I FATTI DI BENGASI E LA REAZIONE AMERICANA. LACRIME DI COCCODRILLO? – di Stefano Nitoglia

di Stefano Nitoglia


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“Li abbiamo liberati, ci hanno traditi”.

Questo, racchiuso in un titolo virgolettato del “Corriere della Sera” del 13 settembre 2012, è in sostanza il commento del segretario di Stato americano Hillary Clinton alla notizia dell’uccisione, a Bengasi, in Libia, dell’ambasciatore degli Stati Uniti Chris Stevens e di tre membri della sua delegazione l’11 settembre 2012, l’undicesimo anniversario dell’attacco di al Qaeda alle Torri Gemelle di New York.

L’assassinio dei quattro diplomatici americani è avvenuto nel corso di un attacco di un commando di miliziani islamici al consolato generale degli Stati Uniti, a Bengasi.

L’assalto pare sia stato provocato dalle proteste dei fedeli musulmani indignati per un film su Maometto intitolato “L’innocenza dei musulmani” ma, in realtà, sembra sia stato preparato da tempo da al Qaeda per celebrare, a suo modo, l’anniversario dell’11 settembre.

Che si tratti di un’estemporanea protesta contro l’ennesima, stupida, provocazione anti-islamica, oppure di un atto a lungo pianificato, poco importa.

Perché la cosa importante di questi avvenimenti è che essi dimostrano la scarsa lungimiranza di alcuni ambienti politici e diplomatici americani, la cui influenza diviene, a volte, come in questa occasione, preponderante.

L’assalto al consolato di Bengasi ricorda, in un certo senso, quello all’ambasciata americana di Teheran, nel 1979.

In Iran l’America, come pure altri paesi occidentali, tra cui la Francia, che diede asilo a Khomeini, allora si illuse che il ricambio politico nel paese che una volta, con un nome più fascinoso ed evocativo, si chiamava Persia, avrebbe generato nuovi equilibri geostrategici più favorevoli all’Occidente nell’importante scacchiere medio orientale, portando, tra l’altro, la democrazia.

Dopo un’iniziale interregno di governi che si potrebbero definire democratici ed in cui erano presenti anche personalità laiche, però, il potere venne saldamente conquistato dalla gerarchia religiosa sciita, che lo mantiene tuttora, dando origine a quella rivoluzione khomeinista che tanto ha contribuito alla rinascita del fondamentalismo islamico.

Evidentemente quell’esperienza poco ha insegnato a quegli ambienti politici e diplomatici se, a distanza di oltre trent’anni, gli Stati Uniti (e, guarda caso, anche la Francia) sembrano essere ricaduti nella stessa illusione con la cosiddetta “primavera araba”, sbocciata, si fa per dire, nell’inverno del 2011, e che ha interessato anche la Libia, da cui il lamento della Clinton, sopra riportato.

La “primavera araba” ha messo fine ai regimi socialisti e nazionalisti nordafricani e mediorientali di stampo laico i quali, con tutti i loro limiti, hanno pur sempre formato una garanzia per l’Occidente nei confronti dei movimenti islamici fondamentalisti, ognora più aggressivi.

Da regimi dittatoriali, nei quali la repressione assicurava un certo ordine, sia pure fondato sul terrore e sul sangue, si sta passando a sistemi politici caotici, che stanno divenendo terreno fertile per i movimenti terroristi, e non solo, fondamentalisti.

Bene che vada, ed è tutto dire, avviene quello che è avvenuto in Egitto, con la vittoria dei Fratelli musulmani alle elezioni presidenziali del giugno scorso.

Ora l’America, per reagire alla provocazione, sta muovendo i Marines a bordo di due navi da guerra verso le coste libiche.

La questione, però, non è di intervenire a valle, quando il guaio si è già verificato, ma di prevenire a monte, con un politica estera più lungimirante, che tenga conto della storia, che è pur sempre, come dicevano i romani, “magistra vitae”.

1 commento su “I FATTI DI BENGASI E LA REAZIONE AMERICANA. LACRIME DI COCCODRILLO? – di Stefano Nitoglia”

  1. mMaria Giovanna

    come potra essere un buon presidente chi ha condotto una politica estera in medi oriente cosi ottusa ed ideologica ?La democrazia non si esporta soprattutto in paesi a forte componente mussulmana

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