Il Mossad ora protegge la Mecca e Medina (non c’è più religione) – di Roberto Dal Bosco

Sarebbe in teoria il caso di dirlo: non c’è più religione. Pare non sia più un segreto per nessuno che il Mossad sia sbarcato in Arabia Saudita.

Parliamo delle due città più sante dell’Islam: la Mecca e Medina. la terza, al Quds, cioè Gerusalemme, è sacra anche per altri, o almeno lo è stata e dovrebbe tornare ad esserlo.

Nessun non-musulmano può mettere piede alla Mecca. L’esploratore Richard Burton, grazie ad un travestimento, fu praticamente il primo europeo a documentare un viaggio alla Mecca e Medina nel 1855.

La terra d’Arabia è terra sacra per i maomettani; essa è l’archetipo del  dār al-Islām, ossia «dimora dell’Islam», e si badi che tutto quello che non è dār al-Islām è Dar al-Ḥarb, «dimora della guerra».

La miscredenza non può calpestare la sabbia dove venne il Profeta di Allah clemente e misericordioso. Fu perché protestava veementemente per la presenza di truppe infedeli durante la prima guerra d’Iraq (1990) che Osama Bin Laden, figlio di uno degli uomini più ricchi del Regno e confidente dell’antico re, venne espulso dall’Arabia Saudita.

Ma, in questi tempi grami, il sacrilegio è dietro l’angolo anche per i seguaci di Maometto.

Accade quindi che Mohammed bin Salman (MBS), il trentenne principe ereditario dell’Arabia Saudita che regge il Paese in il nome del padre malato re Salman, ha permesso agli agenti segreti israeliani di entrare a Mecca e Medina.

«MBS ha stretto stretti rapporti di collaborazione con il servizio di intelligence israeliano, il Mossad, e il Direttorato dell’Intelligence Militare AMAN» scrive il reporter americano Wayne Madsen.

Il motivo è sempre lo stesso: «contrastare diverse minacce percepite, tra cui l’Iran».

Lo scontro tra l’Arabia Saudita e la Repubblica Islamica dell’Iran è di certo il conflitto che più definisce l’attuale Medio Oriente. Il sanguinario caos siriano viene in larga parte anche da lì, e lo stesso dicasi per le stragi che oggidì si susseguono nel silenzio generale intorno alla guerra yemenita.

I Saud, satrapi assoluti esportatori dell’estremismo politico ed ideologico conosciuto come sunnismo wahhabita, temono come nient’altro la possibilità di una Rivoluzione Islamica come quella degli sciiti di Khomeini; al contempo, i Sauditi devono controllare la popolazione sciita (che, in quanto tale, non può che far riferimento agli Ayatollah di Teheran) nella parte orientale del Paese dove peraltro vi sono corposi giacimenti petroliferi: uno dei primi segni che volle dare MBS una volta al potere fu quello di decapitare un chierico sciita, Nimr al-Nimr.

Iran e Arabia Saudita combattono una guerra di proxy (cioè guerre per interposta persona) almeno dal 1979, anno della Rivoluzione Islamica in Persia e allo stesso tempo anno di disordini antisauditi alla Mecca: nell’episodio chiamato il «sequestro della Grande Moschea», costato la morte di centinaia di pellegrini, i Saud persero la faccia come custodi dei sacri luoghi.

L’equilibrio fra le due fazioni è essenziale per l’equilibrio geopolitico del globo tutto. Non è improbabile che ad Helsinki il presidente Putin ed il presidente Trump abbiano parlato anche di questo.

L’anti-iranismo di Trump è notissimo, così come la sua vicinanza programmatica con Israele. È noto anche come Jared Kushner, marito ebreo ortodosso dell’amata figliola di Trump Ivanka, sia in grande intimità come con MBS.

Kushner, agendo come una sorta di plenipotenziario per la politica mediorientale della Casa Bianca è altresì dietro al blocco contro il Qatar (i cui reali inizialmente rifiutarono di investire nel fallimentare affare della famiglia Kushner, l’acquisto del megapalazzo 666 5th Avenue) e al crollo verticale della pace in Palestina: il leader sionista Netanyahu, ringalluzzito al punto da dichiarare ora anche per legge (come se ce ne fosse stato il bisogno) la superiorità degli ebrei sugli altri cittadini israeliani, è amico di famiglia dei Kushner, che lo finanziano molto riccamente.

Più di qualcuno ritiene dunque che Kushner sia piuttosto legato agli interessi di Tel Aviv e dei suoi servizi: quando per un periodo gli tolsero d’ufficio le credenziali per certi segreti della Casa Bianca si poteva udire bene quel sussurro per cui la causa altro non fosse se non la sua troppa, autoevidente vicinanza con Sion.

Kushner preparò il viaggio di Trump in Arabia Saudita, viaggiò che fruttò centinaia di miliardi in commesse militari, vedendo il coetaneo MBS in Arabia e facendo con lui piani sino alle ore piccole. Diviene dunque automatico il pensiero per cui sia Kushner il catalizzatore di questa rivoluzione ebraico-saudita

Ecco quindi che cittadini israeliani possono d’improvviso marciare in quella terra proibita che fu di Muhammad: «nell’interesse di estirpare individui e gruppi che rappresentano sette musulmane non sunnite attive a Mecca e Medina – scrive Madsen – MBS ha fatto un’eccezione per gli attuali ed ex membri del Mossad e altri servizi segreti israeliani. Gli israeliani stanno assistendo la Presidenza Generale dell’Intelligence (PGI), o Al-Mukhabarat al-‘Amma, nell’individuare le minacce percepite al regime saudita».

Khalid bin Ali Al Humaidan, capo del PGI, tiene incontri regolari con il capo del Mossad Yossi Cohen. Non è una prima volta: entrambi i rispettivi predecessori, aanche Khalid bin Bandar Al Saud e Tamir Pardo si sono incontrati frequentemente. Gli stretti contatti tra Arabia Saudita e Israele sono stati avviati otto anni fa dall’ex capo del PGI, il principe Bandar bin Sultan (ex ambasciatore in USA intimo di una delle famiglie colà regnanti, al punto di essere soprannominato «Bandar Bush») e il suo omologo del Mossad, Meir Dagan.

Gli israeliani, che da un punto di vista tecnologico si ritiene abbiano un vantaggio consistente rispetto a molti servizi segreti del resto del mondo, stanno assistendo le loro controparti saudite nello svolgimento di operazioni di controspionaggio alla Mecca e a Medina.

Tali operazioni comprenderanno ovviamente l’intercettazione delle comunicazioni in uscita con l’Iran, le zone dei ribelli dello Yemen, del Libano e dell’Iraq. Gli obiettivi dell’operazione di intelligence saudita-israeliana devono includere i temutissimi Pasdaran (Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche iraniane); l’Hezbollah libanese (nemico dell’ISIS e quindi degli interessi sauditi in Siria), i Fratelli Musulmani (organizzazione anche questa un tempo molto avversata dai Sauditi, che vi vedono una minaccia di sovversione del loro Regno a partire da un Islam popolare»); gli Houthi ora al potere in Yemen (sciiti e dipendenti da Teheran, coriacei al punto di resistere alle armi sauditi ed addirittura bombardare l’aeroporto della capitale Riyad a suon di missili), un gruppo jihadista con sede nel Sinai, Ansar al-Beit Maqdis («I sostenitori di Gerusalemme: una entità terrorista confluita nell’ISIS che sostituì la lotta contro Israele con quella contro Al Sisi e il governo egiziano laico), le Unità di Mobilitazione Popolare (Al-Hashd Al-Sha’abi, note con l’acronimo inglese PMU: un’organizzazione ombrello sponsorizzata dallo stato iracheno composta da circa 40 milizie che sono principalmente gruppi musulmani sciiti). I Pasdaran e le PMU sono pienamente integrati rispettivamente con i Ministeri dell’Interno di Iran e Iraq, ossia con il nocciolo sciita del Golfo..

I sauditi non sono né i primi né gli ultimi ad aprire le porte agli israeliani, sino a ieri ritenuti solo massacratori dei fratelli in Allah palestinesi. Il Bahrain, gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait, tutti governati da famiglie reali wahhabite sunnite, hanno pure loro da tempo avviato la condivisione dell’intelligence con il Mossad.

Lo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario e ministro della difesa di Abu Dhabi (EAU), è un altro reale arabo di immensa importanza strategica e militare per la regione. Lo scorso aprile emerse come questi si vantava di essersi visto recapitare dall’ebreo consigliere del Presidente USA Jared Kushner documenti di intelligence riservati della CIA. Si trattava di una lista di uomini d’affari e notabili sauditi: «questi sono i vostri nemici» disse il genero del Donald. Poco dopo l’incontro, ci fu la celebre e violentissima retata dei potenti sauditi, una inedita, titanica purga con la quale MBS – che del carismatico collega di Abu Dhabi è confidente e discepolo – a prendere in via definitiva le redini del Regno dei Saud e della sua economia.

«ʿOmar ibn al-Khaṭṭāb ha espulso gli ebrei da Medina 1400 anni fa e ora il governo saudita sta permettendo loro di tornare indietro» è il refrain che si sente spesso nella sfera dei social media araba durante ultimi mesi di aperture.

ʿOmar ibn al-Khaṭṭāb fu il secondo califfo islamico che resse la Comunità dei fedeli dal 634 al 644; egli è noto perché espulse giudei e cristiani per poi permetterne l’insediamento a Gerusalemme.

In rete si sprecano altresì i richiami ad una teoria assai diffusa nel mondo arabo, quella per cui i Saud fossero in realtà dei dunmeh, cioè dei cripto-giudei solo in apparenza convertitisi all’Islam.

Erdogan, il neo-sultano di Ankara, è certamente colui che più di altri soffierà sul fuoco dell’incredibile alleanza giudeo-araba ora patente.

Il neo-ottomano Erdogan non può dimenticare che, prima dei Saud – ritenuti dai loro critici nel mondo Islamico come niente più che una fortunata invenzione dei Britannici – a detenere il titolo di Custode delle due sacre moschee della Mecca e di Medina era  Maometto VI, il trentaseiesimo e ultimo sultano dell’Impero ottomano morto a Sanremo nel 1926.

La fine dell’egemonia turca su quella regione del mondo è appunto segnalata dall’assunzione del titolo di Custode da parte del Re Saudita. Una macchia che il neo-sultano, con le sue ambizioni sfrenate, vorrà rimuovere dalla storia.

Erdogan ha dato pubblico supporto al Qatar (ricchissimo, infido microstato sunnita epperò in buoni rapporti con l’Iran, sia pure inconfessabilmente) nella querelle con Riyad ed i suoi alleati, querelle sfociata addirittura in quell’embargo internazionale ai danni di Doha di cui fu fu fòmite lo stesso Kushner.

Tuttavia, nessuno dimentica che, in quell’idra che ha fatto da padre dell’ISIS (Saud, Qatar, USA, Israele), una delle teste più affamate risultava essere quella della Turchia. Ricordiamo come lo stesso Putin accusò Erdogan di smerciare sottobanco il petrolio dell’ISIS, con tanto di foto satellitari. Lo scandalo raggiunse il figlio di Erdogan che ufficialmente era solo uno studente a Bologna presso l’università americana John Hopkins.

La battaglia per l’egemonia – e non solo economica, ma spirituale, metafisica – del centro dell’Islam continua tra i suoi diversi poli di Ankara, Riyad, Teheran.

Ora sappiamo per chi, apertis verbis, Tel Aviv fa il tifo.

Non è un dato di poco conto. Non solo con lo Stato Islamico, ma anche e soprattutto con lo Stato Ebraico (con cui lo Stato Islamico praticamente confinava) dobbiamo fare i conti nel giuoco dell’equilibrio globale.

5 commenti su “Il Mossad ora protegge la Mecca e Medina (non c’è più religione) – di Roberto Dal Bosco”

  1. Roba vecchia. Che l’Islam sunnita contemporaneo (wahabismo) sia figlio ideologico nascostamente sostenuto dall’ebraismo sionista non è cosa di oggi. Chi ha creata Osama bin Laden, chi sta dietro l’ISIS? Chiedere ai Russi, che in Siria si sgolano per dircelo da anni, nell’indifferenza degli “occidentali”.
    E rileggersi la storia dei Dunmeh turchi, di chi veramente sta dietro ai genocidi degli armeni. Oltre che a tutta la partita del comunismo sovietico. Ma questa è un’altra storia, o meglio un altro filone della stessa triste secolare storia.

    1. Ciao
      Interessantissimo punto di vista
      Da ignorante ti chiedo più info se possibile
      Spiegato in modo semplice
      Trump cosa vuole ottenere ?
      Putin cosa vuole ottenere ?
      Grazie

  2. Mi piacerebbe vedere un commento del signor Gino a un articolo veramente ben fatto e documentato. Anche questo è “un evidente riflesso maniacale” della nostra “smania antisemita”, per citare le sue parole?
    Guardi, qui nessuno ce l’ha con gli ebrei come persone umane: anche loro, come tutti, meritano libertà, rispetto, amore, comprensione, e anche loro dovrebbero convertirsi e credere al Vangelo (fino a poco tempo fa c’era una preghiera specifica per questo). Per un imperscrutabile disegno divino, saranno gli ultimi a farlo prima della fine dei tempi; noi cristiani, nell’accettare la Sua volontà, dobbiamo però guardarci dal seguirli nel pensiero e nelle azioni. Pensiero ed azioni che spesso, come mostra l’articolo, implicano la negazione di libertà, rispetto, amore e comprensione per chiunque non sia ebreo.

  3. Quello che sta succedendo in Medio Oriente successe in Europa durante la Guerra dei Trenta Anni ; anche allora all’ interno del Sacro Romano Impero vi fu una guerra civile tra l’ Imperatore Asburgo, cattolico, alleato della Spagna, contro i principi tedeschi aderenti alle confessioni riformate ,luterana e calvinista , alleati alle nazioni protestanti, come Danimarca, Olanda e Svezia .
    La Francia il cui re Luigi XIII di Borbone ( figlio di Enrico IV , calvinista convertitosi al cattolicesimo, al motto “Parigi val bene una messa ” ), era governata dal primo ministro Cardinale Richelieu ,il quale da una parte perseguiva gli ugonotti togliendo loro le piazzeforti a loro concesse dall’editto di Nantes ,proclamato da Re Enrico , contemporaneamente sosteneva con armi , denaro e da ultimo con le forze dell’ armata reale i principi tedeschi in lotta contro l’ Impero e la Spagna.
    Da qui il principio politico del ” Soffocare all’ interno ,sostenere all’ esterno ” messo in pratica dal Cardinale.
    La storia si ripete sempre, nel bene e nel male.

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