Il canto gregoriano è ancora un successo, dopo quindici secoli – di Léon Bertoletti

di Léon Bertoletti

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È successo di nuovo. Prima ci sono stati, all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, i monaci spagnoli di Santo Domingo de Silos, capaci di vendere oltre sei milioni di dischi. Qualche anno fa sono arrivate le monache americane Benedettine di Maria Regina degli Apostoli, che hanno scalato l’autorevole classifica di Billboard con i loro album “Advent at Ephesus”, “Angels and Saints at Ephesus”, “Lent at Ephesus”. Nel 2015 è toccato ai benedettini di Norcia con un cd di canti mariani intitolato “Benedicta”. Adesso è il turno di un’ottantina di sacerdoti e seminaristi del Nebraska, appartenenti alla Fraternità sacerdotale San Pietro, che si è cimentata con la registrazione di una Messa di Requiem e ha conquistato, oltre alla hit parade cristiana di Billboard, anche le sezioni di musica classica di Amazon e iTunes. Insomma, se le celebrazioni parrocchiali appaiono sciatte, se i riti modernisti si nutrono di musiche schitarrate con quattro accordi in fila per tre con resto di due, di rulli di tamburi, di testi ambigui e al limite del nonsenso, di voci soliste urlate e cori stonati che spesso inducono a tapparsi le orecchie e a storcere il naso, il canto gregoriano è vivo, suscita interesse, funziona, invita alla preghiera in latino e alla meditazione, piace, si fa ascoltare volentieri, riscuote consensi, vende.

Significherà pure qualcosa. E magari qualcuno dovrebbe farci un pensierino, una riflessione. Quello che è stato cacciato frettolosamente fuori dalla porta delle chiese, delle basiliche, delle cattedrali, a colpi di microfoni e di amplificatori, rientra per così dire dalla finestra, sfruttando una piazza e un mercato laico e lanciando ai liturgisti dell’ultima ora, ai pretuncoli del rock e del pop in salsa religiosa, ai canzonettari liturgici improvvisati un messaggio che più chiaro non si può. Non si tratta ovviamente di un caso se il Gregoriano è lingua musicale capace ancora di parlare, dopo quasi quindici secoli, ai cuori, alle anime, ai gusti contemporanei. Non è del tutto conosciuto come questo genere di canto sacro sia nato. La leggenda posteriore ne ha attribuito la paternità al santo papa Gregorio Magno (590-604), che in realtà fu semplicemente riordinatore e codificatore. Per quanto riguarda almeno le melodie, sembra piuttosto sorto per opera di cantori anonimi della regione del Reno, anche se subendo l’influsso del canto romano. Sotto il regno di Carlo Magno, fra il 700 e l’800, cominciano a circolare manoscritti con i testi da cantare, sui quali vengono a poco a poco annotati i neumi: segni convenzionali che, pur non rappresentando vere e proprie note musicali, permettono agli esecutori di ricordare più facilmente le inflessioni e l’andamento melodico.

Nei duecento anni successivi la notazione andrà perfezionandosi attraverso l’uso di linee (prima due, poi tre, poi quattro) che consentiranno di fissare con chiarezza l’altezza dei suoni da cantare. Nasce, così, la musica scritta: fattore fondamentale per la diffusione dei canti da usare nella Messa e nell’Ufficio divino come arricchimento della già presente salmodia. Secoli di storia, di tradizione orale trasmessa nei monasteri e di note (la loro creazione viene attribuita a Guido d’Arezzo, monaco di Pomposa del secolo XI) li hanno portati fino a noi.

“Requiem” si chiama l’album della Fraternità sacerdotale San Pietro: fondata il 18 luglio 1988 in Svizzera, presso l’abbazia di Hauterive, ha la sua casa generalizia a Friborgo, coltiva la liturgia tradizionale e ha avuto dalla nascita il sostegno del cardinale Ratzinger. L’opera, realizzata da due vincitori di premi Grammy (Christopher Alder e Brad Michel) e prodotta da Kevin e Monica Fitzgibbons della De Montfort Music, contiene venti tracce che sono un dono celeste, trasfigurando il suono del dolore e del ricordo in un insieme di misticismo e di bellezza, ispirando sentimenti di speranza e desiderio di eterno. Si parte con l’antifona “Exsultabunt Domino” dal Salmo 50 e si procede con il responsorio “Subvenite Sancti Dei”, l’introito (“Requiem Aeternam”), il Kyrie, il graduale, la sequenza “Dies Irae”, il Sanctus, l’Agnus Dei, l’antifona alla Comunione (“Lux Aeterna”) e il sempre suggestivo “In Paradisum”.

Tutto canto unisono, naturalmente; a una voce, nella giusta tradizione del Gregoriano. Gli ultimi brani rappresentano invece una gradevole sorpresa, perché passano alla polifonia e ai mottetti proponendo entusiasmanti composizioni di Palestrina e del meno noto Giovanni Battista Martini, uno dei maestri di Mozart. Ecco un disco, insomma, tutto da ascoltare, da assaporare e (l’osservazione non suoni irriverente, considerato il tema) da vivere.

4 commenti su “Il canto gregoriano è ancora un successo, dopo quindici secoli – di Léon Bertoletti”

  1. A me interesserebbe acquistare anche i pezzi dei monaci spagnoli di Santo Domingo de Silos, quelli delle monache americane Benedettine di Maria Regina degli Apostoli ( gli album “Advent at Ephesus”, “Angels and Saints at Ephesus”, “Lent at Ephesus”) e, infine, quello dei benedettini di Norcia intitolato “Benedicta”. Ringrazio di cuore chi può fornirmi le informazioni per l’acquisto.

    1. Tempo fa li trovai tutti in una grande libreria cattolica, che vendeva anche musica e film. Non so se oggi il canto gregoriano sia stato spodestato anche dalle librerie cattoliche; spero di no.

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