I problemi dell’immigrazione. Rileggiamo le parole del Card. Giacomo Biffi

Il 30 settembre 2000 (15 anni fa!) un uomo di grande Fede e grande intelligenza (né quest’ultima può sussistere senza la prima) ammoniva sui rischi connessi a un’immigrazione selvaggia e incontrollata, e in particolare sui rischi dell’immigrazione islamica. Quest’uomo era S. Em. Il Card. Giacomo Biffi, all’epoca Arcivescovo di Bologna. Ci pare molto utile rileggere le parole del Card. Biffi, oggi più valide che mai e ci piace sottolineare un passaggio importante del suo discorso: Inoltre l’azione evangelizzatrice è di sua natura universale e non tollera deliberate esclusioni di destinatari. Il Signore non ci ha detto: “Predicate il Vangelo ad ogni creatura, tranne i musulmani, gli ebrei e il Dalai Lama” (cf Mc 16,15). Chi ci contestasse la legittimità o anche solo l’opportunità di questo annuncio illimitato e inderogabile, peccherebbe di intolleranza nei nostri confronti: ci proibirebbe infatti di essere quello che siamo, vale a dire “cristiani”; cioè obbedienti alla chiara ed esplicita volontà di Cristo”. Insomma, il Card. Giacomo Biffi ricordava il dovere dell’evangelizzazione, senza deliberate esclusioni di destinatari. Naturalmente il suo intervento suscitò molte polemiche, ma non erano ancora maturi i tempi della “chiesa della misericordia” e della “grazia dell’interreligiosità”, così l’allora Arcivescovo di Bologna non si trovò, ad esempio, affiancato (rectius: vigilato) da un “vescovo coadiutore”…

PD

(NB: i grassetti in corsivo sono nostri, per evidenziare alcuni passaggi)

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Giacomo Biffi: Sull’immigrazione

Intervento dell’arcivescovo di Bologna al Seminario della Fondazione Migrantes, 30 settembre 2000
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Premessa

Dovrebbe essere evidente a tutti quanto sia rilevante il tema dell’immigrazione nell’Italia di oggi; ma credo sia altrettanto innegabile l’inadeguata attenzione pastorale e lo scarso realismo con cui finora esso è stato valutato e affrontato. Il fenomeno appare imponente e grave; e i problemi che ne derivano – tanto per la società civile quanto per la comunità cristiana – sono per molti aspetti nuovi, contrassegnati da inedite complicazioni, provvisti di una forte incidenza sulla vita delle nostre popolazioni.

I generici allarmismi senza dubbio non servono, ma nemmeno le banalizzazioni ansiolitiche e le speranzose minimizzazioni. Né si può sensatamente confidare in un rapido esaurirsi dell’emergenza: è improbabile che tutto si risolva quasi autonomamente, senza positivi interventi, e la tensione stia per sciogliersi presto quasi come un temporale estivo, che di solito è di breve durata e non suscita prolungate preoccupazioni.

A una interpellanza della storia come questa si deve dunque rispondere – come, del resto, davanti a tutti gli eventi imprevisti e non eludibili della vicenda umana – senza panico e senza superficialità. Vanno studiate le cause e va accuratamente indagata l’indole multiforme dell’accadimento; ma non si può neanche attardarsi troppo nelle ricerche e nelle analisi, senza mai arrivare a qualche provvedimento mirato e, per quel che è possibile, efficace, perché i turbamenti e le sofferenze derivanti dall’immigrazione sono già in atto.
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Un fenomeno che ha sorpreso lo Stato

Dobbiamo riconoscere – e può essere un’attenuante – che siamo stati tutti colti di sorpresa.
E’ stato colto di sorpresa lo Stato, che dà tuttora l’impressione di smarrimento; e pare non abbia ancora recuperata la capacità di gestire razionalmente la situazione, riconducendola entro le regole irrinunciabili e gli ambiti propri dell’ordinata convivenza civile. I provvedimenti, che via via vengono predisposti, sono eterogenei e spesso appaiono contradditori: denunciano la mancanza di una qualche progettualità e, più profondamente, denotano l’assenza di una corretta e disincantata interpretazione di ciò che sta avvenendo. Non vediamo che ci sia una “lettura” abbastanza penetrante dei fatti, tale che sia poi in grado di suggerire, sviluppare e sorreggere un indirizzo coerente e saggio di comportamento.
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Ha sorpreso anche la comunità ecclesiale

Sono state colte di sorpresa anche le comunità cristiane, ammirevoli in molti casi nel prodigarsi prontamente ad alleviare disagi e pene, ma sprovviste finora di una visione non astratta, non settoriale e abbastanza concorde, in grado di ispirare valutazioni e intenti operativi che tengano conto di tutte le implicazioni degli avvenimenti e di tutti gli aspetti della questione. Le generiche esaltazioni della solidarietà e del primato della carità evangelica – che in sé e in linea di principio sono legittime e anzi doverose – si dimostrano più generose e ben intenzionate che utili, se rifuggono dal commisurarsi con la complessità del problema e la ruvidezza della realtà effettuale.
Anche nella nostra esplicita consapevolezza di pastori, non si ha l’impressione che il fenomeno dell’immigrazione negli ultimi quindici anni – nel corso dei quali esso si è amplificato e acutizzato – sia stato vivo e pungente a misura della sua oggettiva gravità.
Abbiamo avuto in merito due estesi documenti: nel 1990 la Nota pastorale della Commissione ecclesiale “Giustizia e pace” dal titolo: Uomini di culture diverse: dal conflitto alla solidarietà; e nel 1993 gli Orientamenti pastorali della Commissione ecclesiale per le migrazioni dal titolo: Ero forestiero e mi avete ospitato. Ambedue i testi, molto estesi e analitici, sono più che altro (e doverosamente) tesi a costruire e a diffondere nella cristianità una “cultura dell’accoglienza”. Manca invece un po’ di realismo nel vaglio delle difficoltà e dei problemi; e soprattutto appare insufficiente il risalto dato alla missione evangelizzatrice della Chiesa nei confronti di tutti gli uomini, e quindi anche di coloro che vengono a dimorare da noi.
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Gli auspici del pastore

Vorrei adesso dare consistenza al mio cordiale saluto ai partecipanti di questo seminario, esprimendo semplicemente alcuni auspici: nascono dalla riflessione e dal cuore di un vescovo, rivelano più che altro le sue sollecitudini apostoliche e sono formulati nel rispetto di quanti – studiosi, operatori sociali, pubbliche autorità – sono chiamati in causa dalla necessità di dare rapida e sufficiente risposta all’emergenza che qui prende il nostro interesse.
Non dovrebbe essere inutile che agli esami e alle considerazioni di natura politica, economica, antropologica, culturale dei competenti (e prestando ad essi la dovuta attenzione) si aggiunga anche la prospettiva di chi – essendo a tutti gli effetti cittadino italiano e avendo l’originale presunzione di poter esporre anche in quanto tale il proprio parere – si sente soprattutto responsabile del presente e dell’avvenire del gregge di Cristo che gli è stato affidato; e, tra l’altro, non può mai dimenticare l’inquietante domanda che il Signore Gesù ha lasciato senza risposta: “Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8).
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Gli auspici per lo Stato e la società civile

L’auspicio sostanziale che crediamo di dover formulare per lo Stato e la società civile, è che si chiariscano e siano comunemente accolte alcune persuasioni previe, sicché ci si accosti al fenomeno dell’immigrazione provvisti di una “cultura” plausibile largamente condivisa.
E’ incontestabile, per esempio, il principio che a ogni popolo debbano essere riconosciuti gli spazi, i mezzi, le condizioni che gli consentano non solo di sopravvivere ma anche di esistere e svilupparsi secondo quanto è richiesto dalla dignità umana. Gli organismi internazionali sono sollecitati a farsi carico delle iniziative atte a conseguire questa mèta e non possono perdere di vista questo necessario ideale di giustizia distributiva generale; e tutto ciò vale – in modo proporzionato e secondo le reali possibilità – anche per i singoli stati.
Ma non se ne può dedurre – se si vuol essere davvero “laici” oltre tutti gli imperativi ideologici – che una nazione non abbia il diritto di gestire e regolare l’afflusso di gente che vuol entrare a ogni costo. Tanto meno se ne può dedurre che abbia il dovere di aprire indiscriminatamente le proprie frontiere.
Bisogna piuttosto dire che ogni auspicabile progetto di pacifico inserimento suppone ed esige che gli accessi siano vigilati e regolamentati. E’ tra l’altro davanti agli occhi di tutti che gli ingressi arbitrari – quando hanno fama di essere abbastanza agevolmente effettuabili – determinano fatalmente da un lato il dilatarsi incontrollato della miseria e della disperazione (e spesso pericolose insorgenze di intolleranza e di rifiuto assoluto), dall’altro il prosperare di un’industria criminale di sfruttamento di chi aspira a varcare clandestinamente i confini.
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Progetti realistici complessivi

Ciò che dobbiamo augurare al nostro Stato e alla società italiana è che si arrivi presto a un serio dominio della situazione, in modo che il massiccio arrivo di stranieri nel nostro paese sia disciplinato e guidato secondo progetti concreti e realistici di inserimento che mirino al vero bene di tutti, sia dei nuovi arrivati sia delle nostre popolazioni.
Tali progetti dovrebbero contemplare tanto la possibilità di un lavoro regolarmente remunerato quanto la disponibilità di alloggi dignitosi non gratuiti: per questa strada si potrà arrivare a un sicuro innesto entro il nostro organismo sociale, senza discriminazioni e senza privilegi.
Chi viene da noi deve sapere subito che gli sarà richiesto, come necessaria contropartita dell’ospitalità, il rispetto di tutte le norme di convivenza che sono in vigore da noi, comprese quelle fiscali. Diversamente non si farebbe che suscitare e favorire perniciose crisi di rigetto, ciechi atteggiamenti di xenofobia e l’insorgere di deplorevoli intolleranze razziali.
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Criteri attuativi

La pratica attuazione di questi progetti obbedirà necessariamente a criteri che saranno anche economici: l’Italia ha bisogno di forze lavorative che non riesce più a trovare nell’ambito della sua popolazione.

A questo proposito, dovrebbero essere tutti ormai persuasi di quanto sia stata insipiente la linea perseguita negli ultimi quarant’anni, con l’ossessivo terrorismo culturale antidemografico e con l’assenza di ogni correttivo legislativo e politico che ponesse qualche rimedio all’egoistica e stolta denatalità, da molto tempo ai vertici delle statistiche mondiali. Tutto questo nonostante l’esempio contrario delle nazioni d’Europa più accorte, più lungimiranti, più civili, che non hanno esitato a prendere in questo campo intelligenti e realistici provvedimenti.
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La salvaguardia dell’identità nazionale

Ma i criteri di cui si parla non potranno essere soltanto economici e previdenziali.
Una consistente immissione di stranieri nella nostra penisola è accettabile e può riuscire anche benefica, purché ci si preoccupi seriamente di salvaguardare la fisionomia propria della nazione. L’Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza una inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto.

Sotto questo profilo, uno Stato davvero “laico” – che cioè abbia di mira non il trionfo di qualche ideologia, ma il vero bene degli uomini e delle donne sui quali esercita la sua attività di amministrazione e di governo, e voglia loro preparare con accortezza un desiderabile futuro – dovrebbe avere tra le sue preoccupazioni primarie quella di favorire la pacifica integrazione delle genti (come si è già storicamente verificato nell’incontro tra le popolazioni latine e quelle germaniche sopravvenute) o quanto meno una coesistenza non conflittuale; una compresenza e una coesistenza che comunque non conducano a disperdere la nostra ricchezza ideale o a snaturare la nostra specifica identità.

Bisogna perciò concretamente operare perché coloro che intendono stabilirsi da noi in modo definitivo “si inculturino” nella realtà spirituale, morale, giuridica del nostro paese, e vengano posti in condizione di conoscere al meglio le tradizioni letterarie, estetiche, religiose della peculiare umanità della quale sono venuti a far parte.
A questo fine, le concrete condizioni di partenza degli immigrati non sono ugualmente propizie; e le autorità non dovrebbero trascurare questo dato della questione.

In una prospettiva realistica, andrebbero preferite (a parità di condizioni, soprattutto per quel che si riferisce all’onestà delle intenzioni e al corretto comportamento) le popolazioni cattoliche o almeno cristiane, alle quali l’inserimento risulta enormemente agevolato (per esempio i latino-americani, i filippini, gli eritrei, i provenienti da molti paesi dell’Est Europa, eccetera); poi gli asiatici (come i cinesi e i coreani), che hanno dimostrato di sapersi integrare con buona facilità, pur conservando i tratti distintivi della loro cultura. Questa linea di condotta – essendo “laicamente” motivata – non dovrebbe lasciarsi condizionare o disanimare nemmeno dalle possibili critiche sollevate dall’ambiente ecclesiastico o dalle organizzazioni cattoliche.
Come si vede, si propone qui semplicemente il “criterio dell’inserimento più agevole e meno costoso”: un criterio totalmente ed esplicitamente “laico”, a proposito del quale evocare gli spettri del razzismo, della xenofobìa, della discriminazione religiosa, dell’ingerenza clericale e perfino della violazione della Costituzione, sarebbe un malinteso davvero mirabile e singolare; il quale, se effettivamente si verificasse, ci insinuerebbe qualche dubbio sulla perspicacia degli opinionisti e dei politici italiani.
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Il caso dei musulmani
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Se non si vuol eludere o censurare tale realistica attenzione, è evidente che il caso dei musulmani vada trattato a parte. Ed è sperabile che i responsabili della cosa pubblica non temano di affrontarlo a occhi aperti e senza illusioni.

Gli islamici – nella stragrande maggioranza e con qualche eccezione – vengono da noi risoluti a restare estranei alla nostra “umanità”, individuale e associata, in ciò che ha di più essenziale, di più prezioso, di più “laicamente” irrinunciabile: più o meno dichiaratamente, essi vengono a noi ben decisi a rimanere sostanzialmente “diversi”, in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro.

Hanno una forma di alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra (fino a praticare la poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se aspettano prudentemente a farla valere di diventare preponderanti. Non sono dunque gli uomini di Chiesa, ma gli stati occidentali moderni a dover far bene i loro conti a questo riguardo.
Va anzi detto qualcosa di più: se il nostro Stato crede sul serio nell’importanza delle libertà civili (tra cui quella religiosa) e nei princìpi democratici, dovrebbe adoperarsi perché essi siano sempre più diffusi, accolti e praticati a tutte le latitudini. Un piccolo strumento per raggiungere questo scopo è quello della richiesta che venga data una “reciprocità” non puramente verbale da parte degli stati di origine degli immigrati.

Scrive a questo proposito la Nota Cei del 1993: ‘In diversi paesi islamici è quasi impossibile aderire e praticare liberamente il cristianesimo. Non esistono luoghi di culto, non sono consentite manifestazioni religiose fuori dell’islam, né organizzazioni ecclesiali per quanto minime. Si pone così il difficile problema della reciprocità. E’ questo un problema che non interessa solo la Chiesa, ma anche la società civile e politica, il mondo della cultura e delle stesse relazioni internazionali. Da parte sua il papa è instancabile nel chiedere a tutti il rispetto del diritto fondamentale della libertà religiosa’ (n. 34). Ma – diciamo noi – chiedere serve a poco, anche se il papa non può fare di più.
Per quanto possa apparire estraneo alla nostra mentalità e persino paradossale, il solo modo efficace e non velleitario di promuovere il “principio di reciprocità” da parte di uno Stato davvero “laico” e davvero interessato alla diffusione delle libertà umane, sarebbe quello di consentire in Italia per i musulmani, sul piano delle istituzioni da autorizzare, solo ciò che nei paesi musulmani è effettivamente consentito per gli altri.
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Cattolicesimo “religione nazionale storica”

Quanto ai rapporti da intrattenere con le diverse religioni, che sono presenti tra noi in conseguenza dell’immigrazione, sarà bene che nessuno ignori o dimentichi che il cattolicesimo – che indiscutibilmente non è più la “religione ufficiale dello Stato” – rimane nondimeno la “religione storica” della nazione italiana, la fonte precipua della sua identità, l’ispirazione determinante delle nostre più vere grandezze.
Sicché è del tutto incongruo assimilarlo socialmente alle altre forme religiose o culturali, alle quali dovrà essere assicurata piena e autentica libertà di esistere e di operare, senza però che questo comporti un livellamento innaturale o addirittura un annichilimento dei più alti valori della nostra civiltà.
Va anche detto che è una singolare visione della democrazia il far coincidere il rispetto degli individui e delle minoranze con il non rispetto della maggioranza e l’eliminazione di ciò che è acquisito e tradizionale in una comunità umana. Dobbiamo qui segnalare purtroppo casi sempre più numerosi di questa, che è una “intolleranza sostanziale”, per esempio quando nelle scuole si aboliscono i segni e gli usi cattolici per la presenza di alcuni di altre fedi.
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Alle comunità ecclesiali

Che cosa diremo di illuminante e di pratico alle comunità cristiane, che di questi tempi sono per la verità afflitte da poca chiarezza di idee e da molte incertezze comportamentali?
In primo luogo, deve essere manifesto a tutti che non è per sé compito della Chiesa come tale risolvere ogni problema sociale che la storia di volta in volta ci presenta. Le nostre comunità e i nostri fedeli non devono perciò nutrire complessi di colpa a causa delle emergenze anche imperiose che essi con le loro forze non riescono ad appianare. Sarebbe un implicito, ma comunque intollerabile e grave “integralismo” il credere che le aggregazioni ecclesiali e i cattolici possano essere responsabilizzati di tutto.
Qualche volta i malintesi sono involontariamente propiziati dalle pubbliche autorità che, quando non sanno che pesci pigliare, fanno appello alle nostre supplenze e fatalmente ci coinvolgono (dando in tal modo implicito riconoscimento che le organizzazioni ecclesiali sono tra quelle che in Italia riescono ancora a funzionare).
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L’annuncio del Vangelo e l’osservanza della carità

Compito primario e indiscutibile delle comunità ecclesiali è l’annuncio del Vangelo e l’osservanza del comando dell’amore. Di fronte a un uomo in difficoltà – quale che sia la sua razza, la sua cultura, la sua religione, la legalità della sua presenza – i discepoli di Gesù hanno il dovere di amarlo operosamente e di aiutarlo a misura delle loro concrete possibilità.

Il Signore ci chiederà conto della genuinità e dell’ampiezza della nostra carità e ci domanderà se abbiamo fatto tutto il possibile. Su questo però – sarà bene che nessuno se lo dimentichi – noi siamo tenuti a rispondere non ad altri, ma solo al Signore.
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Non surrogabilità dell’evangelizzazione

Dovere statutario della Chiesa Cattolica e compito di ogni battezzato è di far conoscere esplicitamente Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio morto per noi e risorto, oggi vivo e Signore dell’universo, unico Salvatore di tutti.
Tale missione può essere coadiuvata ma non surrogata dall’attività assistenziale che riusciremo a offrire ai nostri fratelli. Suppone la nostra attitudine al dialogo sincero, aperto, rispettoso con tutti, ma non può risolversi nel solo dialogo. E’ favorita dalla conoscenza oggettiva delle posizioni altrui, ma si avvera soltanto nella conoscenza di Cristo cui noi riusciamo a portare i nostri fratelli, che sventuratamente ancora non ne sono gratificati.

Inoltre l’azione evangelizzatrice è di sua natura universale e non tollera deliberate esclusioni di destinatari. Il Signore non ci ha detto: “Predicate il Vangelo ad ogni creatura, tranne i musulmani, gli ebrei e il Dalai Lama” (cf Mc 16,15). Chi ci contestasse la legittimità o anche solo l’opportunità di questo annuncio illimitato e inderogabile, peccherebbe di intolleranza nei nostri confronti: ci proibirebbe infatti di essere quello che siamo, vale a dire “cristiani”; cioè obbedienti alla chiara ed esplicita volontà di Cristo.

E’ molto importante che tutti i cattolici si rendano conto di questa loro indeclinabile responsabilità. E per essere buoni evangelizzatori, persuasi dentro di sé e persuasivi nei confronti degli altri, essi devono crescere sempre più nella intelligenza e nella gioiosa ammirazione degli immensi tesori di verità, di sapienza, di consolante speranza che hanno la fortuna di possedere: è una effusione sovrumana, anzi divinizzante di luce, assolutamente inconfrontabile con i pur preziosi barlumi offerti dalle varie religioni e dall’Islam; e noi siamo chiamati a proporla appassionatamente e instancabilmente a tutti i figli di Adamo.
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Approccio realisticamente differenziato

Le comunità cristiane – in funzione di un approccio sapiente e realistico al fenomeno dell’immigrazione – non possono non valutare attentamente i singoli e i gruppi, in modo da assumere poi gli atteggiamenti più pertinenti e più opportuni.
Agli immigrati cattolici – quale che sia la loro lingua e il colore della loro pelle – bisogna far sentire nella maniera più efficace che all’interno della Chiesa non ci sono “stranieri”: essi a pieno titolo entrano a far parte della nostra famiglia di credenti, e vanno accolti con schietto spirito di fraternità.
Quando sono presenti in numero rilevante e in aggregazioni omogenee consistenti, andranno sinceramente incoraggiati a conservare la loro tipica tradizione cattolica, che sarà oggetto di affettuosa attenzione da parte di tutti. La compresenza di queste diverse “forme” di vita ecclesiale e di culto autentico costituirà senza dubbio un arricchimento spirituale per l’intera cristianità.
Ai cristiani delle antiche Chiese orientali, che non sono ancora nella piena comunione con la Sede di Pietro, esprimeremo simpatia e rispetto. E, in conformità agli eventuali accordi generali e secondo l’opportunità, potremo favorirli anche dell’uso di qualche nostra chiesa per le loro celebrazioni.

Gli appartenenti alle religioni non cristiane vanno amati e, quanto è possibile, aiutati nelle loro necessità. Da alcuni di loro – segnatamente dai musulmani – possiamo tutti imparare la fedeltà ai loro esercizi rituali e ai loro momenti di preghiera, ma non tocca a noi prestare positive collaborazioni alla loro pratica religiosa.
A questo proposito, è utile richiamare quanto è disposto dalla Nota CEI del 1993, già citata: “Le comunità cristiane, per evitare inutili fraintendimenti e confusioni pericolose, non devono mettere a disposizione, per incontri religiosi di fedi non cristiane, chiese, cappelle e locali riservati al culto cattolico, come pure ambienti destinati alle attività parrocchiali” (n. 34).

Come si può capire dalla complessità di questa problematica, non è ammissibile che essa sia affrontata ‘in toto’ dalla “Caritas italiana”, che ha un ben delimitato campo di valutazione e di interesse. Sui temi della evangelizzazione, della identità cristiana del nostro popolo, delle concrete difficoltà pastorali – e dunque sulla questione della immigrazione globalmente intesa – non dovrebbero esserci deleghe a nessun particolare organismo ecclesiale.
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Conclusione

In un’intervista di una decina d’anni fa, mi è stato chiesto con molto candore e con invidiabile ottimismo: “Ritiene anche Lei che l’Europa o sarà cristiana o non sarà?”. Mi pare che la mia risposta di allora possa ben servire alla conclusione del mio intervento di oggi.
Io penso – dicevo – che l’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la “cultura del niente”, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l’atteggiamento largamente dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa “cultura del niente” (sorretta dall’edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’Islam, che non mancherà: solo la riscoperta dell’avvenimento cristiano come unica salvezza per l’uomo – e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa – potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto.
Purtroppo né i “laici” né i “cattolici” pare si siano finora resi conto del dramma che si sta profilando. I “laici”, osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l’ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità e di libertà: potrebbero accorgersene troppo tardi. I “cattolici”, lasciando sbiadire in se stessi la consapevolezza della verità posseduta e sostituendo all’ansia apostolica il puro e semplice dialogo a ogni costo, inconsciamente preparano (umanamente parlando) la propria estinzione. La speranza è che la gravità della situazione possa a un certo momento portare a un efficace risveglio sia della ragione sia dell’antica fede.
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E’ il nostro augurio, il nostro impegno, la nostra preghiera.

16 commenti su “I problemi dell’immigrazione. Rileggiamo le parole del Card. Giacomo Biffi”

  1. L’apertura indiscriminata dei confini significa semplicemente la cancellazione dei confini. Meglio ancora, significa “Una parte del mondo particolarmente civile e densa di realizzazioni culturali ed economiche ritiene di dover essere assimilata al “Mondo” inteso come magma indistinto, e radicalmente impeccabile e Buono” (Rousseau). “L’assimilazione avverrà a cura dei Professionisti della negazione del principio di identità e non-contraddizione: negatori della realtà e del principio di Personalità…degli esseri umani e di Dio”..

    Per quanto riguarda il “Cattolicesimo” come religione, mi permetto di sottolineare che non si esce dall’impasse (se il cattolicesimo È una religione, resta comunque UNA delle tante, per quanto sia quella che ha creato l”Italia) se non affermando che “la Civiltà Cattolica HA una religione”. Cioè che l’annuncio di Cristo forma un modo di essere uomini e comunità totalmente nuovo e imprevisto – e questo modo HA e pratica una religione

  2. giorgio rapanelli

    I profeti non sono mai stati ascoltati. Invierò in giro questa meravigliosa profezia sulla situazione che stiamo vivendo e su ciò che vivremo.
    “Fermateli, ma non bombardateli”. Chi sono io per giudicare I gay , se sono alla ricerca di Dio?”. “Dio non smette mai di perdonare”. Un satanista ragiona così. Perché, da nessuna parte è scritto che chi non ha raggiunto stati d’Essere superiori non abbia il diritto alla difesa. Tra poco verrà esaltato il “martirio”. Ad un gay, come ad ogni altri tipo di peccatore, bisogna sempre dire “va’ e non peccare più”. Se poi Dio non smette mai di perdonare, allora pecchiamo pure, tanto Dio ci perdonerà comunque. Satana ci direbbe “fai ciò che vuoi, tanto Dio ti perdonerà sempre.”
    Sento cattolici che non nutrono il minimo dubbio sul comportamento del papa. Altri, invece, se la prendono che i preti, i parroci, i vescovi eccetera, che dal pulpito non aprono bocca sulle nefandezze anticristiane della politica, tipo il Gender. Penso che non dobbiamo attendere la…

  3. giorgio rapanelli

    … Gerarchia per muoverci, facendo quello che possiamo fare nel nostro piccolo e con le nostre forze. Sapendo però che siamo uniti e che tutti i “nemici” del Cristo saranno distrutti, pure se prima ci avranno fatto patire le pene dell’inferno. Dove sono quelli della Dea Ragione della Rivoluzione Francese? E Napoleone? il Nazismo, il bolscevismo, il maoismo? Come finiranno i Democratici americani di Obama e di Hillary Clinton? Quelli della Trilaterale, del Bilderberg, di Skull and Bones? E i nostrani del PD che vanno in chiesa e fanno il Gender. Nei tempi passati tanto CRITICATI l’atteggiamento di certi cardinali e vescovi non sarebbe passato indenne. Carlo Magno li destituiva. I papi li mandavano al rogo, o, meglio, li scomunicavano. Oggi, si vuole perdonare perfino una satanista come Martin Lutero, che privò dell’Eucaristia reale i suoi fedeli. Ma, io non mi preoccupo più di tanto, poiché la vittoria finale sarà del Cristo, con la distruzione di tutti i satanisti.

  4. Come si conciliano le chiarissime parole del card. Biffi con quelle di Bergoglio, secondo cui “l’interreligiosità è una grazia” ? Non sono eretiche queste ultime? e se no, vogliamo coniugare il diavolo con l’acqua santa? ecco cosa fanno Bergoglio e i suoi (scelti da lui): confondono le menti, raffreddano i cuori, preparano il gregge ad essere sbranato dai lupi. Ma lui ha solo messo l’acceleratore a un processo iniziato in quel nefasto 26 ottobre 1958.

  5. Molto bello! Grazie.
    Quel sorriso che poi strappa solo con il metterci davanti la semplice Verità che abbiamao sotto gli occhi e non vediamo! Che non vogliamo vedere. Che hanno fatto di tutto perchè non vedessimo più. Che noi, per un male inteso senso di correttezza verso non si sa chi,ci adeguiamo a non vedere e non vediamo più sul serio.Questo è il vero dramma: inganniamo noi stessi. Mentiamo a noi stessi. Siamo i mandanti contro noi stessi dei nostri persecutori.

    1. Perché pensiamo -specialmente molti chierici pensano- “Come facciamo a essere INTELLETTUALI ? Solo noi dobbiamo restare in serie B ? …. Beh, cominciamo a leggere “Repubblica” – il resto verrà da sé”

  6. Il Cardinale Biffi è uno dei miei amatissimi rappresentanti di Cristo: ho tutti i suoi
    scritti.
    E mi è venuta in mente una ideuccia..: Perché non mandiamo questa eccellente e
    purtroppo profetica analisi a bergoglio?????
    E’ sempre così aperto e disponibile con tutti e con tutto….!!!!!

  7. Annarosa Berselli

    Siamo davanti ad una vera e propria invasione, ed abbiamo anche l’Isis in casa…..il santo Cristo di Lepanto ci protegga!

  8. Ancora una volta ringrazio Dio per aver mandato nel mondo gente come il grandissimo cardinale Biffi, con le cui parole sono assolutamente d’accordo. Mi dispiace davvero tanto che non sia diventato Papa ma sia sempre fatta la volontà di Dio.

  9. Lo studio denota profondità di pensiero oltre che una grande Fede. E’ una bussola utile alla Chiesa e alla società civile di ogni tempo. Un monito per l’ Europa che l’orientamento sembra averlo perso quasi del tutto, presa com’è solo dalle stime di borsa, dalle false battaglie, dalla negazione delle proprie radici Cristiane. Votata all’autodistruzione. Oggi preghiamo in modo particolare per i fratelli greci. Sia lodato Gesù Cristo.

  10. Le parole del card. Biffi vennero accolte malissimo soprattutto da una parte del mondo cattolico: ricordo reazioni rabbiose , per esempio da parte di “Pax Christi” ( povero Cristo !), e silenzi ancora più rabbiosi ( Azione Cattolica, Scout, Gerarchia in genere). Il tempo, che è galantuomo, si è incaricato di mostrare chi avesse ragione. S.E. Biffi è stato e resta una delle voci più forti, ortodosse e intelligenti dell’ episcopato italiano.
    Chiedo a tutti i lettori di pregare per il card. Biffi, che , dopo altri problemi di salute, ha subito un intervento chirurgico pesantissimo, l’amputazione di una gamba. Ho avuto modo di incontrarlo dopo l’ intervento: irradiava attorno a sé una serenità ed una fede incredibili.

  11. Sono sicuro che il grandissimo Card. Biffi sia già in Paradiso e che da Lassù starà pregando e intercedendo per tutti coloro che si battono per la Fede Cattolica e per il Regno sociale di Cristo!

  12. Ferruccio Metolda

    Condoglianze ai familiari per la morte del cardinal Biffi, le sue preziose parole ed i suoi insegnamenti ci mancheranno tantissimo

  13. E’ morto un santo Pastore della Chiesa Cattolica, difensore della Verità. E’ un dolore per noi che crediamo ancora nei saldi insegnamenti della Dottrina, poichè ora è in atto una vera confusione e disorientamento pazzeschi. Sembra che tutta la pastorale e i pontificati di Papa S.Giovanni Paolo II e di papa Benedetto XVI siano stati abbattuti, sorpassati…da una visione più progressista: non più dottrina ma solo “orto-prassi”.Questa è una deriva ma nasce da una certa “Teologia della Liberazione” tanto combattuta dai due santi pontefici avanti nominati, ma..ora purtroppo sembra che persino la” sospensione a divinis” per Leonardo Boff sia stata superata, dato che viene accolto caldamente in Vaticano. La Madonna alla Salette,piangeva copiosamente …per la crisi dentro la Chiesa Cattolica, ancora piange lacrime e sangue a Maropati ( dagli anni’ 80 in Calabria), a Giampilieri Marina ( dal 1992 a Catania), ha pianto a Civitavecchia ( 1995),parla da 34 anni a Medjugorie..e non Le si vuol…

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Ricognizioni è nato dalla consapevolezza che ci troviamo ormai oltre la linea, e proprio qui dobbiamo continuare a pensare e agire in obbedienza alla Legge di Dio, elaborando, secondo l’insegnamento di Solženicyn, idee per vivere senza menzogna.

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