Il corpo di Giobbe e le piaghe della Chiesa cattolica

Voci allarmate accreditano alla chiesa scenari rivoluzionari nei prossimi mesi, è del tutto probabile che i fatti confermeranno le previsioni. La cosa non può che rattristare perché tocca la chiesa di Roma, ma riguarda veramente anche la Chiesa cattolica? Quanti sono i cattolici? Probabilmente non molti, perlopiù divisi e impauriti; quelli rimasti sono arrivati, malgrado loro, in una specie di ghetto di Varsavia con l’illusione, ora come allora, che basti un accenno ambiguo di un vescovo, buttato come un avanzo da un ricco tavolo, per non doversi paragonare a Lazzaro ed evitare l’annientamento.

In questo stato di confusione è consolante rileggere il libro di Giobbe. I Padri hanno visto nella figura di Giobbe una prefigurazione di Cristo, riprendiamo un passo celebre del libro (2,7-10): “E partitosi Satana dalla presenza del Signore, percosse Giobbe con un’ulcera orribile dalla pianta del piede sino alla punta del capo. Ed egli sedendo sopra un letamaio, con un coccio si radeva la marcia. Or sua moglie gli disse: ancora resti nella tua semplicità? Benedici Dio e muori. Ed egli le disse: Come una delle donne prive di senno tu hai parlato. Se i beni abbiamo ricevuti dalla mano del Signore perchè non prenderemo anche i mali? Per tutte queste cose non peccò Giobbe colle sue labbra.”

Il corpo di cui qui si parla l’abbiamo oggi sotto gli occhi e sembra essere il corpo della Chiesa cattolica. Come sanno tutti coloro che recitano il Credo noi confessiamo: “credo in unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam”, non diciamo romanam. La chiesa romana, che ha difeso e custodito come in uno scrigno prezioso la fede cattolica fino al trauma del Concilio Vaticano II, è sgretolata soprattutto per opera dell’alto clero. Si ha la sensazione di rivivere gli ultimi anni della decomposizione del mondo sovietico.

Perché spaventarci? Basta ricordare lo splendore cristiano dell’Africa del Nord ai tempi in cui era una provincia dell’impero romano. Di quella Chiesa, la Chiesa di sant’Agostino, non è rimasto nulla, nulla! La Provvidenza si è servita di un visigoto ariano per salvare le opere di Agostino su cui si è costruito il pensiero dell’Occidente cristiano.

La Chiesa cattolica è nelle mani di Cristo; le chiese locali (come si dice oggi) vanno e vengono, anche le più illustri. Dio non ha forse disdegnato il suo popolo tanto amato quando, cieco, non ha riconosciuto Cristo?

Infatti, dopo tutte le prove che la Chiesa ha subito in questi ultimi secoli, ecco l’affondo più terribile, del tutto inatteso, perché partito dal cuore. “Sua moglie gli disse: ancora resti nella tua semplicità? Benedici Dio e muori”. Non è forse questo di cui vogliono convincerci oggi? Lo vediamo attraverso innumerevoli esempi di cui l’attacco ai monasteri femminili è tra i più ignobili, per non parlare poi dell’ideologia dei migranti, ma sono solo due esempi tra tanti.

Si chiedeva Wittgenstein: “Come si può volere il proprio annientamento? Chi, tragicamente, può aver pensato una volta al proprio suicidio sa che il suicidio è qualcosa che ci assale all’improvviso. Niente è però peggio del dover assalire all’improvviso se stessi”. A questo siamo arrivati con il concilio! Questa sembra essere la nuova frontiera che scodellerà nei prossimi mesi la chiesa odierna.

Eppure! Eppure come dimenticare tutto quello che abbiamo ricevuto dalla Chiesa di Roma! A buona ragione valgono le parole di Giobbe alla moglie: “Se i beni abbiamo ricevuti dalla mano del Signore perché non prenderemo anche i mali? “.

L’ulcera orribile che intacca tutto il corpo di Giobbe è simbolo, secondo san Giovanni Crisostomo, di tutti i mali del mondo: il corpo della Chiesa cattolica non è forse in questa situazione? Chi si prende cura di questo corpo straziato, abusato? Non vediamo forse che l’opera del sistema di potere che sta umiliando la chiesa ha nettamente la caratteristica specifica dell’abusante: l’odio di sé! Non ne è una conseguenza il tentativo in atto di ridurre la Chiesa a ricettacolo di tutte le ideologie contrarie alla Creazione, cioè a Dio?

Giobbe cercava di curare la sua piaga devastante seduto su un letamaio e la versione della Bibbia dei LXX precisa che il posto in cui sedeva Giobbe era posto fuori della città, l’immagine richiama immediatamente la lettera agli Ebrei (13, 12-14).

Ed è appunto in un letamaio che è stata relegata la Chiesa cattolica, perché l’altra chiesa, l’ha ridotta in schiavitù, ha altri orizzonti e facce più trendy: “C’è un Paese che accoglie gli sconfitti con gli onori di un vincitore” (Manifesto 2019 per l’8×1000 chiesa cattolica italiana).

Si rimane sgomenti di fronte a una prova simile; quale ne potrebbe essere il senso? I commentari sul libro di Giobbe ci spiegano che Dio fece sedere Giobbe fuori dalla città come gesto simbolico: chi avrebbe visitato quel luogo avrebbe ricevuto un insegnamento. Qualche commentatore antico lo paragona ai quattro giorni di Lazzaro: il fetore serviva a rendere inoppugnabile la fede nella resurrezione.

L’incapacità di fede dell’uomo contemporaneo, però, è ben maggiore di quella degli ebrei del tempo di Gesù e la lobby che ha in mano la chiesa odierna ha molti meno scrupoli dei capi dell’antica sinagoga. La prova dunque non può che essere terribile. Assumiamo, per onestà, la responsabilità di questa situazione. È infatti dei cristiani la responsabilità di aver delegato la fede al clero, di non conoscere i fondamenti della loro fede, di preferire una vita borghese.

(Nel rispondere alla moglie) non peccò Giobbe colle sue labbra. E noi? Il Martirologio Romano custodisce un piccolo gioiello: il ricordo di un santo, festeggiato il 13 aprile, un grande santo adatto per i nostri tempi spaventosi: Sant’Ermenegildo. Dopo essersi convertito dall’arianesimo alla fede cattolica fu messo a morte dal padre, re ariano dei Visigoti di Spagna, perché, da ultimo, si era rifiutato di ricevere l’Eucarestia dalle mani di un vescovo ariano il giorno di Pasqua. Una scelta di questo genere oggi farebbe ridere e sarebbe riprovata, considerando, ad esempio, che vediamo vescovi inginocchiarsi davanti a chiunque, ma che non riescono proprio a farlo davanti a Cristo. Del resto non è scritto che: “nessuno può dire: Signore Gesù, se non per Spirito Santo” (1Cor. 12, 3b)?

Abbiamo accettato di adeguarci all’equazione che la fede consiste nell’obbedienza (se i nostri nonni che cantavano convinti Bianco Padre avessero saputo…). Il risultato è non solo non avere più il coraggio della nostra fede, perché sostanzialmente non la conosciamo, ma il ritrovarsi, come ci meritiamo, una chiesa al cui interno è impossibile esprimere un pensiero, si deve solo obbedire e questo, oggi, in nome della misericordia. nsieme all’inganno, però, c’è anche la beffa perché chi cerca di ragionare con la sua testa e non dà per scontato i fatti è tacciato di clericalismo da chi ha pervicacemente e ferocemente ricercato il potere.

A settembre quando la Tradizione della Chiesa ci inviterà come ogni anno a riprendere in mano il libro di Giobbe non dimentichiamo di ricordare le parole della lettera agli Ebrei (13, 12-14): “Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, subì la passione fuori della porta della città. Usciamo dunque verso di lui fuori dell’accampamento, portando il suo disonore: non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura”.

Troviamo il coraggio dunque di uscire dal campo delle sicurezze noiose, abbandoniamo le inutili cerimonie secolarizzate della chiesa che piace alla gente che piace, andiamo a Cristo, partecipiamo all’ignominia della croce, non ci vergogniamo di essere per amor suo scomunicati e perseguitati dai nostri stessi fratelli, per i quali sono diventati uno scandalo i fondamentali della Creazione e la Passione del Salvatore.

3 commenti su “Il corpo di Giobbe e le piaghe della Chiesa cattolica”

  1. ettore barbieri

    La domanda che resta senza risposta è questa: può la Chiesa cattolica sussistere senza Pietro o contro Pietro? La fine di Pietro, come pietra su cui Cristo costruisce la sua Chiesa, non è anche la fine della Chiesa stessa? O se vogliamo cambiare i termini della questione, la domanda potrebbe essere posta così: i fatti a cui oggi assistiamo non fanno venir meno le promesse di Cristo? E se le promesse vengono meno, in che senso possiamo parlare ancora di Chiesa?

    1. jb Mirabile-caruso

      E. Barbieri: “La fine di Pietro, come pietra su cui Cristo costruisce la sua
      ……………………Chiesa, non è anche la fine della Chiesa stessa?”.

      Mi sembra di capire, signor Barbieri, che la “continuità Apostolica” che Gesù promise non venir mai meno alla Sua Chiesa, sia SÌ perduta nella Chiesa “Romana”, ma NON nella Chiesa “Ortodossa”. Si ipotizza, infatti, che la conversione della Chiesa Russa al Cattolicesimo Romano possa servire a ristabilire la continuità Apostolica in discussione.

    2. Oswald Penguin Cobblepot

      Gentile Ettore, probabilmente Lei sta riflettendo sul celebre pensiero di sant’Ambrogio: “Ubi Petrus, ibi Ecclesia («dove è Pietro, ivi è la Chiesa»), ed effettivamente la fede cattolica vuole che la vera Chiesa è quella che riconosce come proprio capo l’Apostolo Pietro, quale Vescovo di Roma, ed i suoi successori. Gli errori, le apostasie, le bestemmie, le eresie dei successori di san Pietro (i Papi) e degli Apostoli (i vescovi) non devono farci dubitare né dell’infallibilità del Magistero papale né della santità della Chiesa. Innanzitutto, occorre rammentare che l’assistenza del Santo Spirito – dal giorno della Pentecoste – non è venuta meno, né mai verrà. E Questo è stato donato all’intera Chiesa, non al solo Pietro. Le deviazioni dottrinali, liturgiche, pastorali dei singoli pastori sono da rimproverare ai singoli, al loro avere tradito il mandato che gli è stato affidato da Gesù, ma non fanno venire meno la natura di “una, sancta, catholica, et apostolica” che la perfetta società dei credenti ha da quel momento. Finché ci saranno anche un solo pastore ed una sola pecora che salvaguarderanno l’integrità del deposito della fede, ecco che la suprema promessa di Gesù (“Io sarò con voi fino alla fine dei tempi”) è da considerarsi come già pienamente adempiuta. Un saluto da Gotham city, il Pinguino.

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