CULMEN ET FONS – rubrica di Andrea Maccabiani

Oggi la Chiesa universale festeggia i Santi Apostoli Pietro e Paolo. La liturgia antica prevedeva per questa occasione un vero e proprio triduo: il 28 giugno si iniziava con la vigilia penitenziale (colore violaceo), il 29 il giorno solenne della festa in cui veniva ricordato soprattutto l’apostolo Pietro e il 30 giugno la commemorazione di San Paolo (colore liturgico rosso, proprio del martirio). Il 29 giugno ha il rango di I classe, così come nel calendario nuovo dove però sono spariti sia la vigilia che la commemorazione di San Paolo il 30.

Per la festa di oggi è usanza vestire la statua di bronzo sita nella Basilica Vaticana, con il manto papale e la tiara.

 

Il centro liturgico ideale è la basilica di San Pietro dove il Romano Pontefice pontificava solennemente. In epoca recente (fino a Benedetto XVI) è nato l’uso di celebrare i primi vespri nella basilica di San Paolo per onorare anch’essa della presenza papale in tale felice occasione. Nel corso della S. Messa del 29 è invalso l’uso di consegnare agli arcivescovi metropoliti il caratteristico pallio di lana, ottenuto con la lana degli agnelli benedetti dal Papa il 21 gennaio (festa di S. Agnese) e deposto per una notte sopra la tomba dell’Apostolo. Il pallio è simbolo dell’agnello che il Buon Pastore reca sulle spalle ed è prerogativa degli arcivescovi che reggono diocesi metropolitane, cioè che siano di riferimento ad altre diocesi minori di un territorio limitrofo, chiamato appunto metropolia.

 

MEDITAZIONI DI DOM PROSPER GUERANGER,

tratte dalla sua opera: “L’anno liturgico”.

 

La risposta dell’amore.

“Simone, figlio di Giona, mi ami tu?”. Ecco l’ora in cui si fa sentire la risposta che il Figlio dell’Uomo esigeva dal pescatore di Galilea. Pietro non teme la triplice domanda del Signore. Dalla notte in cui il gallo fu meno pronto a cantare che non il primo fra gli Apostoli a rinnegare il suo Maestro, lacrime senza fine hanno segnato due solchi sulle sue guance; ma è spuntato il giorno in cui cesseranno i pianti. Dal patibolo sul quale l’umile discepolo ha voluto essere inchiodato con il capo in giù, il suo cuore traboccante ripete infine senza timore la protesta che, dalla scena sulle rive del lago di Tiberiade, ha silenziosamente consumato la sua vita: “Sì, o Signore, tu sai che io ti amo!” (Gv 21,17).

 

L’amore, segno del nuovo sacerdozio.

L’amore è il segno che distingue dal ministero della legge di servitù il sacerdozio dei tempi nuovi. Impotente, immerso nel timore, il sacerdote ebreo non sapeva far altro che irrorare l’altare figurativo del sangue di vittime che sostituivano lui stesso. Sacerdote e vittima insieme, Gesù chiede di più a coloro che chiama a partecipare alla prerogativa che lo fa pontefice in eterno secondo l’ordine di Melchisedech (Sal 109,4). “Non vi chiamerò più servi, perché il servo non sa quel che fa il padrone. Ma vi ho chiamati amici perché vi ho comunicato tutto quello che ho udito dal Padre mio (Gv 15,15). “Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi. Perseverate nell’amor mio” (ivi, 9).

Ora, per il sacerdote ammesso in tal modo nella comunità del Pontefice eterno, l’amore è completo solo se si estende all’umanità riscattata nel grande Sacrificio. E, si noti bene: in ciò vi è per lui qualcosa di più dell’obbligo comune a tutti i cristiani di amarsi a vicenda come membra di uno stesso Capo; poiché, con il suo sacerdozio, egli fa parte del Capo, e per questo motivo la carità deve prendere in lui qualcosa del carattere e delle profondità dell’amore che questo Capo ha per le sue membra. Che cosa accadrebbe se, al potere che possiede di immolare Cristo stesso, al dovere di offrirsi insieme con lui nel segreto dei Misteri, la pienezza del pontificato venisse ad aggiungere la missione pubblica di dare alla Chiesa l’appoggio di cui ha bisogno, la fecondità che lo Sposo celeste si aspetta da essa? È allora che, secondo la dottrina espressa fin dalle più remote antichità dai Papi, dai Concili e dai Padri, lo Spirito Santo lo rende atto alla sua sublime missione identificando completamente il suo amore a quello dello Sposo di cui soddisfa gli obblighi e di cui esercita i diritti.

 

L’amore di san Pietro.

Affidando a Simone figlio di Giona l’umanità rigenerata, la prima cura dell’Uomo-Dio era stata quella di assicurarsi che egli sarebbe stato veramente il vicario del suo amore (Sant’Ambrogio, Comm. su san Luca, 10); che, avendo ricevuto più degli altri, avrebbe amato più di tutti (Lc 7,47; Gv 21,15); che, erede dell’amore di Gesù per i suoi che erano nel mondo li avrebbe amati al pari di lui sino alla fine (Gv 13,1). Per questo la costituzione di Pietro al vertice della sacra gerarchia, concorda nel Vangelo con l’annuncio del suo martirio (ivi 21,18): pontefice supremo, doveva seguire fino alla Croce il supremo gerarca (ivi 19,22).

Ora, la santità della creatura, e nello stesso tempo la gloria del Dio creatore e salvatore, non trovano la loro piena espressione che nel Sacrificio che abbraccia pastore e gregge in uno stesso olocausto.

Per questo fine supremo di ogni pontificato e di ogni gerarchia, dall’Ascensione di Gesù in poi Pietro aveva percorso la terra. A Joppe, quando era ancora agli inizi del suo itinerario apostolico, una misteriosa fame si era impadronita di lui: “Alzati, Pietro, uccidi e mangia”, aveva detto lo Spirito; e, nello stesso tempo, una visione simbolica presentava riuniti ai suoi occhi gli animali della terra e gli uccelli del cielo (At 10,9-16). Era la gentilità che egli doveva congiungere, alla tavola del divino banchetto, ai resti d’Israele. Vicario del Verbo, condivideva la sua immensa fame; la sua carità, come un fuoco divoratore, si sarebbe assimilati i popoli; realizzando il suo attributo di capo, sarebbe venuto il giorno i cui, vero capo del mondo, avrebbe fatto di quella umanità offerta in preda alla sua avidità il corpo di Cristo nella sua stessa persona. Allora, nuovo Isacco, o piuttosto vero Cristo, avrebbe visto anche lui innalzarsi davanti a sé il monte dove Dio guarda, aspettando l’offerta (Gen 22,14).

 

Il martirio di san Pietro.

Guardiamo anche noi, poiché quel futuro è divenuto presente, e, come nel grande Venerdì, prendiamo anche noi parte allo spogliamento che si annuncia. Parte beata, tutta di trionfo: qui almeno, il deicidio non unisce la sua lugubre nota all’omaggio del mondo e il profumo d’immolazione che già si eleva dalla terra riempie i cieli della sua soave letizia. Divinizzata dalla virtù dell’adorabile ostia del Calvario, si direbbe infatti che la terra oggi basti a se stessa. Semplice figlio di Adamo per natura, e tuttavia vero pontefice supremo, Pietro avanza portando il mondo: il suo sacrificio completerà quello dell’Uomo-Dio che lo investì della sua grandezza (Col 1,24); inseparabile dal suo capo visibile, anche la Chiesa lo riveste della sua gloria (1Cor 11,7). Per il potere di quella nuova croce che si eleva, Roma oggi diventa la città santa. Mentre Sion rimane maledetta per avere una volta crocifisso il suo Salvatore, Roma avrà un bel rigettare l’Uomo-Dio, versarne il sangue nella persona dei suoi martiri, nessun delitto di Roma potrà prevalere contro il grande fatto che si pone in quest’ora: la croce di Pietro le ha delegato tutti i diritti di quella di Gesù, lasciando ai Giudei la maledizione; essa ora diventa la Gerusalemme.

 

Il martirio di san Paolo.

Essendo dunque tale il significato di questo giorno, non ci si stupirà che l’eterna Sapienza abbia voluto renderlo ancora più sublime, unendo l’immolazione dell’apostolo Paolo al Sacrificio di Simon Pietro. Più di ogni altro, Paolo aveva portato avanti, con le sue predicazioni, l’edificazione del corpo di Cristo (Ef 4,12); se oggi la santa Chiesa è giunta a quel pieno sviluppo che le consente di offrirsi nel suo capo come un’ostia di soavissimo odore, chi meglio di lui potrebbe dunque meritare di completare l’offerta? (Col 1,24; 2Cor 12,15). Essendo giunta l’età perfetta della Sposa (Ef 4,13), anche la sua opera è terminata (2Cor 11,2). Inseparabile da Pietro nelle sue fatiche in ragione della fede e dell’amore, lo accompagna parimenti nella morte (Antifona dell’Ufficio); entrambi lasciano la terra nel gaudio delle nozze divine sigillate con il sangue, e salgono insieme all’eterna dimora dove l’unione è perfetta (2Cor 5).

 

VITA DI SAN PIETRO – Dopo la Pentecoste, san Pietro organizzò con gli altri Apostoli la chiesa di Gerusalemme, quindi le chiese di Giudea e di Samaria, e infine ricevette nella Chiesa il centurione Cornelio, il primo pagano convertito. Sfuggito miracolosamente alla morte che gli riservava il re Erode Agrippa, lasciò la Palestina e si recò a Roma dove fondò, forse fin dall’anno 42, la Chiesa che doveva essere il centro della Cattolicità. Da Roma intraprese parecchi viaggi apostolici. Verso il 50 è a Gerusalemme per il Concilio che decretò l’ammissione dei Gentili convertiti nella Chiesa, senza obbligarli alle osservanze della legge mosaica. Passò ad Antiochia, nel Ponto, in Galazia, in Cappadocia, in Bitinia e nella provincia dell’Asia. Avendo un incendio distrutto la città di Roma nel 64, si accusarono i cristiani di essere gli autori della catastrofe e Nerone li fece arrestare in massa. Parecchie centinaia, forse anche parecchie migliaia furono condannati a morte mediante vari supplizi: alcuni furono crocifissi, altri bruciati vivi, altri dati in pasto alle belve nell’anfiteatro, altri infine decapitati. San Pietro, dapprima incarcerato secondo una antica tradizione nel carcere Mamertino, fu crocifisso con la testa in giù, negli orti di Nerone, sul colle Vaticano. Qui fu seppellito. La data esatta del suo supplizio è il 29 giugno del 67.

 

La festa del 29 giugno.

Dopo le grandi solennità dell’Anno Liturgico e la festa di san Giovanni Battista, non ve n’è alcun’altra più antica o più universale nella Chiesa di quella dei due Principi degli Apostoli. Molto presto Roma celebrò il loro trionfo nella data stessa del 29 giugno che li vide elevarsi dalla terra al cielo. La sua usanza prevalse subito su quella di alcune regioni, dove si era dapprima deciso di fissare la festa degli Apostoli agli ultimi giorni di dicembre. Certamente, era un nobile pensiero quello di presentare i padri del popolo cristiano al seguito dell’Emmanuele nel suo ingresso nel mondo. Ma come abbiamo visto, gli insegnamenti di questo giorno hanno, per se stessi, una importanza preponderante nell’economia del dogma cristiano; essi formano il complemento dell’intera opera del Figlio di Dio; la croce di Pietro costituisce la Chiesa nella sua stabilità, e assegna al divino Spirito l’immutabile centro delle sue operazioni. Roma era dunque ben ispirata quando, riservando al discepolo prediletto l’onore di vegliare per i suoi fratelli presso la culla del Dio-Bambino, conservava la solenne commemorazione dei Principi dell’apostolato nel giorno scelto da Dio per porre termine alle loro fatiche e coronare, insieme con la loro vita, l’intero ciclo dei misteri.

 

Il ricordo dei dodici Apostoli.

Ma era giusto non dimenticare, in un giorno così solenne, quegli altri messaggeri del padre di famiglia che irrorarono anch’essi dei loro sudori e del loro sangue tutte le strade del mondo, per accelerare il trionfo e radunare gli invitati del banchetto nuziale (Mt 22,8-10). Grazie appunto ad essi, la legge di grazia è ora definitivamente promulgata in mezzo alle genti e la buona novella ha risuonato in tutte le lingue e su tutte le sponde (Sal 18,4-5). Cosicché la festa di san Pietro, particolarmente completata dal ricordo di Paolo che gli fu compagno nella morte, fu tuttavia considerata, fin dai tempi più remoti, come quella dell’intero Collegio Apostolico. Non si sarebbe potuto pensare, nei primi tempi di poter separare dal glorioso capo alcuno di quelli che il Signore aveva riavvicinati così intimamente, nella solidarietà della comune opera. In seguito tuttavia furono consacrate successivamente particolari solennità a ciascuno di essi, e la festa del 29 giugno rimase attribuita più esclusivamente ai due principi il cui martirio aveva reso illustre questo giorno. Avvenne anche presto che la Chiesa romana, non credendo di poterli onorare convenientemente entrambi in uno stesso giorno, rimandò all’indomani la lode più esplicita del Dottore delle genti.

 

Il nostro patrimonio musicale: il Tu es Petrus di Palestrina, antifona di ingresso del Pontefice in Basilica. Non praevalebunt!

 

4 commenti su “CULMEN ET FONS – rubrica di Andrea Maccabiani”

  1. Siano lodati Gesù e Maria!
    Splendido articolo, tranne per un piccolo dettaglio. Non è la “liturgia antica” ma la Liturgia di sempre. È Dio che, nello scorrere del tempo, scandisce il tempo stesso con l’alternarsi delle Solennitá, delle feste e delle commemorazioni. Il 28 giugno è violaceo, digiuno canonico come vigilia della festa, perché Sio lo ha stabilito tramite la Sua Chiesa Cattolica, ecc per il 29 ed il 30 giugno. Per non parlare del Primo Luglio, preziosissimo Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo.

    Denz 1613: nessun nuovo rito. Perché la varietà di riti esistenti nella Chiesa Cattolica (rito copto, bizantino, ecc…) poggiano TUTTI sulla prima diffusione della Chiesa delle origini da parte degli Apostoli. Non su rito creati a tavolino e non legati alla Sacra Tradizione.

    Ave Maria

  2. Correggo umilmente l’articolista e il commentatore: la vigilia degli Apostoli si commemora soltanto il 28, in cui si dice la Messa di S. Ireneo, leggendo però l’ultimo vangelo della vigilia. Vero è che alla Messa conventuale si canta la liturgia di S. Ireneo dopo Terza e, dopo Nona, si canta nuovamente Messa dicendo quella della Vigilia in viola. Le Messe private si possono dire sia di S. Ireneo, con comm. della vigilia, che della vigilia con comm. di S. Ireneo. L’ufficio è quello di un vescovo martire, in onore di S. Ireneo, con la sola comm. della vigilia (e dell’Ottava di S. Giovanni Battista). Questo stante il Messale Romano autentico, e non la revisione modernista del 62, che effettivamente sposta (senza un gran senso) S. Ireneo al 3 luglio, festa piuttosto di s. Leone II e di s. Eliodoro di Altino (proprio Veneziano), lasciando al 28 solo la vigilia.

    Nell’ultimo codice di diritto canonico legittimo (1917) NON c’è digiuno la vigilia degli Apostoli (anche se anticamente si praticava, come in Oriente, la cosiddetta ‘Quaresima degli Apostoli’, iniziante dopo l’Ottava…

  3. Suggerisco, invece, per sottolineare l’importanza della festa dei Principi degli Apostoli per l’Urbe, di parlare delle due Messe anticamente cantate in questo giorno (bifestus dies), una all’alba sulla tomba di san Pietro e una durante il giorno sulla tomba di san Paolo. Col tempo il bifestus dies divenne un biduum festum, e si continuò a dire la Messa in onore di s. Pietro il 29 e quella in onore di s. Paolo il 30 (cosiddetta comm. di s. Paolo). Anche l’Ottava dei principi degli Apostoli, con numerosi testi propri e privilegi, abolita infaustamente nel 1955, testimonia l’importanza di questa festa per Roma.

    Ne parlo p.e. qui https://traditiomarciana.blogspot.com/2018/06/la-prima-messa-della-festa-dei-ss.html

    1. Ringrazio per le attente precisazioni. Lo scopo di questa rubrica è fare una semplice presentazione dei vari temi liturgici, sapendo di rivolgersi ad un pubblico variegato, talvolta frequentatore del rito nuovo oppure di quello ambrosiano. Poi, come ben saprà, anche il mondo della messa di sempre non è omogeneo. Per queste ragioni ho fatto la scelta di una trattazione minima, prendendo a modello il più diffuso messale del ‘62. Non entro in specifiche questioni storico-liturgiche, di cui mi sento tra l’altro poco competente, anche perché ciò non sarebbe adatto al contesto di Riscossa Cristiana. Volentieri in futuro rimanderò nel sito da Lei consigliato per eventuali approfondimenti. Colgo l’occasione per ringraziare Lei e gli altri lettori per l’attenzione con cui seguite questa rubrica.
      Andrea Maccabiani

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