La commedia italiana in bianco e nero – di Piero Nicola

Il genere della commedia non è ben definito. In compagnia di composizioni leggere, scherzose e che possono farsi beffe del realismo, ve ne stanno altre di un realismo morale, il cui lieto fine è saggiamente sostanzioso. Sulle nostre commedie cinematografiche postbelliche è calato, se non un complessivo discredito, il ripetuto timbro di bozzettistica, di popolaresca, di facile. La definizione di commedia all’italiana reca un significato ambiguo. Vi si trova il compiacimento per una italianità piuttosto furba e anche becera, quantunque venga rappresentata da abili registi, da accurate sceneggiature, da degne recitazioni.

di Piero Nicola

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zz2nicCerto, è peggiore la fin troppo ricordata dicitura periodo dei telefoni bianchi, ma è troppo ingiusto  comprendere nella commedia all’italiana film come La famiglia Passaguai (1951, Aldo Fabrizi, Ave Ninchi) e come Bellissima di Luchino Visconti (1951, Anna Magnani, Walter Chiari) o come Il marito (1957, Alberto Sordi, Aurora Bautista). Inoltre, vi furono contemporanei lavori pregevoli quali La presidentessa di Pietro Germi (1952, Sivana Pampanini, Carlo Dapporto, Ave Ninchi, Aroldo Tieri) o il delizioso Guendalina di Alberto Lattuada (1957, Jacqueline Sassard, Raf Vallone, Sylva Koscina) che esulano da detta classificazione per ambienti e personaggi. Altri Tempi (1952) di Alessandro Blasetti, rievoca finemente i costumi tra medio Ottocento e Belle Epoque, inframmezzando episodi eroici e tragici al filone degli usi onesti e garbati oppure gentili, ma sulla china della borghese licenziosità.

  Le commedie anteguerra furono molto meno inclini a lusingare gli appetiti inconfessabili della massa. Si vuole sostenere che esse compiacevano i gusti delle sognatrici povere, abbagliate dai lussi e dall’eleganza. D’altronde, le lettrici di riviste e romanzi per meschinelle ci furono all’epoca del neorealismo e oltre. Tutt’oggi, i rotocalchi dei pettegolezzi sul bel mondo sono divorati nondimeno per gli stessi motivi. Un tempo, invece, volgarità, buffonerie, scollacciature, sudice bricconate non si videro sullo schermo, fosse per un rigore di censura o fosse per una questione di gusto e di educazione. La  pochade cinematografica non faceva rimpiangere la sua scomparsa.

  Gli uomini che mascalzoni (1932), Il signor Max (1937), Grandi magazzini (1939), pellicole di Camerini con Vittorio De Sica, sono ottimi lavori puliti e divertenti. I registi Mattoli, Matarazzo, Giogio Bianchi, Mastrocinque, Bonnard, Cottafavi, C. L. Bragaglia, Poggioli, Nunzio Malasomma, Dino Falconi, Piero Ballerini, Carlo Campogalliani, Carmine Gallone, Guido Brignone, Blasetti, lasciarono un segno rimasto indelebile in quel campo.

  Indimenticabili per originalità e per brio sono La telefonista (1932, Isa Pola, Luigi Cimara), Treno popolare (1933), L’uomo che sorride (1936, De Sica, Assia Noris), Non ti conosco più (1936, De Sica, Elsa Merlini), Gli uomini non sono ingrati (1937, Isa Pola, Gino cervi), La contessa di Parma  (1937, Elisa Cegani, Antonio Centa), Follie del secolo (1939, Paola Barbara, A. Falconi, Sergio Tofano), Le sorprese del divorzio (1939, Armando Falconi, Sergio Tofano), Dopo divorzieremo (1940, A. Nazzari, Lilia Silvi), Giorno di nozze (1942, A. Falconi, Antonio Gandusio), La bisbetica domata (1942, A. Nazzari, L. Silvi), La vispa Teresa (L. Silvi, Roberto Villa).

  Ed erano giunte le commedie dovute a De Sica regista e attore: Rose Scarlatte 1940, Maddalena zero in condotta 1941, Teresa Venerdì, 1941.

  Eccellenti gli esordi di Aldo Fabrizi in Avanti c’è posto (1942) e Campo de’ fiori (1943, Anna Magnani).

  Vicende delicatamente sentimentali, alcune con risvolti drammatici, sono narrate in L’avventuriera del piano di sopra (1941, De Sica, Clara Calamai), in Catene invisibili (1942, A. Valli, C. Ninchi, A. Cecchi), ne I nostri sogni (1943, De Sica, Maria Mercader), ne La vita è bella (1943, Alberto Rabagliati, M. Mercader, A. Magnani), ne Le sorelle Materassi (1943, Emma e Irma Gramatica, Massimo Serato, Clara Calamai).

  maddalena zero in condottaUn meritevole posto a sé merita Sempre più difficile (1943, Nerio Bernardi, Oretta Fiume, Adriano Rimoldi), che è una acuta satira del vecchio regime parlamentare e sociale.

  Né vanno scordate le pellicole musicali; in primis, quelle di Beniamino Gigli; interessanti non solo per il canto, ma generalmente dignitose. Da rivedere Solo per te (1938, con Maria Cebotari attrice e cantante lirica), Casa Lontana di J. Meyer (1939, Kirsten Heiberg), Mamma (1941, Emma Gramatica, Carola Höhn), Vertigine (1941, E. Gramatica, Ruth Elberg), Silenzio si gira (1943, Mariella Lotti, Rossano Brazzi).

  Il celebre tenore lavorò ancora per l’industria della celluloide fino al 1950: Taxi di notte (Danielle Godet, Philippe Lemaire).

  Suo emulo, in quel genere, fu il bravo Ferruccio Tagliavini: Al diavolo la celebrità di Steno e Monicelli (1949, Marilyn Buferd, Leonardo Cortese, Carlo Campanini), Vento di primavera di Del Torre e Rabenalt (1959, Sabine Bethmann, Lauretta Masiero). Nel 1941, ‘42 e ‘43 egli aveva già recitato sotto la direzione di Mattoli Voglio vivere così, La donna è mobile, Ho tanta voglia di cantare.

  Appartengono al mondo della commedia i soggetti comici. Le prime prove di Totò furono inferiori a quelle di Erminio Macario, dei suoi esilaranti Imputato alzatevi! (1939) e L’innocente Casimiro (1945). La forte personalità del comico napoletano trovò la strada maestra del successo con gli stessi registi che avevano già onorato la nostra arte di rappresentare copioni. Arte, le cui maggiori possibilità di verosimiglianza rispetto ai mezzi teatrali, avevano reso il regista, soggetto che realizza l’opera, più importante di colui o di coloro che l’hanno scritta.

  Attore buffo, efficace nelle parti commoventi come sanno esserlo i comici di razza, fu Angelo Musco, siciliano. Meritatamente applaudito su palcoscenico e sullo schermo (Fiat voluta Dei 1935, L’aria del Continente 1936, Pensaci Giacomino! 1937).

  Altra macchietta – del teatro dialettale genovese – eccezionale per espressività mimica e per talento di mattatore, fu Gilberto Govi. Al suo primo film, Colpi di timone (1942) di Gennaro Righelli, seguirono Che tempi! (1948), con A. Sordi e W. Chiari, e Il diavolo in convento (1951).

  Prima di affermarsi da protagonista, Alberto Sordi creò per sé i personaggi ridicoli di Mario Pio e del Compagnuccio della Parrocchietta. Vittorio Gassman piegò con successo le sue capacità interpretative impersonando soggetti storditi e strampalati.

  Dominatore del genere comico, al pari di Totò, fu poi Aldo Fabrizi. Ma non possono definirsi minori Peppino De Filippo, Walter Chiari, Carlo Campanini e Rascel. Tutti loro contribuirono a comporre, insieme a Nino Taranto, Tino Scotti, Carlo Dapporto, Billi e Riva, Tognazzi e Vianello, Alberto Talegalli, Guglielmo Inglese una gamma di tipi regionali. Essi inaugurarono, a partire dalla fine degli anni Quaranta, una fortunata e irripetibile stagione di comicità, non priva di momenti felici.

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di Piero Nicola vedi anche: Il cinema drammatico italiano in bianco e nero

2 commenti su “La commedia italiana in bianco e nero – di Piero Nicola”

  1. Complimenti all’autore; un’ottima infarinatura di un genere e un periodo di cinema italiano che adoro e che ha fatto storia e che non ha avuto nulla a che invidiare all’omologo del cinema americano e del resto dell’Europa in genere. Poco più che nulla è, in confronto, l’attuale cinema italiano in “voga” negli ultimi due/tre decenni; è – ahinoi – pur vero, che i personaggi attuali del nuovo cinema, riflessi della nuova società, son lontani anni luce da quelli di una società nettamente migliore come quella degli anni ’30, ’40 e ’50. Il cinema di quegli anni rimane solo un piacevolissimo ricordo nostalgico di tempi in cui le famiglie erano famiglie, le donne erano veramente donne e non strani cloni degli uomini e la semplicità nei rapporti umani regnava imperante!

    1. Carla D'Agostino Ungaretti

      Sono d’accordo con lei, Sig. Luigi. Aggiungo solo che gli attori cinematografici che oggi vanno per la maggiore non sanno recitare e, per di più, hanno voci orribili e confuse, segno che non ne hanno studiato l’impostazione e non hanno alle spalle serie scuole di recitazione. Anche senza risalire agli attori di cui parla l’articolo, ricorda lei i grandi interpreti di 40 o 50 anni fa? i grandi Gassman, Tognazzi, Sordi sono solo i primi che mi vengono in mente, ma sono innumerevoli gli attori di quei tempi le cui voci erano immediatamente riconoscibili. E se qualcuno non aveva voce adatta, si ricorreva al doppiaggio, cosa che oggi sembra offensiva per loro. Mah!

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