Il pittore istriano e il bambino. Ricordando la tragedia degli italiani dell’Istria, di Fiume, della Dalmazia – di Emilio Del Bel Belluz

Legge 30 marzo 2004 n. 92: « La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Nella giornata […] sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero. » 

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Sul “Giorno del ricordo” e sulla tragedia delle foibe e degli italiani istriani, fiumani e dalmati, vedi anche:

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Il pittore istriano e il bambino

di Emilio Del Bel Belluz

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frbsdt“Non bisogna più tradire chi ha conosciuto l’inganno: le anime ferite sanno sorridere anche a chi le calpesta. E chi strappa il fiore non si accorge quasi mai che la radice piange sotto terra”. ( Nino Salvaneschi )  Il 10 febbraio, giorno dedicato al ricordo delle foibe e dell’esodo,  è stato ricordato con meno enfasi di come si è celebrato il giorno della memoria. La televisione, per questa data così importante e triste, non ha trasmesso quei messaggi pronunciati da attori e altre personalità  per  ricordare agli italiani, che oltre settanta anni fa, altri italiani a migliaia vennero infoibati dagli slavi  comunisti. La loro unica colpa era quella di essere italiani veri. La cosa ancora più triste è che, quando arrivarono in Italia, vennero accolti dai comunisti con ogni tipo di vessazione. Perché non ricordiamo anche il trattamento disumano  riservato a questi nostri connazionali?  Potrei dilungarmi a scrivere su questo biblico esodo di trecentomila persone, un esodo che, lo ripeto, non incontrò il cameratismo degli italiani verso dei connazionali che perdettero ogni cosa. Oltre ai lutti – non ebbero i corpi dei loro cari, infoibati in quelle voragini su cui fu buttato del cemento – dovettero patire anche l’indifferenza dei propri fratelli italiani. Sono pochi quelli che riuscirono a raggiungere l’Italia con qualche bene. Per anni e anni sul dramma del popolo infoibato si calò un silenzio scandaloso che continua a durare, eccetto rare eccezioni, come il partito di Giorgio Almirante. Questo silenzio era motivato dalla necessità di non accusare Tito del male che fece. Sui giornali nazionali, eccetto pochi in questi ultimi anni,  il silenzio sulle foibe fu totale.

Ricordo che conobbi alcuni esuli istriani al mio paese natio, quasi per caso. Quando abitavo a Motta di Livenza, in un appartamento vicino al mio viveva una coppia di anziani. Io, che allora avevo solo 10 anni, li ricordo come se fosse oggi. Era una coppia che non aveva avuto figli, lui era un uomo dai capelli canuti, una persona  dagli atteggiamenti signorili. Si chiamava Antonio Sissan, sua moglie, una persona molto dolce, si chiamava  Ada.  I due si volevano un bene immenso, li vedevo dalla  mia finestra quando uscivano e mi salutavano con un cenno della mano. Ogni giorno venivano a trovarci ed immancabilmente ci donavano un dolcetto istriano molto buono. La loro visita quotidiana mi rendeva felice. Quando passeggiavano si tenevano la mano, come due fidanzati al loro primo appuntamento. Antonio si appoggiava al suo bastone. Durante la sua vita era stato un capitano di marina, aveva girato il mondo; durante la Grande Guerra era stato capitano su una nave da guerra. Una volta una persona mi raccontò di un capitano che, dopo essere andato in pensione, si recava ogni giorno ad osservare il fiume. Il suo rapporto quotidiano con l’acqua non poteva in nessun modo mancare. Anche Antonio, il vecchio istriano, si metteva  ad osservare l’acqua limpida della Livenza. Vicino alla sua casa, sul ramo morto della Livenza, vi era una barca ormeggiata e lui spesso si sedeva sopra per ammirare il fiume. Osservava le acque che con una certa difficoltà cercavano di raggiungere il grande fiume. Lo vedevo dalla mia finestra; spesso parlava con il proprietario della barca, specialmente nei caldi pomeriggi d’estate. Antonio, seppur vecchio, non dimostrava la sua età.

zzeslstrnOgni tanto mi capitava di fare per loro delle piccole commissioni. Quando arrivavo mi aspettava nel suo studio. Vestiva di bianco con un pennello in una mano e la tavolozza di colori sull’altra, intento a dipingere un quadro.  Nelle sue opere rappresentava i paesaggi della sua cara Istria, in cui predominava quasi sempre il mare, che andava ad infrangersi sulle rocce. In quei momenti erano i ricordi che gli passavano accanto, specialmente in quei casi in cui dipingeva i luoghi dove aveva vissuto. Quei posti che lui aveva dovuto lasciare senza poter fare nulla. Le case del suo paese, la chiesa dove si recava a messa, il cimitero dove i suoi cari erano stati sepolti. Quando dipingeva, la nostalgia per i luoghi che aveva dovuto abbandonare era così grande, che qualche lacrima rigava il suo volto . Era un valido pittore, anche secondo il giudizio di un mio amico istriano, professore di lettere ed intenditore di pittura, che ci ha abbandonati alcuni anni fa. Il caro Antonio Sissan ci donò alcuni dei suoi quadri che abbiamo molto apprezzato, la semplicità della sua pittura  era nata dai ricordi della sua terra. Da bambino l’unica cosa che sapevo era che questa famiglia dovette fuggire dall’Istria. Solo successivamente, compresi a fondo il loro dramma che è ben rappresentato dalla canzone di Sergio Endrigo che dice :” Vorrei essere come un albero che sa dove nasce e dove muore”. Un albero che conosce la sua sorte, che è stato accarezzato dal sole  e dal vento, che ha con le sue radici amato la sua terra. Ogni essere umano anche se ha dovuto abbandonare la sua terra d’origine non si è mai staccato dalle sue radici, dal luogo che lo ha visto nascere e crescere. Non ho una grande conoscenza  dell’Istria, ma ho avuto occasione di visitare qualche luogo con il mio amico professore. Lo ho accompagnato al paese dove viveva, sono stato con lui al cimitero dove riposavano i suoi cari. Nei suoi occhi vi leggevo una profonda malinconia  quando percorreva le stesse strade che lo avevano visto correre da bambino e rivedeva quel mare che tanto gli era mancato.

E il mio pensiero, in quegli istanti,  si rivolgeva al mio amico pittore e al dramma che anche lui aveva vissuto abbandonando la sua terra natia. In un freddo giorno d’inverno,  il professore mi condusse alla chiesa dei francescani a Capodistria e lì trovammo un vecchio frate che non era fuggito dall’Istria, ma era rimasto come un soldato di guardia alla sua chiesa. Con il vecchio frate vi erano dei confratelli e riconobbe il professore. Si ricordava di quando ragazzino veniva accompagnato dalla madre alla Santa Messa. La stanza del vecchio frate era piccola con una finestra e un letto. In una  mensola vi stavano dei libri ed altri erano sparsi sul tavolo. Questo frate aveva sfidato i soldati di Tito,  era stato pronto a morire per difendere quella chiesa e il Cristo. Prima di andar via il frate volle a tutti i costi che bevessimo della grappa e poi ci abbracciò. Prima di lasciare Capodistria, mentre il mio professore pregava sulla tomba di famiglia, io sostavo davanti alla tomba dello scrittore Quarantotti Gambini, uno dei massimi  romanzieri italiani, purtroppo oggi dimenticato.

11 commenti su “Il pittore istriano e il bambino. Ricordando la tragedia degli italiani dell’Istria, di Fiume, della Dalmazia – di Emilio Del Bel Belluz”

  1. Per troppi anni il regime democristiano mise a tacere le vittime delle foibe per non dispiacere alle sinistre socialcomuniste che di quell’argomento non volevano neppure sentire parlare. Solo il MSI-DN ha sempre denunciato senza timore gli eccidi dei partigiani titini.

  2. Fu barattata l’Istria e la Dalmazia con lo stop della guerra civile che i comunisti volevano far dilagare per annettere l’Italia al blocco dell’Est.
    Tito, che cooperò in questo, ebbe la Yugoslavia ed in Italia, dove il Po si tingeva di rosso, i rossi furono stoppati dagli stessi vertici del PCI.
    Bene, male… l’Italia è uno Stato che probabilmente non ha mai posseduto alcuna sovranità sul suo territorio.
    Quando solo tentò, si fece carico Churchil di schiacciarci con lo stesso english style sfoggiato a Dresda.

    1. Bravo Poldo, analisi storica perfetta. Purtroppo, avemmo la sventurata idea di attaccarci al carro del baffetto tedesco (cosa tutt’altro che scontata fino al 1938). Altrimenti, oggi l’Italia sarebbe potente e felice sovrana di un territorio che andrebbe da Spalato a Nizza, da Campione d’Italia a Tripoli. Ma è andata com’è andata, ed Italia e Vaticano sono ormai colonia militare, economica, culturale (?) e (im)morale degli Stati Uniti. E di conseguenza di Israele.

  3. PS: l’Istria non può essere commemorata con un francobollo con un carretto perchè gli Istriani non erano migranti in cerca di fortuna, ma Italiani traditi e martirizzati con il genocidio ed il supplizio delle foibe, negate fino a ieri.

  4. Una preghiera ed un minuto di silenzio per questi nostri Fratelli Martiri uccisi due volte:
    – una volta dai comunisti di Tito;
    – una seconda volta dai colpevoli silenzi ed omissioni dello “stato” nostrano.

    1. …ed una terza dall’accoglienza al pari di bestie che ricevettero dai fratelli italiani, voltagabbana ed opportunisti, ormai allineati con la vulgata che li voleva “fascisti”.

  5. Vorrei far comprendere a chi continua a chiamare impropriamente “martire” chi invece va correttamente chiamato “vittima” che i martiri sono coloro che versano il sangue e perdono la vita per testimoniare Cristo e la loro fede, mentre chi viene ucciso pur da buon cristiano devoto per ragioni politiche o per altre motivazioni pur ingiustificabili non è un martire ma una
    vittima. Per i martiri che sono santi non serve pregare, non servono suffragi, serve invece pregare per le vittime delle foibe, perché quelli che fossero morti ancora non santi possano finalmente essere accolti in paradiso.

    Non neghiamo a questi nostri fratelli tragicamente trucidati la nostra carità e le nostre preghiere di suffragio, e per amore loro chiamiamoli col loro nome corretto che
    è vittime e non martiri. Evitiamo di usare l’ignobile propaganda moderna che dichiara tutti martiri, pure quelli che vengono ammazzati in Egitto dove sono andati a fare la tesi con
    il contratto del manifesto.

    Preghiamo per le vittime delle…

  6. Gli ” antifascisti ” che accolsero i rifugiati e gli scampati dall’ orrore Titino , si dimenticarono troppo presto che ” prima ” erano con Mussolini ! Poi per convenienza e spesso per paura divennero democristianocomunisti. La giornata della memoria degli infoibati è dimenticata e ancor peggio osteggiata dagli amici dei persecutori comunisti. Belve di ieri e belve di oggi, che hanno paura della verità . Verrà un giorno che la storia vera li condannerà, e li condannerà DIO.

  7. Mercoledì 10 ascoltando la radio, hanno passato un’intervista che mi ha lasciato allibito.
    Questo storico di Siena, in parole povere, sostiene che il limbo che fino ai nostri giorni ha tenuto nascosto ai più i fatti dell’Istria è imputabile in gran parte alla destra, che ne ha fatto un proprio simbolo ……. Mio suocero, insieme alla sua famiglia è stato un profugo dell’Istria, e sua madre, adesso in cielo, mi raccontava quanto fosse stato difficile scappare lasciandosi tutto alle spalle per arrivare in Italia e ricevere letteralmente sputi in faccia …… da chi lo lascio immaginare. Ancora oggi la ringrazio in cuori mio per avermi aperto gli occhi su fatti a me sconosciuti e impensabili.

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