di Clemente Sparaco
In ambito etico i problemi più dibattuti oggi si riconnettono al problema cruciale della libertà. L’autodeterminazione dell’individuo tende, infatti, ad esercitare, nella latitanza di ogni orizzonte di senso, un’attrazione potente. Pare essere l’unico punto saldo della nostra cultura, l’unico imprescindibile valore dell’agire. “Liberi individui devono poter disporre di sé liberamente” – ha scritto il bioticista laico U. Scarpelli a tal proposito. E ciò implica il rifiuto pregiudiziale di ogni limitazione posta all’individuo in nome di autorità esterne, tradizioni e finanche di dati di natura come, ad esempio, la differenza sessuale.
Se guardiamo alla storia recente, riscontriamo tale principio già nelle manifestazioni del ’68 per la liberalizzazione sessuale, da cui discende quella rivoluzione del costume che ha segnato visibilmente la nostra società. Si ricorderà poi lo slogan delle femministe degli anni ’70: “io sono mia”, che accompagnò la battaglia abortista. L’autodeterminazione della donna e il suo diritto di disporre in piena autonomia del proprio corpo motivarono allora la liberalizzazione dell’aborto. In seguito si rivendicarono il libero accesso alle pratiche di fecondazione artificiale e, al capo opposto dell’esistenza, la libertà di morire, con la richiesta del testamento biologico e di liberalizzazione dell’eutanasia. Contestualmente, si innalzò il vessillo della libertà di ricerca di fronte alle eccezioni morali che si sollevavano riguardo alle cellule staminali prelevate da embrioni umani.
Ciò dimostra, se ce ne fosse bisogno, che tutte queste battaglie, se in un primo tempo si presentano come lotte per l’emancipazione da intolleranze e discriminazioni, si trasformano poi in rivendicazioni di diritti. Ma il punto è che questi diritti spesso contraddicono o ne ledono altri. Si è proclamato, infatti, il diritto della donna ad abortire, ma solo di recente, con la legge 19-2-2004, n. 40, si è riconosciuto che “il concepito è un soggetto che ha diritti da proteggere al pari degli altri soggetti coinvolti”.
Anche la filosofia del genere, in base alla quale le differenze sessuali sono frutto della cultura, sovrastrutture imposte all’individuo, proclama l’autoderminazione dell’individuo. Il sesso è ciò che ognuno adotta in piena autonomia e non si dà una dualità maschio-femmina che anteceda l’individuo. Ne derivano conseguenze sul piano giuridico e politico che vanno nella direzione della parificazione delle unioni gay ai matrimoni eterosessuali, col non indifferente corollario del diritto di adozione. E’ cronaca recente la sentenza della Corte di Cassazione, che affida un bambino ad una coppia omosessuale, in quanto – cito alla lettera- “non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale“. Si badi che questo è affermato per fugare l’insorgente conflitto fra il diritto riconosciuto alla coppia omosessuale e quello del bambino di avere una famiglia che gli assicuri un equilibrato sviluppo.
Né si tratta di un problema solo italiano, perché negli stessi giorni si discuteva in Francia il progetto di legge «il Matrimonio per tutti», che prevederebbe la possibilità di procreazione medicalmente assistita per le coppie omosessuali. A sua volta, quest’ultimo progetto di legge ottempera alla “Risoluzione del Parlamento europeo 13 marzo 2012 sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea” che invita “la Commissione e gli Stati membri a elaborare proposte per il riconoscimento reciproco delle unioni civili e delle famiglie omosessuali a livello europeo tra i paesi in cui già vige una legislazione in materia, al fine di garantire un trattamento equo per quanto concerne il lavoro, la libera circolazione, l’imposizione fiscale e la previdenza sociale, la protezione dei redditi dei nuclei familiari e la tutela dei bambini”.
I problemi sono diversi. Nel caso della procreazione assistita per le coppie omosessuali si rende evidente che esso implica come acquisita la separazione dell’atto generativo dall’atto unitivo, perché ovviamente il seme utilizzato è esterno alla coppia. Ma è giusto fare questo, snaturando la natura relazionale della coppia umana? E ciò non va, comunque, a discapito del concepito?
E’evidente che le diverse questioni s’intrecciano e si complicano, ma è evidente del pari che un filo sottile le tiene unite: la libertà dell’individuo, che appare, in ogni caso, fuori discussione.
Ma se vogliamo delinearne i contorni, dobbiamo rilevare che essa appare slegata dalla verità, cui ormai non si riconosce più una validità universale. L’idea di una verità che sia prima della libertà (la Verità che rende liberi) sembra oggi lesiva delle convinzioni individuali. La verità si riconnetterebbe piuttosto all’elemento vaporoso dell’autenticità delle azioni e delle motivazioni, ossia alle singole coscienze, chiuse nella difesa della loro autonomia etica. L’assolutizzazione del valore della libertà si diffonde, perciò, in misura inversamente proporzionale alla svalorizzazione e alla sfiducia nella verità. Ma, venendo meno il legame della libertà con la verità, ci si preclude la possibilità di indicare una scala di valori indipendente dal giudizio individuale. Di conseguenza, la distinzione fra giudizio morale e arbitrio si fa talmente sottile da divenire quasi impalpabile.
Si evidenzia inoltre la dissociazione della libertà dalla responsabilità. Ridotta, infatti, nei termini di una determinazione meramente soggettiva dell’agire, la libertà ha perso ogni riferimento esterno nonché la direzione verso gli altri, che invece la responsabilità contiene di proprio. La responsabilità è, in effetti, una tipica categoria di relazione (si è responsabili di qualcosa di fronte a qualcuno), che spinge ad uscire da considerazioni e determinazioni individuali chiamando a rispondere di quello che si fa e si pensa. Essa reindirizza l’individuo alla comunità di cui fa parte, reintroducendo nella considerazione della libertà il tema della relazione con gli altri e del rispetto delle cose (il tema ecologico), perché, come scriveva J. Donne, “nessun uomo è un’isola, intero in se stesso”, ma ogni uomo è parte di un mondo di persone e di cose più grande di lui.
Il rischio paradossale che si sta palesando è che questa super-esaltazione della libertà porti alla distruzione stessa della libertà. Se viene interpretata in termini assolutistici, infatti, la libertà diventa forza disgregatrice della convivenza sociale e dell’uomo. In effetti, ciò che pare caratteristico oggi è che, da una parte, si è isolato e assolutizzato il concetto di libertà, e, dall’altra, lo si è ristretto ai diritti dell’individuo. Convivono, quindi, un culto quasi idolatrico della libertà e una sua riduzione alla sfera individuale. Mentre il valore della libertà dell’individuo si è assolutizzato, la libertà, intesa come fattore aggregante e di emancipazione collettiva, ha smesso di rappresentare un’idea capace di guidare i popoli. All’autodeterminazione dei popoli si è, quindi, sostituita l’autodeterminazione del singolo. Ai popoli e alle classi sono state strappate di mano le bandiere e gli slogans in nome dei quali cambiare la storia e il mondo. All’individuo è stata lasciata la sua coscienza, con le sue verità e le sue libertà ormai indiscriminate ed indiscriminabili.
L’unica prospettiva possibile sembra, di conseguenza, quella di un relativismo etico che, per quanto si presenti in modo melenso e affettato, di fatto tende ad imporsi come assoluto. Esso rifiuta categoricamente ogni richiamo ad una responsabilità oggettiva verso le cose e verso gli altri. Una responsabilità richiederebbe, infatti, un confronto con qualcosa di esterno, un dar conto e un dover rispondere ad una realtà diversa da sé. Ma tale libertà rifiuta ogni ingerenza e, quindi, anche ogni confronto e responsabilità.
Siamo, di fatto, arrivati ad un’omologazione di segno opposto, ad un’ideologia di segno negativo, che alimenta un’interpretazione totalmente negativa della vita e dell’uomo.