Il Sacramento della Penitenza è passato di moda?  –  di Carla D’Agostino Ungaretti

Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia;

nella tua grande bontà cancella il mio peccato …

Contro di te, contro te solo ho peccato …

Aspergimi di issopo e sarò mondo;

lavami e sarò più bianco della neve. (Salmo 51, Miserere).

.

di Carla D’Agostino Ungaretti

 

zzppcnfssnNella confusione secolarizzata che regna sovrana nelle menti e nei cuori di tanti cristiani, il Sacramento della Penitenza è quello che ne ha fatto maggiormente le spese in termini di considerazione e frequentazione dei confessionali da parte del popolo di Dio. Forse anche per questo motivo la nuova formulazione del Catechismo della Chiesa Cattolica varata da S. Giovanni Paolo II nel 1992, ha cambiato nome al IV Sacramento chiamandolo “Riconciliazione”, che più dell’altro evoca l’amore che Dio nutre nei confronti delle sue pecorelle e la misericordia con la quale Egli va in cerca di quelle smarrite. Inoltre, il nuovo nome rende questo Sacramento meno “penitenziale” e mortificante per il peccatore, dato che quello originario evocava troppo le fustigazioni, i cilici, la rigorosa disciplina che, soprattutto nei primi secoli del Cristianesimo, venivano applicati ai battezzati che confessavano di aver  commesso peccati particolarmente gravi come l’idolatria, l’omicidio e l’adulterio.

Capitava, infatti, che costoro spesso dovessero aspettare anni prima di ricevere il perdono della Chiesa e la “riconciliazione”. Oggigiorno tutto questo non accade più perché, se la secolarizzazione in atto ha fatto retrocedere Dio a uno degli ultimi posti nella scala dei valori della vita umana, figurarsi quali posizioni potranno occupare la consapevolezza del peccato, il pentimento e il desiderio di riscatto!

Invece, nella Bibbia e nella storia – anche nei tempi in cui il Sacramento della Penitenza non era stato ancora definito teologicamente e pastoralmente – non mancano i casi di aspri rimproveri rivolti con successo ai peccatori da parte degli uomini di Dio perché si convertissero. Pensiamo, ad esempio, alla  vigorosa strigliata che il profeta Natan riserbò al Re Davide, adultero e omicida (2 Sam 12, 1 – 13); alla durissima penitenza che, nel 387 d. C., S. Ambrogio inflisse all’Imperatore Teodosio, colpevole di aver ordinato l’eccidio di Tessalonica, prima di riammetterlo alla piena comunione ecclesiale. Ma allora il Cristianesimo era appena diventato la religione ufficiale dell’Impero Romano e godeva del supporto dell’autorità civile; oggi, nel clima di secolarizzato laicismo che respiriamo, quale uomo di stato o di governo dei nostri tempi, anche cattolico ma colpevole di violenta repressione del dissenso (ammesso e non concesso che ne sentisse rimorso) si assoggetterebbe a una dura penitenza? O quale Vescovo troverebbe il coraggio di infliggergliela?

C’è anche un altro episodio analogo verificatosi nei tempi moderni, che mi fu riferito da un testimone oculare e riguardante il Santo Padre Pio da Pietrelcina (non riesco a chiamarlo solo S. Pio, devo aggiungere anche Padre, perché penso che la paternità spirituale che quel grandissimo uomo di Dio ha saputo effondere intorno a sé sia stata altrettanto generatrice di vita della paternità biologica, se non di più).

Dunque: negli anni ’50 del secolo scorso si tenne, nella Casa Sollievo dalla Sofferenza di S. Giovanni Rotondo, un importante congresso nazionale di radiologia e medicina nucleare al quale parteciparono medici radiologi provenienti da tutta Italia. Al termine del congresso era previsto che Padre Pio sarebbe sceso in mezzo ai congressisti per benedirli e celebrare una Messa appositamente per loro e per le loro famiglie. Ma appena  salito davanti all’altare il santo frate – che, come tutti sanno, aveva il dono di saper leggere direttamente nei cuori e non concedeva sconti spirituali a nessuno – volse lo sguardo su tutti i fedeli che affollavano la chiesa e puntando senza riguardi il dito contro un noto medico – che sedeva in mezzo a loro e che nel suo ambiente aveva fama di essere un famoso don Giovanni, benché regolarmente sposato e padre di famiglia – così lo apostrofò: “Tu! Come osi presentarti davanti all’altare di Dio sapendo di vivere in una condizione familiare di peccato mortale? Prima torna a casa tua, metti ordine nella tua famiglia e chiedi perdono a Dio e a tua moglie, poi potrai tornare!” Penso che agli allibiti congressisti presenti – che conoscevano bene il retroscena e ne spettegolavano volentieri tra di loro, forse anche con una punta di invidia come succede in tutti gli ambienti – sia sembrato di essere tornati ai tempi di Davide o di S. Ambrogio; comunque seppi più tardi che quel medico, famoso  tombeur de femmes, divenne successivamente uno dei più fedeli e devoti figli spirituali di Padre Pio e condusse da quel momento in poi una vita esemplare.

Questo fu il carisma di un grande uomo di Dio che si lasciava guidare solo da Lui senza alcun rispetto umano e non temeva di sgridare pubblicamente un peccatore notorio! Quanti confessori oggi sarebbero capaci, come il Santo di Pietrelcina, di cacciare dal confessionale il penitente che non appaia pentito e deciso a cambiare vita? Oggi che si parla con insistenza di dare la S. Comunione anche ai divorziati risposati? Oggi che “i preti non fanno più caso alle convivenze prematrimoniali”, come ho sentito dire io stessa da una giovane coppia convivente da anni che aspirava al Matrimonio sacramentale?

Io non ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Padre Pio, ma ho letto molto di quanto è stato scritto su di lui e lo prego spesso perché penso che solo con la sua intercessione si potranno raddrizzare i sentieri pastorali che in questi ultimi decenni hanno subito tante deviazioni da quelli stabiliti da Dio. Quando penso all’episodio che ho appena riferito, mi domando se l’insistere tanto sull’infinita Misericordia di Dio – cosa in sé giustissima, ma senza farla precedere da un’altrettanto forte insistenza sulla necessità del pentimento e della metànoia – non faccia credere ai peccatori che il perdono di Dio sia sempre e comunque assicurato a prezzi ridotti come le offerte speciali dei supermercati. Questo sarebbe buonismo da parte di Dio e non certo giustizia, eppure questa è la convinzione più diffusa nel pensiero dominante. Forse che Padre Pio non era misericordioso? Gli innumerevoli figli spirituali che egli ha avuto e il devoto affetto di cui essi lo hanno sempre circondato smentiscono questo sospetto e se egli in quell’occasione avesse taciuto, quel peccatore si sarebbe accostato indegnamente alla S. Comunione profanandola e avrebbe continuato a osservare il suo spensierato stile di vita senza troppi scrupoli di coscienza (“Peccato di pantalone, pronta assoluzione!” ho sentito dire una volta ed era una convinzione molto diffusa).

Comunque, i lontani ma famosi episodi storici che ho citato ci rivelano, da un lato, che i potenti hanno sempre offeso Dio usando la violenza contro i loro simili (basti pensare ai genocidi che ancora si verificano in questa nostra triste epoca) e, dall’altro, che a tutti è concesso il perdono quando si è pentiti e che oggi la Chiesa – se non ha mai modificato il suo giudizio sul peccato – nondimeno è molto più indulgente di una volta nell’imporre la riparazione al peccatore . In altri termini, oggi sia i grandi peccatori (e, senza volerli giudicare, ne conosciamo molti) sia noi poveri peccatori quotidiani (che mi fanno pensare ai “poveri untorelli” dei Promessi Sposi, ritenuti piccoli delinquenti di mezza tacca, ma altrettanto numerosi) ce la caviamo con molto meno.

All’origine del Sacramento della Riconciliazione c’è il personale riconoscimento di aver peccato e l’espresso mandato di Gesù: “In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in cielo” (Mt  18, 18) . “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20, 23). Il compito degli Apostoli e dei loro successori quindi è chiarissimo: essi devono continuare la missione di Gesù il quale, morendo sulla croce, ha definitivamente vinto il potere del peccato sull’uomo e in tutto il Nuovo Testamento resta precisata  l’insostituibile necessità dell’intervento dei Ministri della comunità perché nella loro parola è resa presente e operante quella verità sull’uomo e la sua condotta che compete al solo giudizio divino, di cui la Croce è la manifestazione.

Però la realtà del peccato la si può comprendere solo alla luce della Rivelazione di Dio e quindi in un’ottica di fede. Conoscendo il disegno di Dio sull’uomo, si capisce che il peccato è una rottura della nostra relazione personale con Dio, come piange il Miserere; è un abuso della libertà che Egli dona alle sue creature; è una mancanza volontaria contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all’amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a ciò che appare come un bene. Il peccato si erge contro Dio in una disobbedienza contraria all’obbedienza di Cristo. Ma se non ci facciamo illuminare dalla Rivelazione, allora riduciamo il peccato (come fa la cultura moderna) a uno sbaglio sociale, un errore, un reato giuridico, una sofferenza psicanalitica, per cui il lettino dello psicanalista  vale più della confessione.

Sentii una volta, nella mia cerchia di amicizie, la storia (in realtà purtroppo abbastanza comune) di una donna perdutamente innamorata di un uomo marito e padre, la quale fece di tutto per convincerlo ad abbandonare la sua famiglia per sposare lei. Alla fine ci riuscì e, dopo il divorzio dell’uomo, i due si sposarono. La signora, però, provava sempre un sottile senso di colpa per aver distrutto con le sue mani una famiglia che, prima della sua intrusione, era serena. Allora si sottopose a un lungo trattamento psicanalitico finalizzato a cancellare quel senso di colpa perché, secondo il suo giudizio e secondo la diagnosi dello specialista, lei aveva perfettamente diritto di realizzare il suo sogno d’amore, a prescindere dalle implicazioni e dalle conseguenze.

Non ho mai saputo se la terapia abbia avuto successo o no, ma penso che quello che tutti avevano definito un “ingiustificato senso di colpa” non era altro che la voce di Dio che bussava al cuore di quella signora, ma essa non Gli ha aperto perché il pensiero dominante aveva talmente riempito la sua vita e la sua anima da non farle riconoscere quella voce e percepire la realtà e l’entità del suo peccato, facendole invece credere di avere comunque il diritto di realizzare il suo desiderio. Se poi il suo comportamento aveva procurato dolore e sofferenza a persone innocenti, ebbene ça c’est la vie!

Allora è evidente che si dovrà rivalutare la confessione nel suo significato sacramentale. Ma come potrà avvenire questo? Perché è necessaria la confessione nella forma prevista dalla tradizione cattolica? Ricordo di aver sentito una volta citare  un’espressione di un grande teologo domenicano (credo che fosse il Padre  L. de Grand – Maison, ma se ricordo male spero che qualcuno gentilmente mi corregga) il quale diceva: “Sono solo i Santi quelli che hanno il senso del peccato. E sono solo i Santi quelli che vivono il bisogno della riconciliazione”. E infatti quel bisogno può essere fondato da molte attese ma, in ultima analisi, l’attesa vera cioè quella che effettivamente la celebrazione della Penitenza vorrebbe purificare, vorrebbe scavare, come si scavano i pozzi per riuscire a trovare la sorgente, è proprio la nostalgia di Dio dal quale ci siamo allontanati con il peccato. Il problema quindi è quello di riuscire a fare il bene perché vogliamo vivere in relazione con Dio, non di liberarci di alcuni mali (cioè di alcuni peccati) ma di guarire il rapporto con Dio. Altrimenti non riusciamo a sentirci veramente in pace perché sappiamo che Lui è vicinissimo a noi, tutto ce lo dice, ma noi non siamo vicini a Lui. Quella signora non sentiva affatto la presenza di Dio nella sua vita, eppure non viveva in pace.

Ecco allora la necessità del Sacramento. Se si trattasse di una specie di auto liberazione – come pensava lei, cioè di un processo in cui i protagonisti siamo noi, per cui dobbiamo garantire la nostra umana efficienza – allora la faccenda sarebbe completamente diversa e sarebbe logico cercare altre strade apparentemente più fruttuose, come quella del trattamento psicanalitico. Ma se percepiamo nel nostro cuore che in discussione è il rapporto con Dio, che noi non riusciamo a vivere, nel quale non riusciamo a perseverare, allora ecco la necessità del Sacramento.

Allora, la confessione dei propri peccati è una professione di fede, è un aderire spontaneamente e liberamente alla proposta di Dio. Se non fosse Dio ad attirarci a sé, noi non potremmo mai agganciarci a Lui con le nostre sole forze ad onta di tutte le nostre lauree, la nostra cultura e i nostri premi Nobel. I greci, prima della Comunione, ripetono trentanove volte: Kyrie eleison, Kyrie eleison! E il confessore ci dice: “Dio, che ha riconciliato il mondo in Gesù Cristo e nel Suo Spirito Santo ci ha concesso la remissione dei peccati, attraverso il ministero della Chiesa ti conceda il perdono , ed io ti assolvo dai tuoi peccati in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ”. Questa formula dell’assoluzione è una eccelsa professione di fede ed effonde sul penitente la Grazia Santificante. Ma ci rendiamo conto di quanto sono sconvolgenti quelle parole? Se il “mondo” se ne rendesse conto, entrerebbe tutti i giorni nel confessionale e i sacerdoti dovrebbero passare la vita chiusi dentro quei mobili da chiesa che invece sono perennemente vuoti e che io ho visto, a una mostra dell’antiquariato, trasformati in eleganti librerie vendute a carissimo prezzo.

Se è vero che confessare i propri peccati è una professione di fede, è facile capire perché nessuno entri più dentro quei mobili. Nessuno sa più che cosa sia veramente la fede, gli stessi parroci sono convinti che la quasi totalità dei fedeli che ogni domenica si accostano alla S. Comunione la ritengono soltanto una parte del rito domenicale e nulla più. Che fare, allora? Forse dovremmo seguire l’esempio dei greci e fare nostra l’invocazione bizantina dal profondo significato cristologico: Gesù, Figlio di Dio, Salvatore, abbi pietà di me peccatore!

13 commenti su “Il Sacramento della Penitenza è passato di moda?  –  di Carla D’Agostino Ungaretti”

  1. Non ci si inginocchia più davanti al Confessore, anzi si è invitati a stare seduti. Ci sono le confessioni itineranti, si passeggia accanto al sacerdote. Ci sono sacerdoti che non spengono il cellulare durante la confessione, interrompono il penitente e rispondono al telefonino. Il confessore non fa le canoniche domande, ma lascia che il fedele confessi i propri peccati di sua volontà. Ci sono sacerdoti che non ti fanno recitare l’atto di dolore, ma ti invitano a formularne uno di fantasia. Ci sono confessori che non ti danno la penitenza. Non si indossa più la stola viola.
    Si è perso qualcosa di Sacro. Il rapporto con Dio. In confessionale non siamo davanti al sacerdote, ma a Dio!
    Emanuele

    1. Federico Fontanini

      Purtroppo fa tutto parte del processo involutivo che la Chiesa ha subito negli ultimi 50 anni, certamente tutte queste mancanze da parte dei sacerdoti allontanano vieppiù i cristiani dal sacramento. Non pochi sono i sacerdoti che non danno più una penitenza, infine quanto è importante chiedere ad una persona se ha fatto questo o quel tal altro peccato, che magari per vergogna taluni possono celare. Il sacerdote dovrebbe fare meno lo psicologo o disperdersi ed aiutare maggiormente i fedeli a fare una buona confessione. Queste come altre cose le diciamo qui tra noi ma quanti sacerdoti ascoltano? Forse chi ne avrebbe bisogno legge questi articoli su R.C.?

    2. Ariel S. Levi di Gualdo

      (PAOLO, USA QUESTO, grazie!)

      Caro Emanuele,

      Mi dedico molto e da sempre a questo prezioso sacramento e ricordo con grande affetto i mesi in cui, tra il 2010 e il 2011, trascorrevo ore e ore dentro il confessionale anche di notte, presso la basilica romana di Santa Anastasia al Palatino, sede dell’adorazione eucaristica perpetua.

      Il sacerdote dovrebbe anzitutto confessarsi lui, se ne ha bisogno e se è necessario, prima di amministrare le confessioni. Quindi dovrebbe pregare prima e dopo avere amministrato questo sacramento. Prima, per chiedere la grazia di essere un fedele strumento della misericordia di Dio, dopo, per affidare ulteriormente alla divina misericordia i penitenti ai quali ha amministrato il sacramento.
      Queste sono alcune delle cose che spesso ripeto ai miei penitenti preti.

      Tutto quello che dici è vero, purtroppo. E evito di rincarare la dose assiungendo cose molto peggiori di quelle fin troppo giuste che tu e gli altri amici hanno commentato nei vari post.

      Le confessioni devono essere amministrate preferibilmente all’interno degli spazi sacri, fatti salvi casi di urgenza, necessità o di grave pericolo di vita; in quest’ultimo caso cambia persino la formula di assoluzione.

      E’ sbagliato che non pochi preti amministrino questo prezioso sacramento nel proprio ufficio, rispondendo semmai al telefono, o passeggiando nel campo da calcio della parrocchia in modo colloquiale, ecc … ma come capisci non è potere mio ma dei vescovi correggere certi errori e abusi, cosa che dovrebbero fare anche in modo severo, i nostri vescovi, anziché preoccuparsi di passare il tempo a scansare i moscerini e ad ingoiarsi un cammello dietro l’altro.

      La celebrazione del sacramento ha una propria struttura:

      1. Il richiamo alla Trinità col segno della croce, che richiama alla memoria il fatto che ogni sacramento, incluso questo, è una azione della Trinità.
      2. Il saluto e l’esortazione iniziale del sacerdote.
      3. l’eventuale lettura di un breve brano della Sacra Scrittura.
      4. la confessione del penitente che va lasciato parlare quanto vuole e finché vuole senza che il confessore lo interrompa dicendo: “va bene … va bene …”. Quasi come dire: taci che mi hai scocciato abbastanza. Perché un prete che non sa ascoltare sarebbe bene non facesse il confessore.
      5. Le risposte e le eventuali esortazioni del confessore.
      6. La penitenza, che non è detto si limiti sempre all’invito a recitare determinate preghiere, perché in alcuni casi va imposta anche una giusta pena espiatoria o riparatoria, per esempio delle forme di digiuno, oppure il risarcimento materiale a chi è stato derubato, frodato, truffato, o la pubblica richiesta di scuse alla persona che è stata oltraggiata, o l’ammissione resa alle persone presso le quali si è accusato qualcuno falsamente, che si è mentito e che la persona da noi colpita è stata ingiustamente resa oggetto di pettegolezzo …
      7. la recita dell’atto di contrizione, l’assoluzione, il congedo.

      Devo invece dirti che il sacerdote non deve proprio fare “le canoniche domande”, se non una sola: “Da quanto tempo non ti sei confessato?”.
      Basta.
      Il confessore non è un pubblico ministero e non deve permettersi, mai, di invadere l’intimità e la coscienza del penitente. Il sacerdote risponde nel merito a ciò che il penitente gli dice, perché è lui che in coscienza si è già giudicato e che chiede perdono per i suoi peccati.
      Ci sono stati – e come confessore troppi ne ho conosciuti – casi di persone che si sono riavvicinate a un confessore dopo venti, trenta … addirittura dopo cinquantotto anni, grazie a un confessore inopportuno che si era permesso di rivolgere loro domande su argomenti e sfere delicate della loro vita che il penitente non aveva né aperto né trattato.

      Il confessore può anche rivolgere una domanda, ma solo se non ha capito ciò che il penitente gli ha detto, perché per rispondere nel merito, per dare conforto e consiglio, è necessario che il confessore capisca; e se non capisce, deve chiedere al penitente di spiegarsi meglio.

      Per amministrare le confessioni a chicchessia, in particolare ai fanciulli, alle fanciulle ed alle donne, si deve prediligere l’uso del confessionale con la grata, se c’è, visto che in passato, non pochi parroci, i confessionali delle loro chiese li hanno venduti agli antiquari, ed oggi li troviamo in alcune case private usati come mobili-bar.
      Il confessionale protegge la riservatezza del penitente e tutela in vario modo il sacerdote, anche perchè non è opportuno guardare in faccia la gente mentre confessano a Dio loro nefandezze talvolta anche gravi, o peggio quando dicono stupidità, visto che motivo e materia della confessione è il peccato e la conseguente remissione dei peccati, non certo chiacchiere senza senso, per esempio: “ … ecco, io non rubo, non ammazzo, non faccio del male a nessuno, conduco una vita da persona buona … dunque non saprei proprio che cosa dire”. In casi di questo genere il confessore, che non può certo dire “io ti assolvo dalla tua grande bontà di vita” né può dire “io ti assolvo da queste due sciocche chiacchiere”, deve rivolgerla sì una domanda: “Se conduci una vita da fare invidia a San Luigi Gonzaga ed a Santa Maria Goretti, perché sei venuto/venuta a confessarti?”.

      Se in qualche chiesa non c’è il confessionale mi siedo in una panca della chiesa, mai in altri luoghi o salotti, specie se confesso signore o signorine, ed a tutti i penitenti porgo l’orecchio stando con lo sguardo basso e rivolto in altra direzione, non certo con gli occhi sopra di loro.

      Per ricevere l’assoluzione – a meno che non si tratti di anziani – li faccio sempre inginocchiare e se sono fuori dal confessionale impongo loro le mani sul capo.

      Si amministrano confessioni indossando la veste talare, la cotta e la stola, o perlomeno la talare e la stola. Se per varie ragioni il prete è vestito in clergyman, per amministrare le confessioni dovrebbe indossare il camice bianco e la stola viola; ma se c’è una qualsiasi urgenza reale, a quel punto si amministra la confessione in qualsiasi luogo e in qualsiasi abbigliamento ci si trovi.

      Infine ti dirò: per un confessore la cosa più difficile e dolorosa è di non poter concedere l’assoluzione a quei penitenti, capitati più o meno “per caso” o forse “per sfida”, che vivono in situazioni anche di grave peccato ma che sono convinti di vivere nel giusto e che anzi sono convinti che, a sbagliare, non sono loro, bensì la Chiesa con le sue regole “assurde” e “fuori dal mondo”. Quindi ti parlano delle loro situazioni oggettivamente gravi, dichiarano di essere tutt’altro che pentiti e, in pratica, pretendono che sia il confessore fare a loro, a nome della Chiesa, atto di pentimento per considerare tutt’oggi peccato ciò che invece è per loro “giusto” e “bene”.
      In quei casi, il confessore, deve essere molto amorevole e molto fermo, tentando di recuperare un’anima e non certo bordando giudizi morali e allontanando certe persone in malo modo, anche perché, nel proprio intimo più profondo, nessuno si avvicina a un confessore “per caso” o “per sfida”, ma forse proprio per sentirsi dire quello che queste persone, nel fondo più fondo, sanno bene: “Stai sbagliando e soprattutto stai peccando, ed adesso ti spiego perchè …” ma il tutto va fatto sempre con grande carità e con grande misericordia.

      Una volta, prima di concedere licenza ai preti di amministrare confessioni, i vescovi li sottoponevano a una vera e propria formazione alla confessione, autorizzandoli prima ad amministrare le confessioni ai bambini, poi ai giovani, infine agli adulti.
      Oggi può capitare invece che un prete ordinato ieri, dopo due giorni, già passeggi in jeans e maglietta nel campo da calcio della parrocchia con una povera anziana appresso che lo segue per confessarsi, mentre tra una “chiacchiera” e l’altra il pretino trend risponde al telefono cellulare.

      Forse è anche per questo che molti confessionali sono stati venduti dai parroci in jeans e scarpe da ginnastica, ed oggi li troviamo in case private usati nei salotti come mobili-bar, mentre gli stessi fedeli devoti capita che ti dicano: Confessarmi? No, grazie, io me la vedo direttamente in coscienza con Dio.
      Risposta quest’ultima data – udite, udite! – da una catechista.
      Amen!

      Prega per i sacerdoti, caro Emanuele.

  2. Un bellissimo articolo, pero’ come spesso mi ricorda mia moglie che non e’ bigotta, ma che crede sinceramente nei dogmi della Chiesa, bisognerebbe avere focalizzato nell’articolo anche quello che succede dopo la confessione con il “proponimento di non offendere piu’ e non commettere gli stessi peccati”.
    Qui credo stia il senso profondo di questo sacramento. Non e’ solo un “lavare le colpe” ma e’ un proporsi, con la “grazia di Dio” di non commettere gli stessi peccati ….. altrimenti diventa una routine.. ed e’ purtroppo quello che la gente oggi percepisce … e quindi non vive e appreza pienamente questo sacramento.

  3. Carla D'Agostino Ungaretti

    Vorrei aggiungere un altro aneddoto (non so se sia giusto chiamarlo così, ma al momento non mi viene in mente un termine migliore) che sentii narrare da un catechista a un corso di catechesi per adulti e che, a mio giudizio, è molto chiarificatore sul Sacramento della Riconciliazione. Un assassino, pentito del suo tremendo peccato, cercava un uomo di Dio col quale confidarsi. Incontrò dapprima un rabbino ebreo il quale gli disse: “Hai trasgredito il V Comandamento! Il tuo peccato ricadrà su di te e sui tuoi discendenti fino all’ennesima generazione!”. Avvilito, l’assassino incontrò poi un pastore protestante il quale si limitò ad osservare: “E vieni a dirlo a me? Sono affari tuoi, te la vedrai tu con Dio”. Sempre più depresso il peccatore incontrò alla fine un prete cattolico il quale gli domandò: “Quante volte hai peccato, figlio mio?” Secondo me, il confessore cattolico è quello che ha meglio interpretato il Miserere: “Aspergimi di issopo e sarò mondo”. .

  4. Normanno Malaguti

    C’é anche di peggio, ma per carità di chiesa e del sacerdozio é meglio pregare e tacere, se non nelle debite sedi.

  5. Se pensiamo che un vescovo, pochi giorni fa, ha chiesto pubblicamente scusa a tutti i conviventi che si sono sentiti offesi da quel sacerdote che ha osato ammonire coloro che vivono in peccato fuori del sacramento del matrimonio (che dovrebbe essere l’ABC della nostra fede)!! oppure quel cardinale, credo sia proprio Kasper che qualche settimana fa ha detto che la castità tra divorziati risposati che vogliano accedere al matrimonio è un atto troppo eroico, che è solo per i santi e non per il “cristiano medio”!!!! preghiamo per tutti i pastori che non riescono più a guidarci perchè si sono smarriti e cerchiamo sacerdoti santi a cui poterci rivolgere in questi tempi buii di apostasia

  6. Il punto dirimente col passato è, a mio parere, che cosa si intende oggi per peccato. Mi sembra che la rilevanza sociale di un reato (esempio classico ed abusato il non pagare le tasse) sopravanzi di gran lunga la dimensione interiore del peccato come offesa fatta a Dio trasgredendo la sua legge. Con i confessori non si parla di colpe ma di problematiche. Soprattutto nella sfera intima prevale il rispetto della privacy e non mi risulta che ai fidanzati venga mai obbiettato che il fidanzamento attualmente implica essere amanti(se non conviventi). La fedeltà è tuttora apprezzata, invero, ma si ritiene fedele una persona che ha una sola relazione per volta, attraversando così nella vita più fasi di fedeltà successive. Questa è la visione laica, che prevale anche nei film e nei reality più buonisti, che sono il vero modello educativo delle masse.

    1. Più che altro secondo me è totalmente crollata la morale sessuale, quella che è più innaturale rispetto ai sentimenti ed ai desideri di tutti i giorni: non per nulla nessuno ha mai messo in discussione il “Non uccidere ” “Non dire falsa testimonianza”, “Non rubare”, “Onora il Padre e la Madre”. Nessuno vuole essere ucciso, riempito di bugie, derubato, maltrattato. Sono cose ovvie. In compenso però tutti vogliono stare con al persona che amano quando e come vogliono…

  7. La questione del peccato è una questione antropologica, nel senso che la percezione del peccato che si è commesso e che non ci lascia tranquilli in coscienza fa sì che ciascun penitente cerchi sinceramente e con tutto se stesso di migliorare il proprio comportamento. Da quest’impegno quotidiano, serio e costantemente consapevole, col tempo,( o immediatamente, secondo la Grazia di Dio) scaturisce un modello di persona, di famiglia e di società che si va di volta in volta affinando su quel “sentire” i valori cristiani e metterli in pratica. Ecco perchè dico che la questione del peccato è una questione antropologica: il bravo cristiano è anche un bravo cives. Non corrotto cioè marcio dentro, aperto alla verità, aperto alla vita, rispettoso delle cose degli altri, come dell’essenza più profonda delle persone. Ma questo non nasce dal nulla o da un atto di volontarismo eroico, questo nasce dal rapporto con Dio e da un’umiltà e mitezza di cuore che ci viene data in dono,se ci apriamo alla Sua Grazia !

  8. Per fortuna esiste Medjugorje con le lunghe file di peccatori in attesa di potersi confessare. Uno spettacolo commovente a gloria della Misericordia infinita della SS: Trinità!

  9. C’è di più. Diversi confessori non fanno recitare l’atto di dolore alla fine della confessione. Mio nipote di 12 anni, doveva cresimarsi, chiese di confessarsi. La capa ” catechista” disse di aspettare, non c’era fretta. . Tanto aspettò mio nipote, ma non si confessò. Fece la Cresima senza confessione, alla quale, i responsabili della catechesi , non davano importanza. Questo il sabato precedente la Pentecoste. Il nipote si confessò il giorno di Pentecoste da un sacerdote con la talare e fedele alla dottrina cattolica , prima di assistere alla S, Messa.

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