Il Senato di Romolo e il Senato di Renzi – di Lino Di Stefano

di Lino Di Stefano

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zsntrmnNon si capisce perché una persona come Renzi – con una breve esperienza politica di presidente della Provincia di Firenze e di sindaco della medesima città, esperienza, quest’ultima, non conclusa perché assurto, egli, senza legittimazione popolare, alla carica di presidente del Consiglio dei Ministri – abbia potuto,  arrogarsi il diritto, ‘motu proprio’, di  proporre l’abolizione il Senato col pretesto della riduzione dei costi.

Laddove sarebbe sufficiente dimezzare o anche di più – e il discorso vale anche per l’altro ramo del Parlamento e per i numerosi Enti italiani – il numero dei senatori e dei funzionari che vi gravitano, spesso in maniera passiva; e non si comprende, altresì, perché si dovrebbe sacrificare proprio questo Consiglio e non la Camera dei deputati essendo, esso, un’illustre istituzione che affonda le radici nella più antica storia di Roma.

Tale istituzione, infatti, fu creata da Romolo, primo re di Roma, per temperare il potere monarchico sicché possiamo stabilirne la nascita coincidente, più o meno, con la fondazione della città e vale a dire il 753, secondo il calcolo dell’”eruditissimus Romanorum”, Terenzio Varrone. Romolo fissò a 100 il numero dei componenti del Senato, come ci informa il grande storico latino Tito Livio; membri che passarono, nel corso del tempo, a 300 per poi diventare 900 con Giulio Cesare e 600 con Augusto.

Il numero dei senatori rimase sempre un po’ oscillante – durante la millenaria storia di tale forma assembleare – e, all’inizio, occorreva aver compiuto 60 ani per potervi far parte; per diventare senatori, inoltre, bisognava essere ex magistrati i quali presero in nome di ‘Patres’ e, dopo, di ‘Patres conscripti’ con l’apertura del Congresso, diciamo, così, anche ai plebei.  Essi indossavano il laticlavio e, dal sec. II d.C., calzavano il ‘calceus’ e portavano al dito un anello d’oro.

Questi, in breve, i caratteri di un istituto – racchiuso nel celebre motto, ‘Senatus Populusque Romanus’ – che si mantenne tale fino, più o meno, al VI secolo, visti i noti avvenimenti e i non meno conosciuti  sconvolgimenti successivi alle varie invasioni che scompaginarono i confini e le strutture dell’Impero Romano.

La gloriosa adunanza senatoriale riprese i suoi fastigi, prima, nel Regno di Sardegna come ‘Senato subalpino’ (1848-1860), in seguito, a Torino (1860-1865), a Firenze, (1865-1871), a Roma (1871-1947) e, infine, sempre a Roma (1948 fino ad oggi).

Quasi 1500 anni complessivi di storia di quella che, una volta, era la ‘Curia Iulia’ e che qualcuno, anche se Primo ministro, vorrebbe, ‘ex abrupto’, eliminare, o ridimensionare, in nome di un sedicente risparmio quando, invece, basterebbe, come abbiamo accennato, ridurre della metà, e anche di più, il numero dei senatori e dei funzionari di entrambe le Camere per ottenere i risultati voluti.

Il Senato conserva, inoltre, tale appellativo e altrettanto prestigio in altre nazioni non solo dell’Europa –  come, ad esempio, la Francia e la Spagna, etc. – ma anche degli Stati Uniti dove spesso esso ha maggior peso politico della Camera dei rappresentanti; anche in Germania la Camera alta corrisponde al Senato tradizionale anche se, ‘mutato nomine’ – Bundesrat – e con specifici competenze federali.

Occorre precisare, inoltre, che anche durante il periodo oscuro della Roma dominata da Teofilatto ( IX-X sec.) i suoi esponenti di tale famiglia si facevano chiamare ‘Senatores’ o ‘Duces’ ed anche  Marozia, figlia di Teofilatto e di Teodora, assunse il nome di ‘Senatrix’, a conferma che il titolo – ad onta della pessima reputazione della stirpe – era considerato alcunché di prestigioso, visto, scrive un biografo della donna,  che “Marozia non è infatti memorabile per l’estrema disinvoltura dei suoi costumi, ma per le idee grandiose che coltivò e soltanto parzialmente riuscì a realizzare” (G. Di Capua).

Ora, il termine ‘parlamento’ –  ripreso da altre nazioni, come, ad esempio, l’Inghilterra ed altri Paesi – nacque durante la nostra civiltà comunale per designare l’assemblea dove si emanavano le leggi e si prendevano le relative decisioni; insomma, niente a che vedere con il Senato le cui prerogative deliberative e consultive conferivano allo stesso un’autorità ignota alle rimanenti forme di istituzioni rappresentative preposte agli uffici politico-legislativi.

Com’è facile osservare, l’attuale Presidente del Consiglio e i suoi seguaci non nutrono nessun rispetto per un’istituzione nata a Roma e modello assembleare – superiore pure all’omologo organismo dell’antica Grecia – di tantissime nazioni le quali si pregiano di un nome che fa onore ad esse e alle rimanenti istituzioni che ancora oggi adottano questa intestazione per il proprio Parlamento.

Non bisogna, parimenti, dimenticare che due Camere sono necessarie sia per un maggiore controllo dell’ ’iter’ parlamentare, sia per l’approvazione delle leggi sia, infine, per una sorveglianza reciproca dei propri comportamenti e delle proprie competenze.

E ciò, dopo aver ribadito, ancora una volta, che il dimezzamento – o una più drastica riduzione – dei componenti e dei funzionari preposti nonché l’adozione di un regolamento interno più spedito possono, sicuramente, rendere il potere legislativo più agile, efficace e produttivo ivi compresa la consequenziale assegnazione ad una sola Camera – nella fattispecie quella dei deputati – il compito di votare la fiducia al governo.

L’azzeramento, o ristrutturazione, del Senato – sempreché dovesse concretizzarsi – costituirebbe il primo caso al mondo in cui i componenti di un’ Assemblea voterebbero contro sé stessi; un precedente che non farebbe, certo, onore all’Italia sicché, parafrasandolo, invitiamo i membri della Camera alta a riflettere sul detto latino: “Caveant senatores ne quid Senatus detrimenti capiat”.

1 commento su “Il Senato di Romolo e il Senato di Renzi – di Lino Di Stefano”

  1. Patrizia Stella

    Pur non essendo esperta di politica, condivido lo scritto di Lino di Stefano con tutta l’esauriente spiegazione storica che fa del Senato come illustrissima Istituzione. Complimenti e grazie. Anche per me non andrebbe abolito, ma certamente ridotto e in particolare ridotte le remunerazioni, anzi a livello di un rimborso spese, di un gettone presenza e basta, perché queste spese inutili incidono molto sul bilancio negativo dello Stato, non solo, ma sono indice di ingiustizia grave soprattutto in periodi di difficoltà economica come quello che stiamo vivendo. E poi perché tutta la vita? L’incarico dovrebbe durare un certo periodo come per tutti gli altri politici e poi… via… si cambia…. ci si rinnova….
    Non è concepibile infatti che i nostri politici di qualunque gruppo e partito e categoria debbano essere straricchi a vita, sproporzionatamente pagati per incarichi che svolgono spesso saltuariamente perché devono conciliare molte volte la loro attività professionale con quella politica col rischio di svolgere male e l’una e l’altra.
    Non stupisce che un pivellino di mestiere politico come Renzi si senta il reuccio d’Italia! Da chi è protetto e spinto costui? Ma attenzione! Perché i famosi poteri forti fanno e disfano molto in fretta i loro adepti… e accadrà che sempre i poteri forti di Bruxelles che hanno come obiettivo l’annientamento dell’Italia, non permetteranno che un governo duri molto, proprio perché l’instabilità politica ed economica è determinante per raggiungere questo loro perverso e luciferino obiettivo.
    Molti gruppi stanno pregando per l’Italia, perché Gesù salvi “Chiesa e Italia” come il popolo cristiano pregava una volta con forte convinzione. Forse bisognerà far tesoro delle preghiere del passato per farci coraggio nel presente. Grazie.

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