I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA POLITICA DI LUIGI STURZO – (prima parte) – di Giulio Alfano

di Giulio Alfano

prima parte

 

sturzo

 

P R E M E S S A


L’attuale momento politico è caratterizzato da una diffusa carenza di idealità nelle finalità e nei progetti e,insieme,da una debole tensione etica: Le cause di questa situazione sono probabilmente da ricercare nella profonda dissociazione che esiste tra società civile e società politica e,ancora di più,nella generalizzata accettazione di un criterio assiologico di tipo utilitarista edonistico;ne conseguono da un lato la crisi di partecipazione e rappresentanza politica,dall’altro un approccio pragmatico e scettico alle questioni sociali che si rivela incapace di riconciliare le esigenze più profonde dell’uomo contemporaneo con òle necessità e le sfide della società complessa postindustriale e postmoderna.. Questo genere di problemi è comune a tutto il mondo industrializzato e,in particolare,all’Europa occidentale ed ai paesi del nord America;certamente ciascuno di questi paesi presenta degli aspetti peculiari e non è comunque possibile pensare ad un modello di valutazione “diagnostica”delle realtà sociopolitiche che sia applicabile indiscriminatamente a tutti questi paesi. Tuttavia la costante diminuzione della partecipazione dei cittadini alla vita politica,le spinte federaliste o,addirittura,secessioniste,la perdita di autorevolezza e di rappresentatività degli esecutivi e la disoccupazione collegata alle necessità di una ristrutturazione ampia del mercato del lavoro,sono tutte questioni nevralgiche presenti,anche se con accentuazioni diverse,in quasi tutti i paesi. E sebbene la globalizzazione richieda soluzioni integrate,l’applicabilità e l’efficacia di queste esige una circostanziata analisi delle singole situazioni ed una verifica degli strumenti applicabili alla luce delle radici storiche che improntano e spesso determinano il presente contesto. In alcuni casi è possibile cogliere degli aspetti specifici delle realtà politiche,sociali e culturali che,se adeguatamente studiati e compresi,non solo aiutano a chiarire il presente,ma esplicitano dei percorsi,già presenti al loro interno che contribuiscono a risolvere le difficoltà esistenti. Lo studio dei punti cruciali,degli snodi,che sono a monte delle situazioni attuali e che le determinano per effetto delle scelte che in quei frangenti sono state effettuate,può costituire una fonte di ricchezza per affrontare la complessità della società contemporanea. Un tale studio non può essere semplicemente storico,ma deve includere una profonda matrice filosofica ed etica e considerare il ruolo giocato dalla fede cristiana,specialmente nella situazione italiana e,più in generale ,nel mondo occidentale. In questo senso alcune linee di ricerca sulla figura e l’opera di don Luigi Sturzo,mi sembra che possano aiutare a riesaminare alcuni contenuti,oggi forse trascurati ma sicuramente capaci di immettere nuova linfa di progettualità e di speranza nell’azione politica.


STURZO FILOSOFO DELLA POLITICA


Una delle caratteristiche dalle quali si può riconoscere un grande filosofo è certamente la sensibilità per l’esperienza e per i problemi dell’uomo,perché si tratta di qualità che definiscono interessi di vasta portata per la non facile e complessa vicenda dell’esistenza delle storia dell’uomo ed è una qualità che non implica eventi drammatici. La vicenda politica di don Luigi Sturzo(1871/1959)consente una riflessione storica ed un bilancio della presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana e anche se molto si è detto e scritto sul pensiero del sacerdote di Caltagirone,negli ultimi tempi,forse anche sull’onda del cinquantesimo della morte,si è cercato di riproporne alcune indicazioni che,tuttavia,avulse dal loro contesto,potrebbero apparire quantomeno ingiustificate. Si battè senza quartiere per la libertà di tutti e non solo dei cattolici,per superare l’isolamento in cui certamente il cattolicesimo politico si era rinchiuso all’indomani del crollo dello stato pontificio. L’Italia unitaria aveva realizzato uno stato liberale accentrato che non riconosceva i corpi intermedi(si veda la legge Lanza che eliminò le opere di carità)e a questo atteggiamento dello stato italiano era corrisposto un accentramento gerarchico nella chiesa che sarebbe durato fino al concilio vaticano II. La stessa enciclica di Leone XIII “Rerum Novarum” del 15 maggio 1891,non trovò di fatto ospitalità in nessuno dei giornali,periodici o ebdomadari dell’Italia liberale,ma fu seguita da quella che oggi siamo abituati a chiamare “società civile”,tanto che il Sommo Pontefice difese direttamente,con la famosa lettera “Spesse Volte”del 5 agosto 1898,i disgraziati reclusi nelle carceri dopo la rivolta di Milano del giugno di quell’anno per chiedere solo il pane,nemmeno un diritto al lavoro. La fine dell’esperienza dell’Opera dei Congressi per l’intervento del card. Merry Dal Val il 19 luglio 1904,dopo i contrasti col nuovo presidente Grosoli legato a don Romolo Murri,che aveva dovuto recedere dal proposito di continuare con la Democrazia Cristiana dopo l’enciclica di papa Leone “Graves de Communi”,fece comunque emergere la preoccupazione vaticana di legittimare in assenza di un concordato con lo stato italiano,una competizione che avrebbe visto il partito democristiano di Murri rincorrere il partito socialista sul terreno della secolarizzazione. In quei primi anni del secolo Sturzo incontrava la politica nella sua Caltagirone,radicando nel municipio la presenza dei cattolici eredi di una lunga tradizione localistica,sin dal corporativismo medievale. Il 24 dicembre 1905,inaugurando il circolo dio lettura della sua città,oltre a ricordare il carattere costituzionale del vivere civile,dirà “il tipo clericale nel vecchio senso della parola,somparirà!”(Vd.”Discorsi Politici”,ILS,Roma,1981). In effetti attribuiva la rapida crisi della Democrazia Cristiana di Murri,alla tenacia delle pregiudiziali clericali,all’atteggiamento dell’Opera dei Congressi che non aveva saputo distinguere tra una azione cattolica,legata direttamente per i suoi fini alla Santa Sede,ed un partito politico popolare che potesse realizzare le proprie finalità nella vita sociale concreta,ispirandosi ai principi cristiani. Sturzo avvertiva nei primi anni del ventesimo secolo,nel furore della reazione al modernismo e dopo il fallimento del progetto murrino,di fronte all’esperienza del moderatismo gentiloniano delle “Unioni Popolari” ,la necessità di chiarire la differenza tra una presenza religiosa realizzata dalle associazioni cattoliche e la libertà politica del cristiano,superando la formula dell’apostolato di pura testimonianza.

Tuttavia aveva resistito alle tentazioni del modernismo che aveva un po’ assorbito lo stesso Murri;voleva un partito cattolico differenziato dalla gerarchia e cercò sin dagli anni del municipio di Caltagirone di resistere agli attacchi del mondo liberale,sottolineando la necessità per un cattolico del ventesimo secolo,di conciliarsi con la “pregiudiziale nazionale”,oltre ogni revanscismo. Non a caso Piero Godetti (1901/1926),che ne osservò con sensibilità l’itinerario politico,lo chiamò “messianico del riformismo”perché emergeva il passaggio da una tecnica diplomatica della politica,che sovente l’attività pubblica dei cattolici di fine ‘800 aveva rappresentato,ad una politica di feconda adesione al progresso sociale che avrebbe consentito alle masse popolari di partecipare al processo di costruzione della laicità della politica,fortificandola con le motivazioni del cristianesimo sociale ed in tale senso si poneva in forma del tutto alternativa al massimalismo diffuso di quegli anni. Tre anni dopo nella Sala della Pergola a Firenze,alla vigilia della crisi ministeriale dovuta al ritiro dei giolittiani dalla compagine di governo,il 18 gennaio 1922,ricordava come nel luglio del ’14 l’Italia politica fosse stata svegliata dal lungo sonno di una politica senza arte e trovò che il parlamento non c’era,che gli uomini politici ed i partiti non c’erano perché la classe dirigente politica che aveva in mano il potere era lontana dalla coscienza del paese e si era assestata altrove. Tuttavia Sturzo e tutti gli antifascisti,che poi sarebbero stati costretti all’esilio,non erano a conoscenza della corruzione di Mussolini,che,non a caso Gobetti definiva “corruttore” e non dittatore, e che aveva ricevuto proprio nel luglio del ’14 dalla Francia,che aveva tutto l’interesse a che l’Italia non restasse neutrale nel conflitto mondiale,lauti finanziamenti per la fondazione del quotidiano “Il Popolo d’Italia”,che resterà non a caso di sua proprietà fino al 1945 quando,scappando,lo vendette all’industriale milanese Cella, e il tramite fu Manlio Morgagni,poi negli anni del regime attento direttore dell’agenzia di stampa Stefani,l’”occhio”censore del fascismo e che poi sarà l’unico alla notizia dell’arresto di Mussolini il 25 luglio 1943 a suicidarsi nella sua bella villa romana di via Antonio Nibby,20,al quartiere Nomentano,di fianco a Villa Torlonia residenza del duce,per paura che si scoprisse l’antica corruzione originaria di tutti i finanziamenti ricevuti da Benito Mussolini. Ma Luigi Sturzo era anche l’alfiere della visione repubblicana del cattolicesimo e riproponeva il problema dello stato perché non si limitò ad integrarvi le forze cattoliche,spesso accusate di non avere senso dello stato,ma ad agire come elemento di allargamento della legittimazione popolare dello stato. Si preoccupò di sostanziare le fondamenta dello stato di consenso popolare per radicarlo nella dinamica democratica e ciò rendeva necessaria la presenza di cattolici maturi e non emotivi;suggerì il riordino dello stato che non si realizzò per l’emergere del fascismo,che andava ben oltre i limiti del regionalismo dei giorni nostri. La vita di Sturzo fu piena di avvenimenti drammatici:dalla prima esperienza siciliana di Palagonia a quella romana tra i poveri,alla fondazione del Partito Popolare,gli anni dell’esilio fino al 1946,alle battaglie per la democrazia e la libertà dopo il ritorno in Italia,profondendo una grande esperienza umana prima che politica. Questa esistenza così feconda e lunga,morirà a Roma a 88 anni,la si può raggruppare in quattro fasi:la prima,amministrativa e municipale,dal 1899 al 1920 e dal 1905 come sindaco quantunque la sua attività pubblica fosse iniziata nel 1896 con la fondazione della banca del suo paese per combattere il già diffuso fenomeno dell’usura e in quell’anno fondò il suo settimanale “La Croce di Costantino”. Poi vi è la fase del politico “nazionale” che però dura pochi anni,dal ’19 al ’23,quando fu costretto a lasciare la segreteria del partito;ma fondamentale è il periodo dell’esilio durato 22 anni dal ’24 al ’46 che influirono enormemente sulla sua maturazione politica. No dimenticava che il Vaticano lo aveva “consigliato” ad allontanarsi(una rivincita certo del clericalismo sulle sue posizioni)e nemmeno che il congresso del suo partito a Torino lo aveva,di fatto,sconfessato come suo leader. Solitario apostolo della democrazia cattolica,aveva avvertito il gelo fecondo della solitudine e la tristezza dell’abbandono di molti amici,ma era rimasto semplice e fedele ministro del Cristo fatto uomo e volle vivere con discrezione la sua ora getsemanica,pagando con l’esilio dall’amata Italia,la tenacia nella difesa della laicità del cattolico in politica. Va ricordato che dopo 20anni di attività socio economica,amministrativa e civile,nel discorso al primo congresso del partito a Bologna nel giugno 1919,aveva definito la sua politica come un complesso di decisioni e di tentativi per dare soluzioni ai molteplici problemi,mutevoli nel tempo,che si sarebbero presentati al partito di volta in volta. Per lui il programma doveva essere innanzitutto una realtà e,come tale,vivente che si doveva evolvere,specificarsi attorno alla politica come battaglia,quella che S. Paolo definiva la “buona battaglia”,come teoria e pratica e si doveva segnare nel suo sviluppo il cammino e il progresso del partito. Collocava a fondamento dell’azione del partito la progressiva e sempre più profonda consapevolezza della radicale impossibilità di poter mai costringere la realtà della vita in puri schemi mentali,per cui non si poteva che trovare una linea di approssimazione,di tendenze,una soluzione temporanea che chiamasse altre approssimazioni ,soluzioni,nel perenne divenire che è la vita dell’uomo,nell’interesecarsi di forze contrastanti e di elementi contraddittori,pur ispirati a principi fermi e solenni,che danno la guida della luce nel mondo. Dall’esperienza pubblica Sturzo acquista una profonda sensibilità per l’esperienza umana e per i problemi dell’uomo e viene messo in condizione di inquadrare lo sforzo umano verso una partecipazione più estesa ai diritti al potere e alla libertà,come un grande e secolare sforzo dell’umanità verso la liberazione,la redenzione,il vero risorgimento,non quello elitario che il nostro paese aveva vissuto,ma una partecipazione vera delle masse popolari ai processi storici,da protagonista. Era,altresì,viva in lui l’idea che la spinta dell’uomo verso la felicità non potesse essere mai completa,perché l’uomo non esaurisce nell’atto la sua potenza,non è immune da preoccupazioni o la sua vita da insidie,ma comunque tende sempre verso l’infinito a cui assimilarsi o da cui essere assorbito e a questo proposito basti scorrere le pagine del suo bellissimo volume “La Vera Vita”,quasi un diario spirituale,oggi attualissimo soprattutto per lo spessore etico morale. Egli parlò e trattò i problemi dell’uomo in un contesto quasi esclusivamente politico,dimostrando come l’attività politica sia l’attività più elevata che l’uomo può esprimere dopo l’unione intima con Dio e ne parlò come politico e come filosofo con quel profondo senso e quella singolare esperienza dell’infinito che si può provare nel mondo concretamente storico che potremmo definire “universo infinito”. Proprio il libro “La Vera Vita”,che poi fu la sua ultima pubblicazione,potremmo definirla come una non comune concretizzazione storico filosofica e spirituale teologica,sempre con grande attenzione sociologica; in quel congresso,già di per sé carico di aspettative,enuncia una importante proposizione filosofica elaborata,approfondita ed ampliata poi nelle sue opere e nella sua corrispondenza:sottolinea con vigore che tutti noi viviamo in un universo infinito che richiede una continua “riforma” e perciò una autentica trasformazione anche e soprattutto della realtà politica che è quella dove tutti noi dobbiamo vivere,dimostrandosi vero filosofo riformatore della politica. Messia del riformismo,come disse Godetti,racchiude il progetto di vita pubblica e privata del sacerdote siciliano,attraverso il paradigma del filosofo che lo stesso Platone considerava uomo capace di vedere 2La connessione tra le cose”,perché il filosofo è uomo “sinottico”;inoltre il filosofo ha come caratteristica peculiare di saper amare la realtà come un tutto,senza espressamente rinunciare ad una parte di essa in quanto relativamente piccola o insignificante,come ammonisce nella “Repubblica”(537,c). Sturzo ha introdotto tra i cattolici un modo di confronto politico fatto di dati e,soprattutto,di fatti concreti,non di ideologia,in un momento storico in cui le ideologie stavano travolgendo il mondo per poi portarlo sul baratro della seconda guerra mondiale. Questa novità certamente unica nella politica di quel tempo, era dovuta alla sua esaustiva conoscenza della macchina burocratica,dall’aver studiato e conosciuto già negli anni precedenti l’incarico di sindaco della sua città,il funzionamento dello stato,per questo possiamo definirlo “statista” e lo sarà anche quando,nel secondo dopoguerra vedrà le contraddizioni “in nuce”dei progetti della sinistra democristiana e dell’invasione dei partiti nello stato,prevedendo quello che oggi è invalso chiamare “partitocrazia”. Egli aveva comunque anche una profonda conoscenza della non facile materia legislativa e se lo stato oggi lo definiamo come un momento unitario di consapevolezza giuridica dell’azione,è anche contributo di uomini come Sturzo aver contribuito a chiarire il valore della legge e la differenza con la legalità. Tuttavia non era solo esperto nella teoria e prassi burocratica e amministrativa dello stato “tout court”,ma anche sottile e costruttivo critico,preoccupato incessantemente di riformare,soprattutto capendone l’importanza nei drammatici anni del primo dopoguerra,nel biennio 1920-1922. La novità della sua proposta politica e che voleva fosse di tutto il Partito Popolare,come espressione di maturità dei cattolici in politica,consisteva non tanto nel criticare l’esistente,nel ripetere le litanie sulla crisi che si trascinava dalla fine del conflitto,come facevano un po’ tutti,ad eccezione dei fascisti e poi dei comunisti che avevano,ovviamente, in comune il fine di travolgere il sistema democratico e vedevano come nemici acerrimi tutti coloro che riponevano nel riformismo i propri programmi politici,ma proponeva un vero programma di riforme e di ricostruzione del potere amministrativo su base regionale e locale in modo assai diverso dal radicalismo socialista e anche da talune proposte del riformismo turatiano,e qui risiede il motivo del mancato incontro tra popolari e socialisti che spianò la strada al fascismo e che si sarebbe realizzato solo tanti anni dopo con il centrosinistra. Era una proposta più ampia di quella socialista e più generale,che non si limitava solo a ritoccare aspetti della macchina burocratica dello stato. E della sua amministrazione. Se esaminiamo invece la proposta comunista e in particolare il progetto di Antonio Gramsci(1891/1937),vi troviamo un sostanziale disinteresse per l’aspetto burocratico,ma,anzi un attenzione ancora all’”elitismo”di marca leninista;Lenin infatti aveva introdotto nel dibattito della sinistra massimalista e che sarà poi il motivo dominante dell’Internazionale,il ruolo guida delle èlites nella gestione politica delle masse e,soprattutto,il ruolo egemone del partito che,per estinguere lo stato,imponeva il suo assorbimento nel partito comunista,in quello che in URSS era e sarebbe stato per 70 anni il politburo. Gramsci rilanciava il concetto di “egemonia”del partito e in “Note sul Machiavelli” sostituirà la figura del “Principe”con quella del “Partito”,novello principe,quindi una politica non solo antidemocratica,o perlomeno una democrazia “aristotelica”,ma addirittura pericolosa per combattere il fenomeno fascista allora imperante in tutta la sua impetuosità. Sturzo poneva un problema fondamentale per l’intero processo storico-politico moderno,pensando ad un ruolo per il suo partito di “opinione”perché aveva intuito che con lo scoppio della prima guerra mondiale era andato definitivamente in frantumi il vecchio mondo elitario ereditato dall’800 e si stava costituendo la società di massa;argomenti su cui in quegli anni cominciava a ripensare anche se con altri esiti,un altro pensatore e filosofo destinato ad incidere non poco sulla visione politica e anche ecclesiale del cattolicesimo contemporaneo:Jacques Maritain. La “forma mentis” ma anche il progetto di Luigi Sturzo erano una sintesi tra il “sinottico” e il “concreto”,un modo di vedere le cose e le vicende storiche in maniera “integrata”. Ma qual’era il momento “sinottico”dello Sturzo riformatore della politica?In realtà è diffusa la convinzione che i cattolici più che appartarsi in forme proprie,abbiano sentito come tutti gli altri movimenti e partiti dell’epoca contemporanea,la vita per assimilarla e poi trasformarla e il mondo moderno desta sempre la sollecitazione della critica,del miglioramento e,quindi,della riforma,la revisione della vita e ciò è stato il contributo più originale che i cattolici hanno offerto alle società moderne,tra tanti contrasti e contraddizioni. Oggi si avverte il bisogno di un ritorno all’interezza della vita cristiana,di fronte all’agitarsi del pensiero e dell’attività moderna,senza le sovrastrutture di epoche precedenti o ostacoli privi di spessore e significato.

Nel 1941,dopo che dalla Gran Bretagna si era trasferito da un anno negli Stati Uniti,rivelò che grazie ad un’esperienza giovanile si era trasformata la sua visione del mondo e della vita:mentre era immerso negli studi teologici a Roma,nel 1895 fu invitato da un parroco a benedire per la S. Pasqua le case di un quartiere popolare nel ghetto,sulle rive del Tevere,quando ancora non era costruita la Sinagoga. Restò colpito dalla grande miseria che aveva superato di gran lunga il limite minimo della povertà,a punto tale che ne ebbe conseguenze fisiche fino a sentirsi male e restare digiuno per giorni interi e non volle più leggere nemmeno gli amati S. Agostino e S. Tommaso,tanto era immerso nello sconvolgimento di quegli stracci che aveva visto con apparenza di case!

Da questa ferale esperienza ricavò il convincimento di doversi impegnare nelle attività sociali che il mondo cattolico svolgeva in quel periodo e cercò di incontrare personalmente l’economista Giuseppe Toniolo,che era il leader teorico,un po’ il padre “ morale”della Democrazia Cristiana di don Romolo Murri,e ne diventò in breve confidente e discepolo. Nacquero così le lezioni sulla Democrazia Cristiana che egli volle svolgere e dalle quali emerge la sua fortissima tensione morale e l’esigenza di giustizia sociale per la difesa degli umili e degli oppressi,per raggiungere una graduale evoluzione dei più umili e più numerosi attraverso lo zelo,la sollecitudine e la preoccupazione di elevare nella democrazia una società così complessa come quella uscita in crisi pur dopo la vittoria della guerra. Comunque Sturzo ancora per sette anni decise di insegnare ancora filosofia,senza smettere gli studi sociologici dei quali spesso tornava ad occuparsi. L’ assai vasta e multiforme esperienza pubblica diede a lui il privilegio di una base di conoscenze che gli consentirono negli anni seguenti di sviluppare teorie sociologiche e filosofiche molto produttive e proficue. Le esperienze compiute durante gli anni di soggiorno a Roma,ma anche quelli giovanili in Sicilia,segnarono molto profondamente la vita di Sturzo, che pare abbia detto di avere subito una sorta di conversione vera e propria allorché si allontanò dai suoi studi filosofici e teologici e dall’insieme dell’ambiente del seminario,per avvicinarsi e fare i conti con la dura realtà secolare di quel crinale tanto difficile di fine ‘800 e si trattò di una conversione possiamo dire quasi drammatica,un po’ come quella di Kant che attraverso la lettura degli scritti di David Hume si destò dal torpore in cui era sprofondato in un sonno dogmatico e a spingersi nell’avventura di nuovi campi speculativi,cambiando il modo stesso di fare filosofia in termini tradizionali. Allo stesso modo Sturzo fu risvegliato dalle esperienze romane a prendere coscienza di un ruolo “sociale”che anche il sacerdote,come ministro di Dio deve avere ed avvertire ed in questo senso lo Sturzo filosofo è tutt’uno con lo Sturzo politico,perché si occupa di problemi filosofici e politici nello stesso tempo,cercando,tuttavia,sempre la via magistrale delle “riforme”dei rinnovamenti sia sul terreno sociale che su quello individuale. Proclama con fierezza la necessità di una palingenesi,di un rinnovamento attraverso le riforme per operare una nuova antropologia sociale,una moderna sociologia,nuova e libera da vetuste incrostazioni elitarie del passato. In lui è viva la lezione della tradizione del Magistero,ma anche del rinnovamento operato da Antonio Rosmini Serbati che,seppure morto nel 1855,aveva lasciato nelle generazioni successive,diremmo sedimentato,i caratteri del rinnovamento sia teologico con le “Cinque Piaghe della S. Chiesa”,che politico,attraverso anche l’influsso che esercitò su Alessandro Manzoni (1785/1873)di una necessità quasi biologica per i cattolici in politica di acquisire il senso della laicità nell’affrontare le questioni della politica,per avere la possibilità di sviluppare appieno il dettato cristiano del dare “a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”,rivoluzionando la concezione della vita dell’uomo nel tempo storico che gli è dato vivere. Attraverso l’opera di J. Marechal che innovò non poco l’interpretazione classica del tomismo,egli conosce profondamente il grado di rivoluzione sociale realizzato nelle sue opere dall’Aquinate,soprattutto per la grande attenzione dedicata al ruolo della persona nella società.

 

(continua)

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