Da Venturini a Ramelli: perché fanno ancora paura i morti di destra? – di Mario Bozzi Sentieri

 

Nei primi Anni Settanta dietro lo slogan “Studenti e operai uniti nella lotta” prese campo l’idea dell’alleanza e del mutuo riconoscimento tra il giovane ceto intellettuale, di estrazione borghese, e il mondo del lavoro operaio, nel segno di un comune radicalismo di classe. L’illusione durò poco, costretti tutti a fare i conti da una parte con il velleitarismo dei contestatori dall’altra con il realismo dei lavoratori, impegnati sul fronte della contrattazione e dei nuovi diritti piuttosto che dell’utopismo maoista.

In realtà, una saldatura tra studenti e mondo del lavoro si verificò sul fronte opposto, quello del radicalismo anticomunista d’impronta missina, certamente per ragioni ben diverse rispetto a quelle ipotizzate dai contestatori e dalle frange più estreme del mondo operaio. A unire studenti ed operai, nel nome di una ben salda visione nazionale, fu il martirologio politico che segnò il decennio Settanta, iniziato, a Genova, con il sacrificio di Ugo Venturini, un operaio edile di 32 anni, militante missino, colpito da una bottiglia lanciata il 18 aprile 1970, nel corso di un comizio di Giorgio Almirante, da un gruppo di manifestanti dell’estrema sinistra con l’intento di impedire il discorso del segretario del Msi. L’agonia di Venturini durò fino al 1° maggio e si concluse proprio nel giorno della “Festa del lavoro”.

Tralasciamo i dettagli della storia, l’odio che molte forze politiche manifestarono in quell’occasione, i colpevoli mai trovati (malgrado ci fossero un filmato sugli scontri e numerose foto), lo strazio della famiglia e la difficile vita del figlioletto Walter. Ciò che rende ancora oggi drammatica la vicenda di Venturini, prima vittima degli Anni di Piombo, è il clima di odio innescato da parte antifascista, in occasione della tradizionale manifestazione a ricordo della morte del militante missino.

I quarantanove anni trascorsi da quei drammatici eventi per alcuni sembrano essere passati invano. “Giustiziato il fascista Venturini”: titolava all’epoca “Lotta Continua”. “I fascisti non debbono parlare”:urlano oggi i contestatori genovesi, scesi in piazza per l’immancabile contromanifestazione, inscenata per impedire il tradizionale “Presente!” organizzato sul luogo dove Venturini fu colpito, i giardini antistanti la Stazione Brignole, e dove, nel 2012, l’allora sindaco del Pd Marta Vincenzi autorizzò a dedicare un viale.

Da anni, ai primi di maggio, sul luogo si sono incontrati quanti del sacrificio di Venturini continuano a coltivare la memoria. Nessuno aveva mai indetto contromanifestazioni, né sollevato obiezioni. Quest’anno no. Quanti hanno organizzato il contro presidio (verso un’iniziativa autorizzata dalla Questura), con in testa i gruppi antagonisti, l’Anpi e la Cgil, invece che della vittima, uccisa dall’odio comunista, hanno parlato addirittura di “sfilata nazista”. Il risultato un’ignobile gazzarra, con annesso schieramento dei blindati delle forze dell’ordine, fischi, slogan ed un piccolo tafferuglio, stroncato da una carica della polizia.

Lo stesso odio, la stessa perversa faziosità che hanno recentemente accomunato nel loro tragico destino (“Studenti e operai uniti nella lotta!”) l’operaio Ugo Venturini e lo studente milanese Sergio Ramelli, aggredito, sotto casa, il 13 marzo 1975 da un gruppo di militanti di Avanguardia Operaia, e morto più di un mese e mezzo dopo, il 27 aprile, per via dei traumi riportati. Gli stessi slogan a decine di anni di distanza. La stessa insensata nostalgia per la guerra civile 1943-45 e per quegli Anni di Piombo, che furono, nel decennio Settanta, segnati da un lungo filo di sangue.

Nei confronti di quelle vittime l’unica strada è il rispetto e il dovere della verità e della memoria. Rispetto, verità e memoria che i nostalgici dell’antifascismo militante non intendono evidentemente riconoscere, nel nome di una visione manipolata della libertà e della democrazia. Gli stessi principi per cui mezzo secolo fa, al grido di “uccidere un fascista non è reato”, vennero stroncate tante vite. Ricordare le vittime di quegli anni non è solo un atto di rispetto verso tanti morti, ma un utile antidoto per impedire che certi drammatici e sanguinosi errori si compiano nuovamente.

4 commenti su “Da Venturini a Ramelli: perché fanno ancora paura i morti di destra? – di Mario Bozzi Sentieri”

  1. La manipolazione continua, con la differenza che allora qualcuno pensava diversamente dalla propaganda di sinistra, oggi non più. Ora le sinistra è diventata CVIIista e i cattolici, catto-comunisti-progressisti-sincretisti. I sinistri esistono solo se sono contro qualcuno, se riescono a irridere per poi demonizzare il prossimo. La sinistra che si proponeva di occupare lo stato, ora con tutti i suoi giochi di prestigio con esseri umani è arrivata a pervadere lo Stato, dalla famosa base a tutte le più alte poltrone del potere, con la differenza che la base naturale- nazionale-.popolare ormai ha capito di essere stata usata solo per occupare i posti che contano e si è rivolta altrove. La sinistra infedele, di nome e di fatto, si ricostituisce ormai una base con chi capita capita, occupato il potere ora è tesa al denaro delle banche e si schiera contro la sua stessa antica base naturale- nazionale.-popolare, che disprezza ed irride e demonizza come populista e fascista..

  2. 24 Dicembre 1929 (Vigilia di Natale), Liegi, Belgio. Il fratello di mio padre, emigrato lassu’ dalle montagne del Veneto per lavorare in miniera, viene ucciso a colpi di pistola da un comunista italiano fuoriuscito, in un agguato teso lungo il corso. principale. Aveva da poco compiuto vent’anni, non faceva e nè mai aveva fatto politica. La colpa: la famiglia di origine era simpatizzante fascista. Quella, era la gloriosa Resistenza che si celebra ancor oggi.

  3. Da genovese ricordo bene quel 18 aprile del 1970:avevo soltanto dodici anni,ma mio padre mi aveva portato per la prima volta a sentire Almirante;abitavamo in corso Buenos Aires,a quattro passi dal luogo del comizio missino;poi successe il finimondo che fu scatenato dai rossi camalli del porto,quelli stessi che nel giugno del 1960 avevano messo a ferro e fuoco il centro città per impedire il congresso nazionale del MSI che doveva tenersi al teatro Margherita in via XX Settembre.Mio padre mi portò via dicendo che era pericoloso restare.Fu il mio “battesimo politico”,in un certo senso,un battesimo di sangue che da quel giorno mi consacrò “missino a vita”.Non riuscii a sentire tutto il comizio dell’indimenticabile Giorgio,ma quel poco bastò per “innamorarmi” (politicamente) di quell’Uomo che i sinistri cercavano disperatamente di non far parlare:voleva dire che quell’ Uomo diceva delle cose giuste.Due anni dopo tornai da solo a sentire il suo comizio in piazza della Vittoria alle politiche del 1972 e non successe niente,ormai avevo già 14 anni e militavo nel Fronte della…

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