Chiese chiuse… e altre considerazioni  –  di Giovanni Lugaresi

Si lamenta la scarsità di vocazioni, la chiusura di chiese, l’accorpamento di parrocchie… ma perché tanti preti e monsignori, impegnati nella proliferazione di uffici e “specializzazioni” curiali, non vengono mandati in parrocchie abbandonate in cura d’anime?

di Giovanni Lugaresi

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zzzzchschsC’è una cosa che non riesco a capire, pur facendo semplici, ragionate considerazioni. Mi pare che nessuno abbia detto nulla in proposito, ancorché si lamenti la scarsità di sacerdoti, la chiusura di chiese, l’accorpamento di parrocchie, con relativi compianti per quei “poveri preti” che la domenica devono correre da una chiesa all’altra per celebrare quello che un tempo veniva definito il “Divino Sacrificio”.

Allora, ai miei tempi di vecchio cattolico classe 1941, e in una città non certamente clericale come Ravenna, c’erano tante parrocchie, e un numero adeguato di sacerdoti e di parroci, molti dei quali si avvalevano della collaborazione di giovani cappellani, basti pensare a San Rocco, a San Biagio. C’era l’arcivescovo e c’era un vicario generale (uno solo, e pare che bastasse per tante parrocchie e varie istituzioni ecclesiastiche religiose e/o laicali). Ricordo monsignor Marcello Morgante, poi diventato vescovo di Ascoli Piceno, sostituito alla sua partenza dal carissimo monsignor Vincenzo Brandolini, uomo di cultura giuridico-teologica, e sacerdote di fede, bontà e generosità.

Ma lasciamo da parte i ricordi e veniamo al presente.

Scarsità di vocazioni, come si è detto, e per restare alla mia Ravenna, eliminazione a suo tempo di parrocchie come San Domenico, legata alla figura stupenda (curatore d’anime e uomo di cultura) di don Urbano Dradi, e (precedentemente)  di Sant’Eufemia; eliminazione recente della presenza dei Frati Cappuccini (dopo quattro secoli), per fare qualche esempio. Senza omettere che oggi le due citate chiese parrocchiali sono musei!

Poi, guardiamoci intorno, e al di là di quella mia terra natale, di quel mio “paese dell’anima”.

Per constatare che cosa? Che pur in presenza del fenomeno citato, cioè sempre meno vocazioni, sempre meno chiese aperte, sempre meno fedeli che le frequentano, aumentano le “cariche” clericali. Dovunque si vada, non più soltanto un vicario generale, ma poi, altri vicari: per la pastorale, per i giovani, per questo e per quest’altro settore – vere e proprie “specializzazioni”, viene da osservare.

Ma non sarebbe meglio se questi don o monsignori vicari venissero mandati in parrocchie abbandonate in cura d’anime invece che occupare uffici, riempire scartoffie di strutture ecclesiastiche che (vorrei sbagliarmi) sono caratterizzate da varie burocrazie? Certe mansioni non potrebbero essere svolte da laici?

Succede, e la deformazione professionale forse mi induce al parallelo, come nelle redazioni dei giornali. Con le nuove tecnologie, il numero dei giornalisti diminuisce (non le… vocazioni al giornalismo, bensì le assunzioni!), mentre crescono vicedirettori, capiredattori, capiservizio. Un tempo, in una azienda giornalistica come poteva essere Il Resto del Carlino, con redazioni provinciali in Emilia-Romagna, Marche, Veneto (e uno “sconfinamento” in Lombardia – Mantova) c’erano un solo direttore, un solo caporedattore per tanti giornalisti, e che bel giornale veniva fuori…

Ma torniamo ai pochi preti, alle chiese chiuse o trasformate in musei, alle parrocchie accorpate, ai sacerdoti che corrono di qua e di là, e poi ai tanti… caballeros curiali.

Qualcuno mi spieghi se sono in errore, se i miei argomenti sono semplicistici, se penso e scrivo stupidaggini, o se, magari… le mie osservazioni non sono peregrine! E se hanno qualche fondamento, qualcuno penserà di provvedere?

Et de hoc, satis!

11 commenti su “Chiese chiuse… e altre considerazioni  –  di Giovanni Lugaresi”

  1. Ottimo…cosa fanno i vescovi italiani!?
    Aspettano posti, decorazioni, soldi e rompono a chi ha ancora la fede cattolica!

  2. Caro Lugaresi,
    il suo articolo bisognerebbe incorniciarlo; o, meglio, duplicarlo in centinaia di copie, onde spedirle a tutte le curie italiane.
    E qui bisognerebbe aprire un altro capitolo. Non sarebbe il caso di unificare parecchie diocesi, alcune di dimensioni ridicole, e comandare i prelati in grandi parrocchie da rivitalizzare ?
    Io abito a Milano. Rispetto a vent’ anni fa le Sante Messe sono diminuite drammaticamente. E poi che succede ? Le concelebrazioni aumentano a dismisura. Non è un contro senso ?
    Il problema vero è un altro. Non si crede più nel valore espiatorio, soddisfatorio e impetrante del Santo Sacrificio, ormai rubricato a cena conviviale, a cui tutti devono partecipare, siano in stato di Grazia o meno.
    In apparenza questo risultato sembra non influire sulla società: Invece pesa, eccome. Basta guardare ai favori della ss. Trinità elargiti col contagocce alla nostra epoca.

    Gaetano

  3. Ottime considerazioni. Pare che ci sia uno scambio di ruoli, i laici vogliono fare quel che compete ai sacerdoti, mentre con grande beneficio alle comunità potrebbero sostituire i sacerdoti in compiti “laici”.
    Ma qualcuno penserà di provvedere?

    1. E’ sempre un problema di fede, cara Marialaura. La maggioranza dei sacerdoti non crede più nei dogmi fondamentali del cattolicesimo. Trascinando nel baratro ( infernale) anche molte anime candide.

  4. Carla D'Agostino Ungaretti

    E’ l’ennesima dimostrazione, come se ancora ce ne fosse bisogno, che la chiesa del nostro tempo imita il “mondo” perché vuole piacergli ed essere equiparata a lui quanto a considerazione e peso politico. Tra poco la chiesa cattolica sarà considerata una multinazionale e avrà una ragione sociale come una S.p.A.. Il papa sarà l’amministratore delegato e i cardinali costituiranno il consiglio di amministrazione. Il demonio sta riuscendo anche in questo: far dimenticare che la chiesa appartiene a Cristo e non agli uomini.

  5. E’ la nuova Pentecoste. E’ la primavera della Chiesa. Quella annunciata da Giovanni XXIII e dal suo concilione.
    Ho passato la mia infanzia – negli anni ’60 e ’70 – in prov. e dioc. di Siena, in un paese di circa millecinquecento abitanti, capoluogo di un comune di circa tremila; il territorio comunale era diviso fra sei parrocchie ognuna col suo parroco (un prevosto, due arcipreti, tre pievani); c’erano due piccoli conventi di suore, ognuno comprendente quattro / cinque religiose, che gestivano due scuole materne (al tempo si chiamavano asili). Ora c’è un solo prete per tutto il territorio comunale; le suore non ci sono più.
    Sarà pur vero che la popolazione è diminuita, ma qualcuno si dovrà pur domandare se la cura imposta alla Chiesa Cattolica col Concilione e che doveva portare una nuova Pentecoste, la primavera, è risultata efficace o no; si dovrà pur domandare come mai i seminari dove si insegna la Fede di sempre e si celebra la Messa di sempre, sono pieni, e gli altri vuoti.

  6. Stiamo diventando come il Belgio, dove le Chiese chiudono o diventano moschee!
    Cosa aspettarci oramai da questa Chiesa con a capo (bergoglio, fedele seguace del Male…che INfedele alla Parola di Cristo sta adattando a proprio piacere ( e al piacere di questo marcio mondo)
    le sue folli idee ( per es. le donne diacono).
    Quando Dio tornerà sulla Terra, troverà ancora la Fede?
    Bergoglio,lo sa che… invece di curarsi di ciò che dice il mondo, dovrebbe invece curarsi di ciò che Dio dirà di lui?

  7. Per non dire di tanti sacerdoti mandati in pensione allo scadere dei settantacinque anni,quando sono ancora arzilli e desiderosi di tenere i loro seminari ad adulti e giovani e vengono esclusi non per incapacità fisica o intellettuale ma, perchè da qualche parte intorno a loro si è fomato un club San Gallo che porta avanti altri “piani”, altri “ideali”.

  8. I preti dovrebbero impiegare il loro tempo a pregare, dir messa , confessare e visitare le famiglie per soffrire e gioire con loro, lasciando ai laici la burocrazia e l’impegno sociale.

  9. C’è qualcosa di perverso e diabolico in questo “progresso”. MI permetto di paragonare la situazione del sacerdote alla mia di medico ospedaliero. Più o meno 30 anni fa impiegavo la quasi totalità del tempo per raccogliere la storia della malattia dalla voce del malato stesso (l’aspetto più importante che potremmo paragonare alla confessione), fare poi una vista accurata e compilare in breve tempo un documento clinico. Adesso il tempo dedicato all’ammalato è ridotto al minimo, essendo il medico oberato dalla compilazione di una quantità enorme di documentazione (consensi informati, moduli vari, scale di valutazione, piani terapeutici, progetti, raccolta di firme, ecc., ecc.). E ritornando a questo bellissimo articolo, ricordo quando piccino entravo in chiesa, qualsiasi chiesa, e scorgevo sempre, e dico sempre, il parroco nell’ultimo banco, intento alla lettura del breviario ed in attesa di qualche anima bisognosa di conforto o di una buona confessione. Ma adesso chi lo vede?

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