“Il rumore delle perle di legno”, di Antonia Arslan  –  di Giovanni Lugaresi

recensione di Giovanni Lugaresi

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zzantrslnLa Bambina invecchiata ha girato lo sguardo… a ritroso nel tempo: il “suo” tempo, e quello di una grande famiglia fra Armenia (ascendenze paterne) e Italia (madre veneto-romana), ma pure il tempo di una nazione e di un popolo fra guerra e ripresa-rinascita, in un microcosmo compreso fra Dolo-Padova-Susin di Sospirolo (Belluno)-Venezia. E che a un certo punti si allarga alla Grecia.

E’ una storia, quella che Antonia Arslan ci racconta con la colloquialità-amabilità che le è tipica, rappresentativa di una memoria familiare, appunto, che affonda le radici nella tragedia del genocidio degli Armeni perpetrato dai Turchi giusto un secolo fa, e che aveva affidato a due libri di successo internazionale: “La masseria delle allodole”, “La strada di Smirne”.

E adesso, sulla scia di una memoria, di una autobiografia di non ordinaria quotidianità, ecco “Il rumore delle perle di legno” (Rizzoli; pagine 177, Euro 17,00), immagine dell’infanzia da sfollati in campagna abitando in una casa di fronte alla quale c’era il bar, e d’estate “davanti alla porta aperta pendevano lunghi fili di perle di legno che oscillavano al vento, se c’era,  altrimenti facevano un piccolo rumore dondolante quando si toccavano, come un fremito che si propagava lentamente lungo i fili” – le perle di legno, appunto.

La memoria si dipana nello spazio e nel tempo, con richiami alle vicende di familiari a parenti, soprattutto armeni, a incominciare dal mitico nonno Yerwant, che in Italia aveva trovato un approdo in anni antecedenti il genocidio.

Ed è una delle rievocazioni più toccanti per sentimento (senza sentimentalismi!) e capacità evocativa, quella della bambina che resta in casa durante un bombardamento (siamo nel 1944) e si ritrova insieme al vecchio, mentre gli altri familiari hanno guadagnato il rifugio.

“…Allora vidi, seduto sulla panchetta, il nonno. Tranquillo, vestito di tutto punto, aveva perfino gli stivaletti allacciati e si appoggiava appena al suo bastoncino, con aria pensierosa.

Quando mi vide, non fu per nulla sorpreso, mi disse soltanto: ‘Ah, sei tu. Ti hanno dimenticata’.

‘Credo di sì, nonno’ risposi io tutta allegra. Non mi capitava quasi mai di essere sola con lui, la persona più importante della casa, e volevo sfruttare l’occasione…”.

Parlano i due: di guerra, di paura, e ad un certo punto il vegliardo “fece una cosa mai vista, mi prese la mano e la tenne tranquillamente nella sua, e disse: ‘Neanch’io ho paura. Sono troppo vecchio, e forse è il momento che vada a raggiungere tutte le persone che ho amato laggiù nel Paese Perduto. Ti arrabbierai, se ci dovremo andare insieme?’…

“In mezzo a quel frastuono immenso, agli scoppi, ai sibili dei proiettili, ai fiacchi colpi della contraerea, noi stavamo come dentro una grande pace, aspettando…”.

I rimandi, per così chiamarli, alla memoria familiare della Patria Perduta, attraverso nonno Yerwant o alla zia Henriette, e poi, in tempi recenti, nella passione per la Grecia e il suo paesaggio, costituiscono una sorta di filo conduttore, emergenti di quando in quando dalla piena dei ricordi, appunto.

Antonia Arslan ha a volte tocchi quasi di magia, altre di quasi poesia (in prosa), che si alternano a un senso dell’ironia come quando descrive mamma Vittoria, con i suoi estri, le sue bizzarrie, le sue trovate, le sue battute, i nonni materni, i fratelli, nonché il padre Khayel (Michele), si capisce, medico di fama internazionale, la passione per i libri, fra storia e letteratura, e qui il particolare interesse per i perseguitati è più che mai manifesto: le fosse di Katyn, gli sventurati polacchi e, beninteso, gli ebrei.

Visioni e impressioni: la bellissima Madonna di San Gaetano e la vecchia serva che esce per la prima messa (quando ancora c’erano nelle nostre chiese le “prime messe”!), l’ordinatissima zia Henriette e l’isola di San Lazzaro degli Armeni con i padri mechitaristi nella laguna veneziana…

“Fratelli ci furono i greci nella sventura…” – riecheggiano nel finale del libro le voci di nonno Yerwant e di zia Henriette. Già… Una ferita nel e del cuore che Antonia Arslan porta, diremmo, per eredità, pensando alla Patria Perduta degli avi paterni, una dimensione dell’anima, del cuore, della memoria acquisita in età matura e mai più dimenticata.

2 commenti su ““Il rumore delle perle di legno”, di Antonia Arslan  –  di Giovanni Lugaresi”

  1. Di Antonia Arslan ho letto “La masseria delle allodole”, un bel libro, struggente e che ci ricorda un genocidio dimenticato. Del resto lo sappiamo benissimo che ci sono genocidi di serie A (i nostri “fratelli maggiori”), genocidi di serie B e quelli cristiani sono di serie C.

  2. Ho letto tutto della professoressa Arslan ed ho anche fatto un esame con lei, è una persona fantastica seppur con un caratterino molto forte e rigido, ma al contempo di grande dolcezza…ciò che per ovvi motivi non pensavo all’ esame.
    L’ ho riscoperta quando è uscito il primo libro dedicato al popolo Armeno e l’ ho invitata, nella scuola dove insegno, 10 anni fa ed anche in occasione del centenario del genocidio e l’8 agosto andrò, spero, alla presentazione del suo ultimo romanzo, ad Albarella.
    Chi può venga perché sa catturare l’attenzione come nessuno sa fare meglio di lei, la si ascolta senza nessuna fatica

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