Posto che il peccato e il castigo presuppongono la legge, la Chiesa, che pure ha avuto il potere di assolvere il peccatore pentito, cioè di giudicarlo meritevole di perdono in virtù del suo pentimento, non ha il potere di rendere lecito ciò che è male e la misericordia non può  andare al di là del soccorso da apprestare a chi soffre per le conseguenze del peccato, cosa del resto che la stessa Chiesa non ha mai mancato di fare da che esiste.

di Patrizia Fermani

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zzppIl coraggio è stato considerato per millenni una risorsa indispensabile per giocare al meglio la partita con l’esistenza. Poi esso si è perfezionato nella virtù cristiana della fortezza che consente di  affrontare senza cedimenti il mistero della vita e della morte, nel sostegno offerto dalla fede. Ma da cinquant’anni a questa parte è nata una  virtù nuova venuta a  sostituire tutte le altre, il buonismo,  che è l’ atteggiamento e quindi la caricatura della bontà, e la versione mascherata della fellonia.  Si presenta nel paradosso dello adeguamento a cosa e a chi dovrebbe essere considerato come male e come nemico, stravolgendo anche i precetti evangelici dietro i quali va a nascondersi. Ha forgiato un nuovo  cattolicesimo,  una nuova lettura delle fonti, una nuova teologia e soprattutto una nuova mentalità destinata  a  diventare anche in campo laico, habitus diffuso e tanto  cogente quanto privo di sostanza razionale e culturale.  Chi lo pratica si sente sollevato da ogni sforzo di intelligenza della realtà e dalla fatica di assumere forti responsabilità  o  decisioni impegnative, mentre chi se ne avvantaggia non ha di che lamentarsi. Né l’uno né l’altro sarà disposto a riconoscere che il male  prodotto è incomparabile in quanto taglia i gangli vitali di intere società rendendole   invertebrate e perciò stesso amorali. E nessuno oserà mettere in discussione la bontà delle intenzioni di chi è buono per professione. Anzi  si fondano movimenti,  prendono corpo  persino filoni “letterari” e “pensiero politico”, tutti felicemente convogliati nella cultura del piagnisteo.

I fatti recenti  hanno fornito un repertorio completo delle  implicazioni, effetti e manifestazioni  anche planetarie di una virtù che da privata è diventata pubblica,  sui quali non è il caso ora di tornare, ma che offrono lo spunto per risalire ad una  matrice  che va trovata proprio in casa cristiana, soprattutto cattolica. Del resto, tante idee degenerate che hanno stravolto la cristianità sono state prodotte da una degenerazione di principi cristiani, cioè dalla loro lettura eretica e non per nulla la via praticata da nemici più o meno dichiarati  per combattere il cristianesimo, è stata  quella di torcergli contro proprio  certi suoi principi manipolati.  Primo fra tutti l’amore senza criteri di riferimento che si fa giustificazione  morale della libertà senza condizioni.  E proprio da questo  la Chiesa ha innescato quel  processo di emancipazione dai propri fondamenti e da alcune virtù predicate per  secoli,  fino ad arrendersi  all’uomo nuovo libero e autodeterminato, intollerante verso la legge di Dio perché comprime il proprio diritto alla felicità e si salva da solo in terra come il famoso barone di Munchhausen.  Quest’uomo,  disarmato di fronte alla sofferenza  che  gli viene dalla natura o dal caso o  dalle malefatte degli uomini  e che sola sfugge al suo controllo, è impegnato   soprattutto ad aggirarla, nasconderla, esorcizzarla,  pur di evitare ogni sforzo per affrontarla  con la forza d’animo, con la ragione e con l’affidamento  al Padre.

Dunque, anche sullo sfondo  della nuova idolatria del successo, la Chiesa ha inteso anzitutto di doversi fare “amica” nel senso della accondiscendenza, e di fornire a tutti  un Vangelo  indulgente per definizione.  Per questo doveva liberare dai comandamenti di una religione troppo esigente e dai lacci ancora stretti della propria Tradizione.  Se nell’orizzonte dell’edonismo moderno, i doveri sono stati scalzati dai diritti in campo civile, bisognava alleggerire anche i fedeli dal peso dei precetti cristiani, a cominciare dalla fatica del digiuno e dell’inginocchiatoio, e poi dalla osservanza di regole più impegnative. Così si è affrettata a buttare a mare principi e liturgia  come inutile zavorra,   senza capire, come diceva Prezzolini, che era quanto la teneva in equilibrio.

La mossa decisiva viene fatta da Giovanni XXIII con la allocuzione inaugurale del Concilio, dove  si annuncia che d’ora in poi, per guarire l’errore sarà distribuita la medicina della misericordia e non la severità. Era la consacrazione ufficiale del buonismo occidentale che divenne da allora la bandiera, innalzata da la Pira, del cattocomunismo e di quel progressismo laicista  divenuto attualmente bergogliano  per grazia ricevuta.  Esso era parente stretto del pacifismo con cui il regime sovietico, a partire dagli anni della guerra e mentre questa era ancora in corso,  è riuscito a disarmare l’occidente conquistandolo ideologicamente  e risparmiandosi così i carrarmati, riservati d’ora in poi agli irriducibili di Budapest e di Praga.

La incongruenza  sottolineata da Amerio, per cui  nel discorso papale all’errore veniva associata la misericordia piuttosto che la correzione, era soltanto apparente, perché le parole non  potevano  e non erano state scelte a caso. Quello che doveva diventare il nuovo unico principio teologico conteneva anche un  programma politico e “l’errore” era la fatidica fava con cui si prendono due piccioni:  esso  da un lato faceva riferimento al comunismo,  ridotto ufficialmente a sviamento temporaneo e redimibile della visione cristiana (dato che Gesù Cristo era già per tanti avanguardisti il primo dei socialisti ), dall’altro stava ad indicare  pudicamente  il peccato, ma  retrocesso ad  innocuo incidente di percorso. Un peccato che, dopo essere stato  processato ed espulso anche in sede di comunità europea, concluderà definitivamente la propria carriera nella Chiesa del nuovo vescovo di Roma dove a sorpresa  pare sia stato invece promosso a  ingrediente insostituibile di una sana vita cristiana.

Insomma, mentre Roncalli rassicurava  i fratelli d’oltrecortina sulla buona disposizione della Chiesa verso gli “errori” del comunismo,   rassicurava anche i  peccatori che non avrebbero più dovuto temere alcun giudizio, perché il peccato, declassato ad errore, in ogni caso era destinato  ad essere  misericordiosamente perdonato. Ecco dunque la nuova funzione della  misericordia come medicina preventiva che agisce sulle  cause e non solo sulle conseguenze.

Ma nell’uso disinvolto delle parole si insinuava  un capovolgimento radicale di  prospettiva.  Lo schema della giustizia divina, sulla quale anche la ragione umana ha cercato di modellare i propri sistemi giuridici, contempla che  Dio ha dato all’uomo la legge per la sua salvezza, quindi gli ha concesso la possibilità di scegliere tra l’obbedienza  e la trasgressione, e attraverso il giudizio, il perdono per chi riconosce la propria colpa e si pente. La misericordia di Dio si manifesta sia nella posizione della legge, sia nella possibilità della redenzione, mentre il perdono riguarda il trasgressore che si giudica pentito e presuppone la violazione del  comandamento. Come per noi il  giudizio è l’attività speculativa con la quale valutiamo un qualunque oggetto secondo un  criterio determinato, nel quadro della giustizia di Dio, il criterio di giudizio dei comportamenti umani è dato dalla Sua legge eterna e immodificabile che disegna appunto le possibilità del peccato, secondo quanto sta anche  scritto a chiare lettere, se ce ne fosse bisogno, negli atti degli Apostoli (I Giovanni, 3,1-12 ).

Posto dunque che il peccato e il castigo presuppongono la legge, la Chiesa, che pure ha avuto il potere di assolvere il peccatore pentito, cioè di giudicarlo meritevole di perdono in virtù del suo pentimento, non ha il potere di rendere lecito ciò che è male e la misericordia non può  andare al di là del soccorso da apprestare a chi soffre per le conseguenze del peccato, cosa del resto che la stessa Chiesa non ha mai mancato di fare da che esiste. Perché un conto è la misericordia divina e un conto quella praticata generosamente dall’uomo, un conto il perdono di Dio concesso attraverso i suoi servi ordinati, e un conto il perdono umano che è svincolato da esigenze di giustizia oggettiva ed è lasciato alla libera iniziativa privata. La misericordia di Dio è un aspetto della Sua giustizia ma anche della  Sua Provvidenza e ad essa  possiamo solo rimetterci con umiltà. La misericordia dell’uomo che muove dalla compassione e nella tradizione cristiana ha  significato  in ogni tempo l’operare concreto a favore del sofferente con lo scopo di mitigarne il dolore. Non per nulla  era chiamato misericordia il pugnale col quale si dava il colpo di grazia al nemico colpito a morte per risparmiargli il protrarsi della sofferenza. Le opere di misericordia sono state come è noto l’aspetto visibile della sensibilità cristiana e una delle manifestazioni più significative della missione evangelica della Chiesa, materializzata nei secoli negli orfanotrofi, nelle confraternite, negli ospedali, nelle Scuole e nell’impegno quotidiano dei singoli sacerdoti.

 Ma nell’orizzonte  di Roncalli, definito dalla teologia politica  di Loris Capovilla, lo schema  appare invertito.  Dal momento che  la misericordia della Chiesa viene presentata  come novità curativa,  sembra non agire più semplicemente sulle  conseguenze del peccato, ma  sui suoi  stessi presupposti, e abolire la legge che lo  prevede perché tutti risultino mondati. Un po’ come quando vengono   modificati i  parametri dello inquinamento marino  per alzare il limite di balneazione. Cosa che, come è noto, rende immediatamente  il mare più pulito.

Inoltre, posto che logicamente una cosa sono i peccati e una cosa i peccatori, se ne deduce che possano essere giudicati i primi senza giudicare i secondi. Come se le azioni umane esistessero in rerum natura staccate dagli uomini che le compiono e la confessione fosse solo un  mezzo per catalogarle a fini statistici: si prevede il premio o il castigo in quanto ci sia un uomo cui venga inflitto o cui venga condonato, ma il perdono non va a toccare il peccato come ipotesi formulata dalla legge. Il perdono del peccato indipendentemente dal peccatore vuol dire semplicemente che si abolisce la legge che prevede il primo garantendo per questa via l’impunità al secondo.  Così la legge  non è più al servizio  dell’uomo ma tutt’al più dell’ufficio demoscopico

Messa dunque da parte la questione di Dio creatore e legislatore, ed  entrata in gioco la misericordia che  cancella il peccato col perdono anticipato, più tardi è invalso l’uso originale di perdonare anche le offese fatte ad altri, e non soltanto come sarebbe logico, quelle subite dal diretto interessato, e di questa curiosa novità sono piene le cronache correnti.

La Chiesa di Roncalli, in attesa che fosse organizzato l’ospedale da campo di Bergoglio, aveva di punto in bianco allestito la farmacia, e questo bastò al progressismo illuminato, vera classe dirigente dell’occidente, per conferire allo speziale l’onorificenza della Bontà Socialista. Forse proprio perché il ritrovato terapeutico era in grado di abbattere i bastioni della Chiesa tout court, e questa volta non in senso solo metaforico.

Quello che però sembrava sfuggire all’ideatore di questa confortante prospettiva assolutoria ,  è l’indisponibilità della materia e la gravità delle conseguenze.  E queste  sfuggono tuttora anche  a quanti hanno adottato oggi quella prospettiva. Infatti essa  viene  riproposta e imposta a chiare lettere da Bergoglio e dal suo team operativo, attraverso l’affrancamento generico dalla legge divina, ovvero  da quella naturale in cui essa pure si esprime, e dalla questione, diventata troppo ingombrante, della differenza tra il bene e il male. Il presupposto è che l’unica salvezza meritevole di attenzione è quella terrena minacciata dal bisogno e ostacolata dal dolore. ll primo problema pare sia stato superato elevando oculatamente la povertà ad unica virtù morale riconosciuta. Per quanto riguarda il dolore, assodato che è tuttora impossibile eliminare quello che viene dalla natura o dal caso, ci si è concentrati sul disagio derivante al singolo dal peccato proprio e altrui, e lo si è risolto ancora una volta abolendo il peccato, fatti salvi i reati di  evasione fiscale e quelli contro la Pubblica amministrazione. Così, soprattutto i peccati una volta legati alla morale famigliare e alle forme con cui per dritto o per rovescio può essere violato il sesto comandamento, debbono essere considerati finalmente come un maligno ostacolo sulla via della conquista della felicità. Questo comporta ovviamente, se qualcuno ne fosse ancora oppresso, anche la liberazione dal senso di colpa. Chi invece non è toccato dal problema morale, perché in lui la cultura ha preso il sopravvento sulla natura, è ora  sollevato anche dalla fatica di combattere la Chiesa in base al  vecchio pregiudizio per cui si riteneva che essa intralciasse la realizzazione di molti sacrosanti  desideri.

Insomma la Chiesa del terzo millennio, dopo il tentativo malriuscito di Benedetto di riportare l’uomo alla fede attraverso la ragione, che era pretendere troppo dai contemporanei e non rispondeva alle esigenze del mercato, libera tutti dai fastidi del denaro e da quelli della morale, ma soprattutto libera dalla fatica e dalla forza della  verità.  Le  conseguenze possibili sull’ordine sociale non la preoccupano, perché  il criterio tra ciò che è bene e ciò che è male lo fornisce con sicurezza solo l’indice di gradimento .

Eppure proprio la Chiesa  dovrebbe chiedersi se tutto questo non  significhi  che così noi tutti veniamo privati anche dell’ arma fondamentale per difenderci  da noi stessi e dagli altri, per difendere noi e i nostri figli dal male dell’uomo che non può essere cancellato indossando  gli occhiali deformanti del buonismo obbligatorio.  Per uscire dalla gabbia delle realtà virtuali occorre la fortezza, anche se è  virtù che male si accorda con la cultura del piagnisteo, buonista e liberata. Sappiamo che per  questa  anche i morti accidentali si chiamano  vittime, il nemico vero è meglio dell’amico,  viene prima dei figli, va solo blandito,  e all’occorrenza, per esorcizzarne le minacce, basta creare un nemico fittizio a tavolino;  il desiderio deve essere comunque  assecondato perché si chiama diritto; di nulla si è responsabili personalmente;  il caso pietoso che ci  commuove, detta  la regola generale capace di nuocere a tutti, e via discorrendo.

 Ma si tratta di una  miserabile commedia dell’assurdo che  ormai a tutti dovrebbe  risultare   imbarazzante come una lettura di Benigni .

4 commenti su “Il grande liberatore  –  di Patrizia Fermani”

  1. Praticamente,nel genere umano che popola la Terra oggi,e piu’ specificatamente nel popolo cattolico,il confessionale e’ stato trasferito dalla chiesa alla coscienza individuale.Mancando il sacerdote e quindi Cristo,il singolo e’ stato portato ad essere sempre piu’ autoindulgente ed a autogiustificarsi nella quasi totalita’ dei casi.La colpa personale non esiste quasi piu’.Volta per volta,i peccati vengono scaricati sulla societa’,i genitori o la loro mancanza,la scuola che non sa educare (non doveva solo istruire ?),le amicizie cattive,il datore di lavoro troppo esigente ed avido,lo Stato che non aiuta o ruba,i governi incapaci,la sfortuna,il ‘destino’ avverso,il dolore e la malattia.Se e quando qualche peccato rimane,allora si fa intervenire’la buona fede’.Di questa si e’ abusato largamente,fuori e forse ancor piu’ dentro la Chiesa.Ci dicono che molte cose sono state fatte’in buona fede’:forse un’analisi storico-teologica piu’ attenta ci aiuterebbe a capire meglio la nostra storia.

  2. Grazie Patrizia. Sapere che ci sono ancora persone capaci di pensare e scrivere queste cose è un conforto immenso in mezzo alla sempre più opprimente desolazione di un buonismo idiota e miope che come un virus letale sta contagiando ovunque in modo sempre più rapido tutti. Pochi recinti indiani di “diversi” nei quali siamo rinchiusi, ormai sono rimasti per noi. Ma uniti nella preghiera e nella fede ragionata, operiamo ogni giorno come possiamo e per quanto possiamo al meglio. Con queste righe mi hai dato una enorme mano, e credo proprio non solo a me. Grazie.

  3. Giustamente è stata osservata l’asimmetria: ad esempio è “il sentir comune” (ma non a Scampia!) che dice che il mafioso (a differenza dell’adultero, dell’omosessuale etc.) è irredimibile, imperdonabile etc. etc….
    Tre cose dunque ci restano, Fede, Speranza e Carità…più altre quattro, censurate quanto necessarie: Prudenza Giustizia, Fortezza, Temperanza.
    Io credo che anche Papa Francesco se ne renderà conto e…tornerà presto all’Ovile! Ha dietro il pungolo di Chi guida la Chiesa!

    L’alternativa, nell’apnea del Vero e del Giusto, è finire così:
    http://lagrandeguerraradioticinopavia.blogspot.it/2015/01/httpwww_14.html

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