stessi; anzi, diciamo pure, con franca lingua, che, sovente, quanto a se stessi, gli altri uomini non sono amabili affatto. Il precetto di amare gli uomini indipendentemente dall’amore di Dio, di quel Dio che è stato annunciato da Gesù Cristo, vero Uomo e vero Dio al tempo stesso, non ha nulla a che fare con il cristianesimo, ma semmai con le morali volontariste, laiciste e massoniche degli ultimi tre secoli, frutti di un mondo secolarizzato e proteso verso l’autoaffermazione dell’uomo. E non hanno funzionato, perché i fatti si sono incaricati di mostrare che gli uomini, quando vogliono realizzare un mondo migliore senza Dio, senza quel Dio che è l’amore e il perdono, perché è il Padre di tutte le creature, venuto nel mondo a sacrificarsi per redimerle dal male, tutto ciò che riescono a realizzare è qualcosa di molto simile all’inferno.

In ogni caso, l’umiltà cristiana non giunge mai fino alla glorificazione dell’altro uomo: mai, per nessuna ragione. Negli Atti degli Apostoli c’è un episodio significativo q questo proposito. Nel paese di Listra, fra Galazia e Licaonia, nell’intermo dell’Asia Minore, San Paolo ha guarito, con la potenza di Dio, un ragazzo storpio; la gente del posto, commossa e turbata, crede che Paolo e Barnaba siano degli dei in forma umana, Zeus ed Hermes, e li vorrebbe adorare; al che essi reagiscono vigorosamente (14, 8.-17):

C’era a Listra un uomo paralizzato alle gambe, storpio sin dalla nascita, che non aveva mai camminato.Egli ascoltava il discorso di Paolo e questi, fissandolo con lo sguardo e notando che aveva fede di esser risanato, disse a gran voce: «Alzati diritto in piedi!». Egli fece un balzo e si mise a camminare. La gente allora, al vedere ciò che Paolo aveva fatto, esclamò in dialetto licaonio e disse: «Gli dèi sono scesi tra di noi in figura umana!». E chiamavano Barnaba Zeus e Paolo Hermes, perché era lui il più eloquente. Intanto il sacerdote di Zeus, il cui tempio era all’ingresso della città, recando alle porte tori e corone, voleva offrire un sacrificio insieme alla folla. Sentendo ciò, gli apostoli Barnaba e Paolo si strapparono le vesti e si precipitarono tra la folla, gridando: «Cittadini, perché fate questo? Anche noi siamo esseri umani, mortali come voi, e vi predichiamo di convertirvi da queste vanità al Dio vivente che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano.Egli, nelle generazioni passate, ha lasciato che ogni popolo seguisse la sua strada; ma non ha cessato di dar prova di sé beneficando, concedendovi dal cielo piogge e stagioni ricche di frutti, fornendovi il cibo e riempiendo di letizia i vostri cuori». E così dicendo, riuscirono a fatica a far desistere la folla dall’offrire loro un sacrificio.

Ma il signor Bergoglio, che usurpa il titolo e le funzioni di papa, e abusa di entrambi per il danno della Chiesa e la confusione dei fedeli, non conosce neppure l’ABC dell’umiltà cristiana. Accecato da un folle orgoglio, lo stesso che lo ha spinto a cercare in ogni modo di farsi eleggere nel conclave del marzo 2013, pur sapendo benissimo di non aver diritto a essere eletto, se non altro perché gesuita, e pur sapendo, come tutti, che Benedetto era stato costretto alle dimissioni da un oscuro ricatto, non ha mai smesso d’incoraggiare l’idolatria verso la sua persona, anche ostentando gesti di falsa umiltà spinta fino al grottesco e all’indecente, come quando, il sedere proteso per aria, si è prostrato fino a terra, per baciare i piedi degli uomini politici del Sud Sudan, umiliando non tanto se stesso, quanto la dignità di vicario di Cristo e scandalizzando le anime con un gesto che mai nessuno, né Gesù, né i suoi Apostoli, né i Santi, nel corso di quasi duemila anni di storia, si son mai sognati di fare.

Del pari, durante la Via Crucis del Venerdì Santo del 2019, non ha avuto il benché minimo ritegno a strumentalizzare in maniera sacrilega la sacra processione, per inscenare una gigantesca sceneggiata propagandistica pro-immigrazione/invasione; e questo mentre i vescovi delle Conferenze episcopali della Comunità Europea scendono ufficialmente in campo contro i “populismi” e i loro ideologi, Bannon e Dugin, trasformando la ricorrenza della santa Pasqua in un evento tutto declinato in chiave politica.

E suor Eugenia Bonetti, presidente dell’associazione Slaves no more, missionaria in Africa per ventiquattro anni, ha steso i testi delle meditazioni per la Via Crucis al Colosseo, tutti in chiave pro immigrazione/invasione, a riprova del fatto che la deriva apostatica del signore argentino travestito di bianco sta facendo un immenso danno anche tra le file del clero e sta strumentalizzando, probabilmente senza che se ne rendano neppur conto, migliaia di sacerdoti, religiosi e religiose.

Eppure, quel signore sa benissimo di commettere un abuso; sa di forzare oltre ogni limite della decenza il testo evangelico; sa di manipolare e stravolgere il concetto dell’amore del prossimo, così come Gesù lo illustra, ad esempio, nella parabola del buon Samaritano; e sa benissimo che Gesù, Giuseppe e Maria non erano per nulla dei migranti, né dei profughi, come invece egli non si stanca di dire anche nelle omelie domenicali, mentendo e reiterando la menzogna e la strumentalizzazione. Così pure, egli sa benissimo che una bella fetta di credenti, compresi alcuni che pure fanno il tifo per lui, su questo punto non sono affatto persuasi: non credono, cioè, che l’essere cristiani implichi il dovere di farsi invadere e di lasciarsi sostituire, in casa propria, da popolazioni di altra razza, altra cultura e altra fede religiosa; anzi, sa che molti sospettano che qui vi sia un passaggio non chiaro della sua “pastorale”, e prendono le distanze da lui su questo punto.

Eppure, non gliene importa nulla delle divisioni che crea nel Corpo mistico di Cristo; da mesi, da anni, non lascia praticamente passare un solo giorno senza battere e ribattere su questo tasto, ossessivamente, incessantemente: i migranti/invasori hanno il diritto di sbarcare nei nostri porti e noi, come uomini e come cristiani, abbiamo il dovere di accoglierli. Né gl’importa il fatto che il cardinale Robert Sarah, un africano, il quale conosce le condizioni dell’Africa assai meglio di lui, non si stanchi di predicare la tesi opposta: che questa emigrazione di massa non è un bene, ma un male, sia per gli africani, sia per gli europei; che lascerà l’Africa priva di speranza e delle sue forze migliori, ancor più povera e disperata, ed equivarrà, per l’Europa, a un totale stravolgimento e alla sovversione definitiva della sua civiltà, cristianesimo compreso, dato che la maggioranza dei migranti/invasori è di religione islamica, come lo è nella patria di Sarah, la Guinea.

E, sia detto fra parentesi, egli non pensa che il colonialismo europeo sia stato un capitolo totalmente negativo; pensa anzi che alcuni aspetti di quel fenomeno storico siano stati positivi per i popoli africani e abbiano contributo alla loro elevazione spirituale, morale e materiale.

Ma torniamo al discorso sull’umiltà e al vergognoso stravolgimento di questo concetto operato dall’impostore argentino al fine di accrescere la sua popolarità e non certo di ricondurre le anime a Cristo; quest’ultimo, anzi, per lui è un dettaglio, se non addirittura un disvalore, dato che, parlando con il giornalista Eugenio Scalfari, gli disse chiaro e tondo che non si sarebbe mai sognato di volerlo convertire, e anzi di ritenere che l’apostolato sia “una solenne sciocchezza”; e visto anche che, in diverse occasioni, ha evitato d’impartire la benedizione alla folla, per non “offendere” quelli che forse non erano cattolici.

Ci piacerebbe che i sostenitori di questo papa così “buono” e “misericordioso” (ma chissà cosa ne pensano i francescani e le francescane dell’Immacolata; bisognerebbe chiederlo a loro) riflettessero su una annotazione della beata Veronica Giuliani, una delle più grandi anime mistiche nell’intera storia della Chiesa, a proposito del dono dell’umiltà cristiana, che lei chiama “la prima lezione da imparare alla scuola dell’amore”, e che qui ci permettiamo di riportare (da: Veronica Giuliani, Esperienza e dottrina mistica. Pagine scelte, a cura di P. Lazaro Iriarte, Roma, Editrice Laurentianum, 1981, p. 262-263):

Questa mattina, nell’orazione, ho avuto il raccoglimento nel quale il Signore mi ha fatto capire che nella scuola di amore si impara il modo che deve tenere un’anima crocefissa. Prima mi ha fatto conoscere, per via di comunicazione, che chi vuole imparare questa scuola di amore deve dare bando affatto all’amor proprio; e mi ha dato a vedere come questo amor proprio entra ancora nelle cose sante e nelle virtù più eroiche. È come, per esempio, un ladro che ruba nascostamente qualche pregiata gioia. Così è questo nemico di virtù. Ruba all’anima la più pregiata gioia che è la santa umiltà. Esso vorrebbe questo medesimo luogo; e giacché tal posto non si affà, nemmeno può sopportare  che l‘anima si prevalga di sì grande virtù.

Oh Dio! Eppure, senza che noi ci accorgiamo di niente esso ruba ed anche piglia dominio in modo, che tutto vorrebbe tener lui in mano. E qui ci vuole una vigilanza non ordinaria; perché, quando si vuole scacciare, non vuol partire. Ma spero in Dio che siccome mi dà lume sopra di esso, anche mi darà forza e modo di non più seguitarlo.

Il Signore mi ha dato lume che non si può entrare per la porta d’amore, se l’anima non fa partenza affatto coi sensi. E questi sono così uniti coll’amor proprio, che, tutti d’accordo, tengono legata la povera anima che non possa del tutto unirsi al sommo Bene. E tutte queste cose non si conoscono bene, sinché l’anima non si mette alla scuola del divino Amore. Oh! Che modo lui tiene per tirare in tutto e per tutto quest’anima nostra al suo vero conoscimento. Di quello che Esso mi fa capire, in queste comunicazioni, non posso dire parola. Solo descrivo tutte queste cose. Ma questi sono i lumi delle comunicazioni, ma non quello che, in quel punto, io provo. (29/04/1697).

Ma che ne sa il signore argentino del modo che deve tenere un’anima crocefissa; che cosa ne può capire del percolo che il diavolo, attraverso la breccia dell’amor proprio, rubi all’anima la più pregiata gioia che è la santa umiltà, lui che nei conventi di clausura ci va solo per raccontare le barzellette e far ridere scompostamente le suore; lui che denigra sistematicamente e deliberatamente la vita contemplativa, e che dichiara esserenon sanol’amore del silenzio, e fa raccomandare una bella visita psichiatrica alle ragazze intenzionate a farsi suore di clausura?

Che ne sa di quelle cose le quali tengono legata la povera anima che non possa del tutto unirsi al sommo Bene, lui che si appaga del quotidiano applauso delle folle, fosse pure mostrando loro il deretano, per far vedere, baciando i piedi degli uomini – lui che non s’inginocchia mai davanti all’Altissimo – quanto è pieno di umiltà il suo cuore compassionevole e “francescano”?

Il concetto stesso di anima crocifissa non fa parte del suo vocabolario, perché non fa parte del suo universo mentale. Il suo universo mentale non ha nulla di spirituale, contiene solamente concetti umani; e la molla fondamentale di tutta la sua cosiddetta pastorale non è altro che un cieca brama di onori e riconoscimenti, dal massonico Premio Carlo Magno al massonico applauso tributatogli nella sede del Parlamento europeo.

Non si chiede perché, appena il suo predecessore diceva qualcosa di cattolico, subito aveva tutti contro, dai politici, agli intellettuali, agli stessi vescovi; mentre qualsiasi cosa dica lui, va sempre bene, e se pure talvolta non va bene, s’intende dal loro punto di vista, gliela passano ugualmente per buona, o al massimo la relegano in un trafiletto nella quarta pagina dei giornali a grande tiratura, quelli che piacciono al mondo e che sono finanziati dalla massoneria e da altre forze esplicitamente anticristiane.

O, se pur se lo chiede, non gl’importano le conclusioni, perché egli sa benissimo di essere stato eletto per fare proprio quel che sta facendo: seminare il dubbio, spargere la zizzania, diffondere il veleno sottile, ma micidiale, della mentalità laica, materialista, immanentista, anche nelle cose più spirituali e nei più sublimi misteri della fede cattolica. Allorché dice, ad esempio, rivolgendosi alla folla, che la Morte di Cristo è un fatto storico, mentre la sua Resurrezione riguarda “solo” la fede, sa benissimo di dire una cosa insidiosa, perfida, diabolica; sa benissimo di inoculare il pungiglione del dubbio nel cuore dei fedeli: ma non solo non gliene importa, certamente se ne compiace.

Quello è il suo lavoro: per far quello è stato eletto dalla mafia di San Gallo, non certo per innalzare le anime e parlar loro della santità. Non innalzarle, ma abbassarle: altrimenti, perché dire che Maria Santissima era solo una donna come tante, una ragazza normalissima; e che, sotto la Croce di suo Figlio, si sentì ingannata da Dio? Perché, se non per abbassare le anime fino a terra?…

Per gentile concessione dell’Autore: accademianuovaitalia.it

2 commenti su “C’era una volta l’umiltà cristiana”

  1. Mai avrei immaginato negli anni nemmeno tanto addietro di leggere cose simili su di un papa. Stiamo vivendo tempi terribili. E, ahimè, quanto ha ragione Francesco Lamendola!

    1. Carla D'Agostino Ungaretti

      Sono totalmente d’accordo con lei, signora Tonietta! E piango leggendo queste righe. Affidiamoci a Dio e alla Sua Santa Madre.

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