CULMEN ET FONS – rubrica di Andrea Maccabiani

Terminato il tempo pasquale, comincia il grande periodo liturgico che prende il nome di “tempo dopo Pentecoste”. Nel rito di Paolo VI questa dicitura è scomparsa: il tempo liturgico che dalla Pentecoste (tra l’altro mutilata dalla sua ottava) raggiunge le porte del tempo di Avvento si chiama “tempo ordinario” che presenta un’altra breve propaggine nelle settimane a numero variabile che vanno dall’Epifania fino alla Quaresima. Nel rito antico invece questi due tempi si chiamavano come la solennità che dava loro inizio, ovvero “tempo dopo l’Epifania” e, appunto, “tempo dopo la Pentecoste”. Si sottolineava così meglio il legame con la grande solennità di Pentecoste e l’abbondante tempo che si apre e che conclude poi l’anno liturgico. E’ il tempo della Chiesa guidata e assistita dallo Spirito Santo in un’era che avrà fine solo quando finirà la storia di questo mondo. Non a caso le ultime settimane che precedono l’avvento hanno un marcato sapore escatologico. Nel rito ambrosiano ciò è esteticamente visibile anche dal colore liturgico che è rosso come la Pentecoste. Nel rito romano  sia antico che moderno invece è il verde.

Le pericopi evangeliche descrivono la vita pubblica del Signore, i suoi insegnamenti e i suoi miracoli. Sono il nutrimento quotidiano per la Chiesa generata dallo Spirito Santo e che cammina alla Sua luce. Nel rito antico non esiste una liturgia feriale propria: se non ci fossero memorie di Santi, è possibile celebrare nuovamente la messa celebrata la domenica precedente oppure scegliere una messa votiva dal grande ventaglio che il messale offre. Nel rito nuovo è stata invece introdotta la novità del formulario feriale del tempo ordinario, dove questo non è interrotto dalle memorie dei santi. Anche le letture sono fatte in maniera continuativa secondo un criterio narrativo.

Nel rito antico non esiste un prefazio del tempo dopo Pentecoste. Le rubriche prescrivono la recita o il canto del prefazio della Santissima Trinità. Facciamo un passo indietro: il prefazio è la solenne preghiera liturgica che il sacerdote recita o canta prima del Sanctus e del Canone. Ce ne sono per ogni occasione: Natale, Pasqua, Quaresima, Passione, celebrazioni in onore della Beata Vergine… manca solo quello del tempo dopo Pentecoste, che pure è il più lungo. Non è una svista: il prefazio della Santissima Trinità è il testo che nei secoli è stato il più utilizzato per le celebrazioni. E’ un testo di altissimo valore liturgico e teologico, che vale la pena di leggere in  latino e in traduzione italiana:

Vere dignum et iustum est,                                                                                                                                                       æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere:                                                                                                     Dómine, sancte Pater, omnípotens ætérne Deus:
Qui cum Unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto

unus es Deus, unus es Dóminus: 
non in uníus singularitáte persónæ, 
sed in uníus Trinitáte substántiæ. 

Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, 
hoc de Fílio tuo,
hoc de Spíritu Sancto, 
sine discretióne sentímus.
 
Ut, in confessióne veræ sempiternæque Deitátis,
et in persónis propríetas, 
et in esséntia únitas, 
et in maiestáte adorétur æquálitas. 
 
Quem laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim, qui non cessant clamáre cotídie, una voce dicéntes: 
Sanctus, Sanctus, Sanctus…


E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.

Con il tuo unico Figlio e con lo Spirito Santo sei un solo Dio, un solo Signore, non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza.
Quanto hai rivelato della tua gloria, noi lo crediamo, e con la stessa fede, senza differenze, lo affermiamo del tuo Figlio e dello Spirito Santo.

E nel proclamare te Dio vero ed eterno,
noi adoriamo la Trinità delle Persone,
l’unità della natura, l’uguaglianza nella maestà divina.
Gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, non cessano di esaltarti uniti nella stessa lode:

Santo, Santo, Santo…..

 

E’ la proclamazione semplice e puntuale della Fede cattolica nel Dio Trinità. In poche righe è condensato il dibattito di secoli e le trattazioni di intere biblioteche. La Chiesa lo proclama nel momento più importante della S. Messa quando si appressa il momento della consacrazione.

4 commenti su “CULMEN ET FONS – rubrica di Andrea Maccabiani”

    1. Il rito di sempre é meraviglioso perché rappresenta il rito completamente cattolico e non quello amputato, mischiato di protestantesimo, come quello di Paolo VI che – se si leggesse l’art. 9 della sez sui Sacramenti del Con di Trento (Denz 1613) – si capirebbe come non ha motivo di esistere: nessun NUOVO RITO! E chi giustifica il giustificabile, non sa guardare ai frutti per comprendere la natura dell’albero.

      Nel Rito Ambrosiano (vaghe reminescenze giovanili), il conopeo persiste Rosso per tutto questo tempo; non esiste conopeo Verde in questo rito. Il colore rosso rimane fino alla III Domenica di Ottobre, Dedicazione della Chiesa Cattedrale, dopo la quale il colore liturgico diviene verde (conopeo Rosso – un po’ come quando in Rito Romano il sacerdote veste Nero con conopeo Viola) fino all’inizio del nuovo anno liturgico.

      Da ricordare (!!!) che la Festa di Cristo Re non é l’ultima dell’anno (quello lo é per i protestanti che difatti spostano la regalità di Cristo nel futuro e non già ora), ma fissata da Pio XI all’ultima di ottobre.

      Ave Maria!

  1. Per i più “saccenti” che giustificano il rito di Paolo VI, ecco alcune proposizioni DOGMATICHE:

    Concilio di Trento (Denz 1759): Can. 9
    Se qualcuno dirà che il rito della Chiesa Romana, secondo il quale parte del canone e le parole della consacrazione si profferiscono a bassa voce, é da condannarsi; o che la messa deve essere celebrata solo nella lingua del popolo; o che nell’offrire il calice l’acqua non deve essere mischiata col vino, perché ciò sarebbe contro l’istituzione di Cristo: sia anatema.

    Condanna del Sinodo di Pistoia, Papa regnante Pio VI, A.D. 1794 (Denz 2666):
    La proposizione che asserisce che: “é contro la prassi apostolica ed i progetti di Dio se non vengono predisposte per il popolo vie più facili per unire la sua voce con la voce di tutta la Chiesa” intesa sull’uso della lingua volgare da introdurre nelle preghiere liturgiche: é falsa, temeraria, turbativa dell’ordinamento prescritto per la celebrazione dei misteri e facile generatrice di molti mali.

    …(continua)…

  2. Concilio di Trento (Denz 1613): Can. 9
    Se qualcuno afferma che i riti tramandati e approvati dalla Chiesa cattolica, soliti ad essere usati nell’amministrazione solenne dei sacramenti, possano essere disprezzati o tralasciati a discrezione senza peccato da chi amministra il Sacramento, o cambiati da qualsivoglia pastore di chiese con altri NUOVI RITI: sia anatema.

    Bolla “Quo Primum Tempore” di S. Pio V
    Facilmente reperibile su internet.

    Chi giustifica il nuovo rito, giustifica l’ingiustificabile dietro una falsa idea di “obbedienza”. Si dice che il demonio non sa obbedire: non é vero, sa instillare nell’uomo quella falsa obbedienza che lo porta ad allontanarsi da Dio. È furbo quel maledetto. Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. E se ogni sacerdote si leggesse BENE la Bolla di S. Pio V, comprendesse la perpetuità di quello che c’é scritto, proprio alla luce dei canoni appena citati, comprenderebbe come non potrebbe recitare la “nuova messa” senza dubbi di coscienza. Davanti a Dio.

    Gli “intelligentoni” pronti a giustificarsi NON sono ben accetti…

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