Clamorosa scoperta postmoderna: d’estate fa caldo! – di Roberto Pecchioli

di Roberto Pecchioli

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La nonna dell’estensore delle presenti note era del 1886. La sua istruzione si era limitata alla seconda elementare, dopo la quale, orfanella con tre fratelli, aveva iniziato a lavorare. Altri tempi davvero, ma nonna Luigia dalla poca istruzione possedeva però una straordinaria sapienza materiale. Come tutti quelli della sua generazione, sapeva fare di tutto e per qualsiasi situazione conosceva un proverbio, a cui si atteneva con saggezza antica. Due o tre erano autentici tormentoni familiari; tradotti dal dialetto, li ricordiamo ancora. Il caldo e il freddo arrivano sempre; tutti i tempi vengono; e poi quello ripetuto con maggiore intensità, pronunciato talvolta in italiano forse per rafforzarne il senso: il Signore non paga il sabato.

Nell’anno di grazia 2017, le vecchia cultura dei nonni è screditata, come tutto quanto riguarda il passato. Retaggio di epoche oscure, non illuminate dal progresso e dalla scienza. Nessuna “dotta ignoranza”, secondo la formula di Nicola Cusano, da parte degli antenati. Solo ignoranza e chiusura mentale. Per fortuna, la seconda parte del XX secolo ed il presente Terzo Millennio stanno rimediando rapidamente. Infatti, è di queste settimane la clamorosa scoperta che d’estate fa caldo. Televisione, stampa, commenti della gente. Fa caldo, tanto caldo: l’afosa stagione rende giustizia alla conclusione cui sono pervenuti gli esperti, vasta, variegata ed indispensabile categoria postmoderna. Basteranno alcuni mesi di attesa, ed è assai probabile che i sapientoni accertino inoppugnabilmente che d’inverno fa freddo. Pretendiamo certezza scientifica e la garanzia degli esperti!

Bastava chiedere alle generazioni precedenti, persuase di essere nani sulle spalle di giganti, convinte di vivere in un tempo ciclico, dove ad una stagione se ne sarebbe succeduta inevitabilmente un’altra, tutte da accettare e ai cui ritmi adeguare la propria vita: il freddo e il caldo vengono sempre, lo sapeva la nonna e tutti gli altri prima di lei. L’uomo moderno ha interrotto la catena, che è fatta di tempo e di generazioni. Figlio e padre di se stesso, egli in fondo disprezza la natura. Innanzitutto, c’era prima di lui e gli sopravvivrà, ciò che il civilizzato contemporaneo non sopporta. Prima e dopo di me il diluvio, pensa, andando oltre la convinzione assolutista di Luigi XV, che, per lo meno, era sovrano di Francia.

La natura si permette di mutare con le stagioni. Ci sono periodi con poca luce, in cui il giorno è più corto della notte, ed i consumi di energia elettrica aumentano perché non sopportiamo il buio. Le temperature ideali del fragile Homunculus postmoderno occidentale vanno dai 15-18 gradi ai 25, a condizione che il tasso di umidità non ecceda il 40 per cento. Una domanda sorge spontanea, avrebbe detto Antonio Lubrano: come hanno fatto i nostri antenati, i nostri genitori, e, per i meno giovani, come abbiamo fatto noi stessi a resistere nelle calde estati umide, o nei pesanti inverni freddi e poco illuminati? Ma no, è tutto uno scherzo, il freddo ed il caldo sono fatti recenti. Questo devono pensare troppi selvaggi con telefonino, anzi neo primitivi con smartphone e tatuaggi d’ordinanza, regrediti alla condizione prelogica che erroneamente Lèvy-Bruhl attribuiva agli uomini preistorici.

Oggi tutto è comunicazione, anzi spettacolo. Guy Debord aveva visto giusto, ed allora ecco che anche l’estate diviene rappresentazione attraverso le temperature. Ondata di caldo africano, settimana torrida, anticicloni battezzati Lucifero o Caronte, e chissà se provengono dalle Azzorre o da qualche landa desertica ed infuocata. Non sappiamo più accettare il ciclo della vita, e, perbacco, il caldo e il freddo sono complicazioni che andrebbero abolite. Dannata nonna che accettavi la condanna massima, essere creature soggette a troppe cose più grandi di poi, che eccedono la comprensione ed sono anteriori a tutti noi.

Noi siamo stati abituati a considerare ogni cosa, dalla politica all’economia, dalla conoscenza alla società, come un problema “tecnico”. Tutto è una questione tecnica, e la soluzione, dunque, non può che essere tecnica. Il tempo atmosferico, tuttavia, resiste all’approccio modernista. Piove quando Dio vuole, altrimenti è siccità, fa caldo o freddo a seconda di fenomeni che in gran parte abbiamo compreso nelle modalità, ma di cui ci sfugge la ratio, se ne esiste una, e, soprattutto, non li sappiamo controllare. Una delle caratteristiche dell’uomo faustiano, quello che va sempre oltre e alza ogni giorno l’asticella della vita, una delle sue manie più ostinate è quella della previsione.

Dobbiamo sapere tutto con anticipo, minuziosamente, conoscere fin nelle viscere ciò che vediamo: è la grandezza e la maledizione che grava su di noi. Ecco dunque la matematica, anzi i modelli matematici irrompere nell’economia, con i disgraziati risultati che abbiamo sotto gli occhi, nella statistica, che vive di diagrammi, istogrammi, tabelle di comparazione e “curve”, e naturalmente nella meteorologia. La figura del meteorologo, l’esperto del tempo atmosferico, è divenuta centrale anche nel mondo dei media. Scagli la prima pietra chi non ha, tra le “app” del telefonino, almeno un sito dedicato a temperature, anticicloni, previsioni meteorologiche e perturbazioni.

Nel passato, hanno resistito a temperature oltre i 40 gradi in molti luoghi e senza condizionatori: a Bari si ebbero 45 gradi nel 1957, anno in cui anche l’algida Torino toccò i 42,6. Terni oltrepassò i 42 più volte, ad esempio nel 1968 e nel 1983. Pare che il primato italiano di tutti i tempi spetti ad una punta di 45 gradi e mezzo nella Palermo del 1885, ma quei retrogradi del XIX secolo avranno poi saputo misurare correttamente la temperatura, con i termometri a mercurio e nemmeno l’ombra della tecnologia digitale?  No, il caldo l’abbiamo scoperto noi, che, oltretutto, abbiamo inventato un nuovo modello, l’indice HI (Heat index), che, incrociando temperatura e umidità ha sfornato un nuovo incubo di massa, ovvero la “temperatura percepita”.

Lo strumento è controverso e poco attendibile, tanto più che nulla vi è di più soggettivo delle percezioni, ma intanto i palermitani dell’Ottocento ed i ternani di fine Novecento sono stati battuti. Si cancellino i vecchi record, si derida il sudore dell’oscuro passato, giacché nel casertano a Grazzanise ed a Ferrara sono stati “percepiti” 55 gradi Celsius. Sia pure a fatica e sbuffando senza posa, sembra che i produttori di mozzarella di bufala (Grazzanise) e quelli di salama da sugo (Ferrara) siano sopravvissuti, e possano quindi narrare i loro sudori agli esperti. Sì, agli esperti, questa insopportabile, variegata, onnipresente categoria postmoderna, i depositari di un sapere esoterico quanto ristretto e settoriale. Si finirà, osservò qualcuno, per sapere tutto di nulla.

L’estate, poi, forse per il maggior tempo libero di molti, o per la carenza di notizie di altro tipo, gli esperti vivono il loro momento magico. Fa caldo, quindi costoro, con sussiego e sfoggio di paroloni, ci spiegano che cosa bere e mangiare, come vestirci e come affrontare “l’emergenza” (tutto quanto non fa parte del pensiero unico quotidiano è definito emergenza, dagli incendi allo sciopero dei netturbini sino all’influenza che, guarda un po’, si presenta non invitata ai primi freddi dell’inverno). Scopriamo allora che non ci si deve strafogare di cibi pesanti o bere superalcolici; è raccomandato vestire abiti leggeri – del tutto sconsigliati maglioni e soprabiti – ed è preferibile non deambulare o esporsi ai raggi ultravioletti nelle ore centrali della giornata.

Le nostre madri erano dunque e sono esperte tuttologhe senza saperlo. Quella di chi scrive bandiva salumi, ripieni di carne e minestroni da giugno a settembre, toglieva dal frigorifero le bevande mezz’ora prima dei pasti e lasciava la spiaggia di Sturla prima del mezzogiorno. Al mercato, comprava sempre cibi di stagione, e del resto, nessuno pretendeva le arance d’estate o le pesche a Natale. Le stagioni erano una cosa seria, anzi normale, e lo scorrere del tempo si vedeva – se preferite si “percepiva” – già sui banchi del fruttivendolo ed anche del macellaio, giacché le braciole di maiale, poco digeribile in estate, ricomparivano all’apertura delle scuole, insieme con le castagne. Tempi passati, con la globalizzazione possiamo bere o mangiare qualsiasi cosa dodici mesi l’anno. Adesso, non sapremmo sopportare l’assenza dagli scaffali dei prodotti fuori stagione, così come non riusciamo ad affrontare le temperature più elevate – orrore, su alcuni autobus e treni non c’è l’aria condizionata a palla! – e rabbrividiamo al primo vento settembrino.

Alcuni anni fa, leggemmo un ponderoso saggio sull’economia statunitense in cui, tra grafici ed istogrammi, si affermava senza tema di smentita che lo sviluppo economico del Sud degli Usa, la vecchia Dixieland, dagli anni 50 in poi fu dovuta in larga misura alla diffusione dei condizionatori d’aria. Mark Twain ed il generale Lee sono serviti. Intanto, mentre ci si interroga sull’aumento delle temperature, una considerazione sfugge ai più. Preso atto che i mutamenti climatici sono una costante nella storia della Terra e dell’Universo, la corrente mainstream attribuisce all’uomo ogni responsabilità. C’è indubbiamente una parte di verità, specie per quanto riguarda l’indegno sfruttamento della natura da parte dell’Homo sapiens et technologicus, ma esiste una auto sopravvalutazione della nostra specie che è sorprendente ed impressionante. Dietro ogni fenomeno, per un riflesso di onnipotenza, ci deve essere obbligatoriamente l’Homo Faber fautore dell’illimitato.

Davvero, da quando non crede più in Dio, l’uomo non solo è disposto a credere a qualsiasi cosa, come comprese Chesterton, ma ha sostituito il vecchio Padreterno con se stesso. Tutto, quindi, è merito o colpa dell’uomo, meglio dell’Uomo con la U maiuscola. Egli ha scoperto tutto, ha compreso molte delle leggi fisiche o biologiche, può fare moltissime cose, una delle quali è distruggere la sua specie con le armi, non può accettare che il caldo e il freddo arrivino sempre, a stagioni pressoché fisse, come sapeva la nonna, interessata ad adeguarsi, per quanto possibile, alla circostanza immutabile.

Un meteorologo insigne, uno di quelli che meritano davvero la qualifica di esperto, l’italiano Nicolò Scafetta, un fisico originario di Gaeta che lavora per le grandi agenzie americane, sostiene addirittura che non vi è, nell’insieme della Terra, alcun riscaldamento apprezzabile, anzi il contrario, e che è il Sole a determinare i cambi climatici. Comunque sia, Scafetta, con la serenità della vera scienza, ci richiama all’umiltà, che, nella fattispecie, consiste nel non osservare i fenomeni della Natura con l’occhio della cronaca, delle news, ma a ragionare in termini di secoli, se non di ere geologiche.

Proprio il genere di monito che l’uomo faustiano non vuole accogliere: egli è il centro, anzi il sole, o, come insegnò il pessimo Protagora, è misura di tutte le cose. Homunculus è creatore, conosce la tecnica, con essa controlla, gestisce (ecco il verbo- chiave, la parolina che apre mondi!), prevede, modifica. Suo è il progresso, la marcia “in avanti”; se la natura non sa nulla di progresso, peggio per lei, che è arretrata e non obbedisce alle leggi del mercato, le uniche alle quali “non c’è alternativa”.

E se tutto è un problema tecnico, il caldo o il freddo possono essere aboliti come tali, o almeno rimossi, al pari del Male o della morte. Dio non paga il sabato, diceva nonna Luigia. Dunque, Dio è in errore, i conti si regolano nella data prescelta, secondo contratto, volontà delle parti e stabilendo con pignoleria ogni clausola. Se la natura non si lascia addomesticare, o normalizzare, e si ostina a produrre il caldo estivo ed il freddo invernale, l’uomo moderno, che rigetta i cicli della vita, deve correre ai ripari, e correggere, trasformare, riparare gli evidenti errori della creazione e della natura, questo intruso che ignora previsioni, algoritmi, non sbuffa per l’afa e non trema per il gelo.

Non c’è posto, per lei e per la creazione, in un mondo ordinato, organizzato e razionale, in una parola moderno. Se valesse anche per la meterologia il rating delle apposite agenzie, Standard & Poor’s esprimerebbe un giudizio severo con outlook negativo sul calore estivo ed il rigore invernale. Tuttavia, l’uomo che rifiuta di essere e vivere secondo natura, con tutta la sua tecnica e tutta la sua scienza, non può impedire che “ci siano più cose in cielo e in terra di quante ne sogni tutta la tua filosofia” come disse Amleto all’amico Orazio. O che, semplicemente, la natura faccia il suo corso, riassunto in una frase lapidaria di un vecchio contadino, il padre dei fratelli Cervi: dopo un raccolto, se ne fa un altro. Il freddo e il caldo tornano sempre…

5 commenti su “Clamorosa scoperta postmoderna: d’estate fa caldo! – di Roberto Pecchioli”

  1. Anche io trovo bellissimo questo articolo! Avevo tanto da fare ma non sono riuscito a fermarmi: tutto condivisibile e coinvolgente! Complimenti e vivissimi ringraziamenti a Pecchioli.

  2. S.Alfonso de Liguori durante le prediche estive commentava – per le signore che agitavano lamentandosi il ventaglio – di riflettere spesso alla calura che i poveri peccatori non convertiti avrebbero trovato all’inferno…!
    bellissimo articolo.

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