Femminismo e femminicidio. Che ci sia una relazione tra questi due fenomeni? – di Carla D’Agostino Ungaretti

di Carla D’Agostino Ungaretti

 

ltfmgForse per l’ennesima volta sarò giudicata, da chi mi fa l’onore di leggere le mie riflessioni di cattolica “bambina“, retrograda, antiquata e parruccona (quest’ultimo complimento rivoltomi su un social network mi diverte molto) ma non mi interessa. L’importante per me è dare una testimonianza cristiana, interpretare alla luce del Vangelo i problemi che angosciano questo nostro travagliato mondo moderno e riflettere se se ne può trovare una soluzione, sempre alla luce della Parola di Dio.

         Uno degli argomenti che maggiormente mi intriga, di questi tempi, è il tristissimo fenomeno del femminicidio, termine coniato in questi ultimi anni dall’antropologa messicana Marcella Lagarde con riferimento alla continua uccisione di donne che si verifica al confine tra Messico e Stati Uniti. Pare che di recente l’uccisione di donne da parte dei loro mariti, fidanzati, amanti, partner, conviventi  sia aumentato in modo esponenziale anche in Italia. Non saprei dire se questa notizia sia vera e se oggi il femminicidio sia più frequente del “maschicidio“, non dispongo di relazioni criminologiche o statistiche su questo fenomeno e, in realtà, neppure mi interessano. Come donna e come cattolica “bambina”, però, mi sento interpellata a cercare di capire perché si verificano queste tragedie familiari che  coinvolgono sempre anche vittime innocenti come i figli delle disgraziate coppie, i quali riporteranno, per tutta la loro vita, un vulnus ben difficile da rimarginare.

      E’ certo che il femminicidio compare con sempre maggiore frequenza nelle cronache di tutto il mondo. In alcuni paesi, poi, soprattutto asiatici come l’India, questa tragedia sembra sia endemica e riguarda anche i milioni di aborti selettivi di feti femminili, praticati perché in quel paese (che si autodefinisce, non so con quale diritto, “la più grande democrazia del mondo”) le figlie femmine sono considerate merce di minor valore agli occhi della società e quindi più difficile da piazzare proficuamente sul mercato dei matrimoni tribali combinati.

       In Italia, invece, si è sentita la necessità (più o meno fondata) di emanare un’apposita legge – entrata in vigore pochi giorni fa –  che, fra l’altro,  assicura assistenza legale gratuita alle vittime dello stalking, che spesso prelude all’assassinio della donna. Fin dall’inizio ho avuto il sospetto che si trattasse di un’esagerazione, come se  maltrattamenti, lesioni e molestie, perpetrati ai danni sia delle donne che degli omosessuali, non fossero già punite dal diritto penale. Mi stupiva anche che due donne “di destra” avessero chiesto una modifica del Codice che comminasse l’ergastolo al femminicida, come se le donne fossero una specie animale protetta perché a rischio di estinzione (al pari del simpatico panda) la cui vita sia più preziosa di quella degli uomini. Il sospetto si è rafforzato quando ho letto che Elettra Deiana, nota giornalista femminista, ha definito la legge in questione “oscena e offensiva per le donne” perché “le mette insieme ai furti di rame sui binari, all’uso dell’esercito contro i No Tav e alle frodi fiscali[1].

        A lei ha fatto eco sei giorni dopo, ma per contraddirla, un’altra esponente del giornalismo femminista, Letizia Paolozzi,  che reputa la legge soltanto un compromesso, zoppicante come tutti i compromessi, tra le diverse visioni dei rapporti tra uomo e donna che attraversano il Parlamento e quindi la società italiana. Neppure lei, a mio giudizio, ha del tutto torto. Per esempio, gli esperti apprezzano che per gli atti persecutori si faccia riferimento alla “relazione affettiva” esistente tra le due persone, matrimonio o convivenza che sia, ma la nozione di “relazione affettiva” appare sfumata e interpretabile in vari modi. Altri dubbi poi sorgono in merito alla revocabilità della querela, dapprima soppressa, poi ripristinata dalla legge di conversione, nella ricerca di un compromesso (sempre zoppicante) tra le opposte esigenze di rispettare, da un lato, la libertà della vittima e, dall’altro, di tutelarla contro il rischio di indebite pressioni.

        Ma cosa può saperne la legge (in quanto compromesso) di ciò che intercorre tra un uomo e una donna? Mi sembra evidente che dietro tutto questo dibattito c’è il trionfo dell’ideologia che porta ancora e continuamente nuova linfa alle lobby e ai gruppi di potere, creando sempre nuovi diritti senza prendere in considerazione gli eventuali corrispondenti doveri. In questo caso la colpevole sarebbe la famiglia. Infatti Letizia Paolozzi ritiene che uno dei più apprezzabili risultati di questa legge sia l’aver portato alla luce che “il male si annida nelle famiglie, tra le pareti domestiche” e lì deve svolgersi il dibattito politico – culturale che rivela la decadenza del modello sociale e politico “patriarcale[2].

       Ci sarebbe molto da discutere in proposito, ma la vulgata comune ritiene  che  una società come la nostra, in cui l’economia è basata sul consumo delle cose, consuma anche le vite, perché se attribuisce un prezzo a tutto, toglie però valore a molto; perciò forse non guasterà ricordare a chi lo dimentica facilmente che le donne non sono merce di scambio o oggetto di sopruso, e allora può  rivelarsi utile  una legge che, dando una buona strigliata a certi comportamenti e atti inqualificabili, abbia anche un valore educativo.

          Però forse scandalizzerò qualcuno se affermo che  parlare di femminicidio mi fa pensare automaticamente al femminismo, fenomeni tra i quali io vedo una drammatica assonanza (e, dirò di più) una relazione abbastanza stretta, e non solo perché questi due termini condividono le loro prime tre sillabe. Forse uno psicanalista attribuirebbe un significato particolare a questa strana associazione di idee in una donna come me  che, nel lungo arco della sua vita lavorativa svoltasi nel settore pubblico, ha ampiamente beneficiato delle conquiste femminili del XX secolo nel mondo del lavoro, ma sono profondamente convinta che la degenerazione e la pessima attuazione del femminismo sia spesso la causa scatenante del femminicidio.

       Per millenni le donne, la cui intelligenza cognitiva e creativa non ha nulla da invidiare a quella degli uomini, sono state tenute in uno stato di sudditanza rispetto all’uomo  il quale, forte di una supremazia non solo fisica, ma anche sociale, morale e politica, ha sempre avuto la tendenza a considerare la sua donna, nel bene e nel male, come sua proprietà indiscussa. Lo stesso S. Paolo che, dopotutto, era un uomo del suo tempo, parlando del Sacramento del Matrimonio esorta le mogli, e non i mariti, ad essere “sottomesse” al coniuge che è il loro “capo”,  ma si affretta anche a raccomandare ai mariti di “amare le mogli come il loro corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso” (Ef  4, 23 ss).

        Penso che questo insegnamento della Lettera agli Efesini sia ancora attualissimo, perché (vorrei sottolineare con forza) la donna che ama veramente suo marito e si sente veramente amata da lui – sia che abbia vissuto nel primo secolo dopo Cristo, sia che viva nel XXI – gli sarà sempre sottomessa, senza per questo sentirsi oppressa, o sfruttata, o umiliata mentre, dal canto suo, l’uomo che ama davvero sua moglie farà sempre di tutto per appagarla e farle sentire che essa è la parte più importante nella sua vita. E’ il “mistero grande” del Sacramento del Matrimonio cristiano che si incarna nella gratuità, nella reciprocità, nel perdono, nella conversione e nel dono di sé, ma per realizzarlo, in questo XXI secolo occorre veramente avere una visione cristiana a 360 gradi della vita umana e del mondo che ci circonda ed è innegabile che questa visione oggi vada svanendo, mentre rimane in molti la falsa e infondata percezione dell’incondizionata supremazia maschile.

        Il clima di prepotente e arrogante femminismo che respiriamo in questo ormai avanzato secondo decennio del XXI secolo non è riuscito a demolire del tutto quella distorta consapevolezza maschilista che ha attraversato i secoli e il relativismo imperante ha molto ingigantito un fenomeno sempre esistito a causa della fragilità e l’insicurezza di tanti uomini, ben conosciute e spesso descritte anche in teatro e in musica. Per esempio, il femminicida, nonché uxoricida, Otello – sia shakespeariano che verdiano, coraggioso e valoroso condottiero quando si tratta di guidare un esercito sui campi di battaglia – si rivela, nella vita privata, un marito insicuro e fragile al punto di prestar fede più a una calunnia contro sua moglie che alla parola di lei; l’altrettanto insicuro e fragile femminicida don José – nella novella Carmen di Prospero Merimée, trasfusa nell’opera di Georges Bizet – ufficiale  stimato dai suoi superiori, si rovinerà perché  incapace di elaborare l’abbandono da parte di un’amante assetata di libertà e troppo avanti con i tempi.

           Il triste fenomeno emerge con maggiore risonanza sia per il maggiore coraggio delle donne nel denunciare le violenze subite che per la maggiore fiducia nelle istituzioni e per la maggiore indipendenza delle vittime, non più così ricattabili, come una volta, nella vita familiare. Inoltre il femminicidio ha la caratteristica di presentarsi con una violenza e spesso con un’efferatezza che sembrano causate dall’irrazionale e ancestrale riemergere delle tendenze più brutali e selvagge dell’uomo, dovute alla maggiore forza fisica rispetto alla donna la quale, invece, nei più rari casi in cui diventa un’assassina, userebbe metodi più subdoli ed ipocriti.

        Allora ha ragione Letizia Paolozzi? Indubbiamente si tratta di una patologia che colpisce la famiglia e, in un’altissima percentuale di casi, avviene all’interno delle mura domestiche. L’assassino è sempre,  come dicevo all’inizio, legato alla vittima da un rapporto affettivo, o amoroso, o peggio ancora, coniugale ma io, cattolica “bambina”, penso che possano essere molte le spiegazioni di questa orrenda distorsione dell’amore coniugale che quasi sempre trascina verso l’irreparabile.

         Cito la più recente, messa in risalto da molti mass-media: la crisi economica in atto in tutto l’occidente ha tolto il lavoro a molti, sia uomini che donne, ma mentre le donne, esistenzialmente più pragmatiche degli uomini, sono più capaci di adattarsi psicologicamente a lavori meno qualificati e di rimboccarsi le maniche nell’ambito domestico, molti uomini di mezza età (più orgogliosi delle donne) non si sarebbero certo immaginati di arrivare ai 45, 50 anni ritrovandosi disoccupati o addirittura esodati e danneggiati nelle loro aspettative pensionistiche. Questa circostanza ha spesso funzionato da detonatore di frustrazioni  fino a quel momento represse. Le donne, poi, innegabilmente sono divenute più arroganti di un tempo e, forti dell’emancipazione raggiunta, non sono più gli angeli del focolare di una volta capaci di sopportazione e sempre più raramente riescono a tenere a freno la lingua e le critiche.

        Un’altra spiegazione è che oggigiorno anche le relazioni amorose sono diventate liquide e fragili. In questo XXI secolo il matrimonio non è più ambito e considerato dalla donna come un simbolo di sicurezza e un traguardo esistenziale:  molte di loro, anche in presenza di figli (e questo è l’aspetto più triste del problema) non sono più disposte a sopportare una vita familiare insoddisfacente e molto spesso sono loro a prendere l’iniziativa della separazione. Questo atteggiamento può far esplodere patologie mentali che spesso covavano sotto la cenere, con le conseguenze che conosciamo da parte dell’uomo non avvezzo all’abbandono. Eppure da studi condotti in ambito anglosassone, sembra che la famiglia fondata sul matrimonio, per la stabilità che essa assicura, sia ancora la difesa più valida contro certe aberrazioni che si verificherebbero maggiormente laddove i rapporti siano, per l’appunto, più liquidi e fragili[3].

        Ancora una volta, quindi, una possibile soluzione del problema può essere tornare a  riflettere sul valore e sul significato del matrimonio, specialmente se sacramentale, non ostacolare cioè l’opera misteriosa di quella Grazia Santificante che con esso ci viene elargita e confidare, sia pure contra spem, che quel Dio che avvalorò e garantì quel meraviglioso istituto del diritto naturale presenziando alle nozze di Cana, non mancherà di mandare agli sposi più infelici e scoraggiati il Suo Spirito fortificante e consolatore.

       Ma anche noi, esseri umani limitati e peccatori, dobbiamo fare la nostra parte, per quanto è nelle nostre capacità, educando correttamente le giovani generazioni, compito sempre più arduo perché tutto – TV, cinema, giornali, video giochi, perfino la scuola – sembra remare contro.  In questa nostra difficile epoca tutti debbono fare un passo indietro nelle  rivendicazioni dei loro presunti diritti: le donne devono ripensare e riscoprire il ruolo che per millenni è stato attribuito loro riconoscendo che, tutto sommato, esso non è poi così umiliante perché il ruolo di madre di famiglia ed educatrice è di altissimo significato umano, civile, sociale, anche quando questo può implicare l’abbandono di certe prospettive di carriera; ma lo stesso discorso vale per gli uomini, i quali devono riconoscere la creatività e l’iniziativa femminile, nei campi in cui esse hanno modo di esprimersi,  e valorizzarle ma soprattutto non devono far sentire sole le loro mogli in una rigida divisione dei compiti familiari che oggi non ha più ragione di esistere. Se i rapporti tra l’uomo e la donna continueranno ad essere conflittuali, saremo tutti umanamente impoveriti.

   



[1] Cfr. www.donnealtri.it. Locale / Globale  10.10.2013.

[2] Cfr. www.donnealtri.it. Locale / Globale  16.10.2013.

[3] Cfr. RADICI CRISTIANE Ottobre  2013, pag. 7.

6 commenti su “Femminismo e femminicidio. Che ci sia una relazione tra questi due fenomeni? – di Carla D’Agostino Ungaretti”

  1. L’impianto generale dell’articolo è condivisibile soprattutto per chi è cresciuto nella fede e nell’educazione cattolica. Le conclusioni, per quanto chiare e stringenti, si trovano contro il mare magnum della cultura dominante sempre più laicista.

  2. non farei di tutta l’ erba un fascio, e distinguerei tra caso e caso. in cronaca abbiamo femminicidi in ambiente borghese e in ambienti -limite, o tra italiani e stranieri, o tra stranieri. I casi che avvengono in ambienti socialmente ed economicamente degradati, non sono nuovi e di questi tempi, ma ci sono sempre stati, e basta leggere i romanzi ” sociali” inglesi e francesi dell’800 per rendersene conto. O ricercare gli articoli di ” nera” degli anni a cavallo della guerra, o anni ’50. Tra questi rientrano anche alcuni femminicidi tra stranieri. Altri, tra stranieri, possono essere inquadrati in quella che in America chiamano Immigrant murder syndrome. I casi di femminicidio a cui l’ articolo fa riferimento, e che possono essere riconducibili in un certo modo al feminismo, sono secondo me molti di meno di quanto la propaganda voglia farci credere.
    Rosa

  3. Annarosa Berselli

    Non confondiamo le conquiste civili, come potrebbero essere state il diritto di voto
    ed il salario uguale tra uomo e donna, figlie dell’uguaglianza sancita dalla Costituzione, con
    il femminismo degli anni 70 ed 80 del secolo scorso, celebrato in tanti bruttissimi film!

  4. francesca poluzzi

    Condivido il pensiero di Rosa.
    Quando esce un neologismo che si impone alla stampa e alla tv, si devono drizzare le antenne, Sono convinta che si tratta di una ennesima strategia di dissoluzione della civiltà (cristiana). Si fomenta la sfiducia e la paura tra uomo e donna, proprio come nell’Eden dopo la caduta. Il femminismo ha portato rivalità anzichè spirito di collaborazione, un certo disprezzo per il maschio si percepiva in tante giovani donne, messe in competizione anzichè a contemplare la bellezza della diversità dell’altro da scoprire e di cui arricchirsi. Le coppie e i matrimoni riusciti e ben assortiti non sono mancati e non mancano neppure oggi, ma si preferisce convincere della inevitabile conflittualità tra i sessi. Fino a 40 anni fa’ “il buon esempio” era una categoria di vita che aiutava la volontà ad orientarsi al bene, consci dell’influenza che un ‘azione o un fatto aveva sui più vicini, sui piccoli e poi anche sulla società. E’ il principio di responsabilità, quel criterio che costruisce l’Uomo, e non solo il Cattolico.
    Francesca

  5. Carla D'Agostino Ungaretti

    Vorrei aggiungere un particolare che forse non ho ben messo in luce nella mia riflessione. Come dicevo, ho lavorato ben 40 anni nel settore pubblico e, nei rapporti umani tra colleghi, ne ho viste di cotte e di crude. Molte donne (non tutte, grazie a Dio) che avevano raggiunto nella loro carriera posizioni di prestigio avevano mutuato (da chi, se non dagli uomini?) certi comportamenti che – oltre a non essere davvero “femminili” nel senso tradizionale del termine – denotavano anche una posizione mentale che definirei “da nouveau riche”. Parolacce, arroganza nell’impartire ordini ai sottoposti, “sgomitamenti” per mettersi in luce agli occhi dei superiori. Ricordo che molti uomini, forse meno dotati intellettualmente di loro o meno fortunati nella carriera, ribollivano di rabbia repressa. Non che questo abbia mai portato al femminicidio, ma io non potevo fare a meno di domandarmi: se queste donne si comportano così anche tra le mura domestiche, che ne è del loro matrimonio? Chi ci dice che in certi casi estremi questo modo di porgersi non possa generare reazioni che non vorrei neanche immaginare? Eppure sembra che si siano verificate. A questo alludevo quando parlavo della necessità, per uomini e donne, di fare umanamente un passo indietro. Che ne dite? Sono davvero una retrograda maschilista parruccona?

  6. Il femminicidio non esiste.
    Non esiste non perchè non esistano donne che vengono ammazzate dagli uomini,ma perchè il movente citato dalle femministe,ovvero che gli uomini che fanno quello agiscano su suggestione di una particolare cultura ”patriarcale” è assurdo e contro ogni logica:
    perchè viola il principio della responsabilità individuale,e ne crea una fittizia collettiva,per cui in pratica alla fine toglie la responsabilità a chi ce l’ha davvero e la carica sulle spalle degli innocenti,perchè in pratica la responsabilità non è di chi mette in atto una condotta criminosa,ma di una imprecisata ”societa”,o ”cultura” che loro definiscono di volta in volta come gli comoda,questa volta patriarcale.
    Quindi io uomo sono in qualche modo responsabile se qualcheduno ammazza la moglie,e questo è assurdo,oltre che contro ogni principio etico,e logico.

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