La deriva del Black Lives Matter? Un bel falò del mondo intero

A Seattle, stato americano di Washington, città cruciale perché sede di Microsoft, la creatura di Bill Gates, aspirante imperatore del pianeta, si sta svolgendo un esperimento, un esercizio rivoluzionario da osservare con attenzione. Un zona della città è stata “conquistata” dai manifestanti antirazzisti. La chiamano CHOP (Capitol Hill Organized Protest). La zona è il simbolo concreto delle proteste organizzate contro il vigente ordine sociale dal movimento BLM (Black Lives Matter), diffusosi negli Stati Uniti e altrove con sospetta rapidità e ampiezza. Sono antirazzisti, antifascisti, anticolonialisti, anti patriarcali, eccetera, eccetera. L’autodefinizione in senso strettamente negativo di CHOP rende particolarmente interessante codesto tentativo di costruzione capovolta, lo sforzo di realizzare più negazioni e nessuna affermazione. Edificano un paradiso di libertà negativa, “pacifico come un inferno “, nella descrizione di una manifestante entusiasta.

Da tempo viviamo in una notte oscura in cui tutti i gatti sono grigi, in cui ogni tentativo di gettare luce sulle tenebre è considerato un atto di aggressione. È come se gli occhi dei dormienti accecati ricevessero un filo acuminato di luce che ferisce una sensibilità spaventata. Un dolore acuto irrita personalità deboli accucciate nell’ombra, che attaccano con furia tutto ciò che getta la minima scia di luce. È l’inveramento sorprendente, in pieno XXI secolo, della caverna di Platone. Il vecchio saggio sapeva del rischio della sordida grotta in cui campano folle dominate da ombre spettrali, proiettate, come in uno schermo, nel più profondo dell’antro. L’immagine platonica parla di ombre, ma adesso si tratta solo di sogni, eco deformate delle immagini rinchiuse nella scura estensione della coscienza. Indotte, senz’altro, dalla voce dei media, dagli analisti, dagli accademici. Infine, dal Potere. Ma i sogni, sogni restano, nel fondo in cui si proiettano le apparenze e i nuovi pregiudizi. Proprio lì abitano i fantasmi degli incatenati, legati da un fanatico solipsismo. L’assemblea del CHOP ha decretato la propria emancipazione dagli Usa nel cuore stesso di Seattle: dichiarano reali i sogni, oltre il Sessantotto, quando si proclamò il potere della fantasia, che appartiene a uomini svegli.

Girano per le strade strani egolatri esaltati che confondono se stessi con il mondo e chiamano verità le loro paturnie. Egolatria: apoteosi di se stessi, questo nascondono malamente gli infatuati signori dell’anti potere neo-rivoluzionario. Credono di guardare il mondo mentre contemplano i loro pregiudizi e le loro superstizioni. Il sogno di una ragione senza discussione, l’illusione di un’uguaglianza astratta, la fantasia di identità provvisorie e capricciose a dimensione dei desideri, la vanità di miti elaborati da una modernità insuperbita, la divinizzazione della volontà, dei contenuti della coscienza che si pretende sovrana. Gente senza controparte: assoluti e innati, ingredienti di un pentolone bollente in cui convivono orti urbani per vegani e il sorriso al cristallo del rapper Raz Simone, i proclami pacifici con le armi in mano, l’immersione fluida nel genere umano con battaglie interminabili per rappresentare tutte le minoranze identificabili nel carnevale della trasgressione.

Ma dove nulla è, nulla può essere rappresentato. Migliaia di ego che non riescono ad accettare limiti e frontiere, cui rifiutano legittimità in nome del diritto indiscutibile alla soddisfazione (immediata!) del desiderio. La loro frustrazione, il loro risentimento è l’effetto del contrasto tra la volontà impotente, per quanto proclami di essere infinita, e l’ordine del mondo la cui resistenza è prova dell’esistenza dell’inevitabile realtà. Come è possibile che non possa essere ciò di cui ho voglia, ogni volta che mi salta il ticchio? Nei fatti, la loro coscienza si limita a assorbire come un’enorme spugna i pregiudizi e le mode del presente, senza riconoscerli come tali nella loro breve apoteosi. L’attualità diventa tutta la realtà, dimenticando che sotto il cielo- specie in tempi fluidi e frammentari- ogni presente sta già diventando passato.

Come altri prima di loro, daranno per abolite le immagini del passato e getteranno al suolo tutte le statue. Gli artigiani senz’arte del mondo nuovo stanno ripetendo gesti vecchi e vecchie cose, poiché non sono capaci di inventarne di nuove. Dejà vu: è questo, forse, il dramma vero a cui assistiamo.

Torna in mente il lontano 1497, in cui il monaco Gerolamo Savonarola si era impadronito delle coscienze di moltissimi fiorentini, specialmente ricchi e potenti. Nominò re della città Gesù Cristo e ordinò di ammucchiare alla rinfusa nella piazza della Signoria ogni genere di oggetti e articoli di lusso, inclusi libri, abiti, specchi e strumenti musicali. Tra i suoi seguaci, detti Piagnoni, c’era anche Sandro Bottticelli, il grande pittore della Venere e della Primavera, che dette alle fiamme diversi capolavori. Savonarola ordinò di bruciare tutto, atto noto come falò delle vanità. Cinque secoli dopo, Il falò delle vanità fu il titolo dato da Tom Wolfe al suo libro più famoso, la vita di Sherman Mc Coy, agente d’affari a Wall Street.

Vedendo come statue di Colombo, di generali sudisti e persino di Winston Churchill vengono abbattute o imbrattate in incendi savonaroliani, viene da riflettere sulle conseguenze di certi atti. Se cadono statue politicamente scorrette, forse sarebbe il caso, per coerenza e per spingere il vento rivoluzionario sino alle origini del male, di estendere il movimento a tutti i simboli della civiltà da abbattere. Proponiamo un vasto falò delle scorrettezze politiche che popolano la nostra quotidianità e colonizzano l’immaginario. D’altronde, per il solo fatto di trovarsi nello spazio pubblico, i monumenti e le statue hanno il fine di costituire un modello di comportamento. Piazza pulita, dunque, a cominciare dal mappamondo.

Gli Stati Uniti – caput mundi – dovrebbero cambiare nome e capitale, esattamente come lo Stato di Washington in cui avanza l’esperimento di Capitol Hill. George Washington fu proprietario di schiavi. Anche la Colombia dovrà rinunciare alla denominazione. Azzardiamo il nome precedente: Nuova Granada, che, per quanto coloniale e politicamente scorretto alla luce del falò della civiltà, lo è meno del nome nefando del marinaio genovese, sedicente scopritore del Nuovo Mondo. Per altrettanta coerenza, basta con il nome America (ecco perché deve cambiare l’acronimo USA!), risalente a Amerigo Vespucci, navigatore e geografo fiorentino, la cui opera facilitò l’arrivo dei pessimi europei sull’idilliaco e niente affatto sanguinario continente precolombiano. Ovviamente, ogni memoria del criminale genovese dovrà essere abolita, compresa la Columbia University, uno dei brodi di coltura dei Savonarola contemporanei. Dimenticavamo: anche l’università di Yale verrà ribattezzata (siamo incerti se possa utilizzarsi tale verbo, che richiama le radici cristiane…). Il suo primo finanziatore, Elihu Yale, si arricchì con il traffico di schiavi.

Per giustizia, cambierà nome anche la Russia, il cui nome evoca l’antica Rus’, così chiamata nel ricordo di un’altra invasione, quella dei bellicosi vichinghi discesi dai freddi mari nordici, “gli uomini che remano”, Rus nell’idioma slavo dell’epoca. Non si salveranno la Francia e la Germania, i cui nomi rammentano le tribù barbare dei Franchi e dei Germani Alemanni, orde violente così scorrette che vollero soggiogare i pacifici cittadini dell’Impero Romano, interrompendo la “pax romana”. Parigi ricorda Paride, vile assassino di Achille, un tipaccio che si divertiva a rapire le mogli altrui provocando la guerra di Troia. Lutezia, antico nome del tempo di Asterix, va già meglio.

Roma stessa dovrà essere sottoposta a identico trattamento: nel falò anche il nome della Città Eterna. La fondò Romolo, un fratricida indegno. Identica sorte per la Romania, che dovrà tornare al nome primigenio di Dacia. In questo caso, giustizia doppia, poiché non si può onorare il nome degli invasori, discendenti dell’assassino di Remo. Tra uno “sbattezzo” e l’altro, qualcuno provveda ad abbattere la colonna traiana che commemora in pieno centro dell’ex Roma quella violenta invasione. Identica sorte tocchi al Colosseo, macabro teatro di lotte mortali tra schiavi e belve. Chissà come si potrà chiamare l’Europa, un nome diffuso nel medioevo dal Venerabile Beda, britannico, dunque complice delle invasioni dei suoi discendenti. Europa era la figlia del re fenicio Agenore, rapita, violentata e deportata a Creta da Zeus in persona, il re degli Dei. Certo, il continente non si potrà chiamare Cristianità, un altro dei suoi appellativi antichi, tanto politicamente e religiosamente scorretto.

L’Iran tornerà al nome di Persia, poiché non si può tollerare il riferimento alla terra degli Arii, o Ariani. Non creda la Cina di salvarsi: la moneta nazionale, lo yuan, coincide con il nome della selvaggia dinastia di conquistatori mongoli che misero a ferro e fuoco l’impero nel secolo XIV. La Spagna toglierà dal suo scudo la granata, segno della Riconquista dai mitissimi re arabi, il cui seguito fu la sottomissione delle Americhe. San Giorgio non sarà più patrono di nessuna città e simbolo di Genova. Fu un maltrattatore di animali che assassinò un drago inerme. Poiché occorre considerare le dimensioni metastoriche dei miti e tenere presente la proiezione transplanetaria della civiltà nascente, non chiameremo più Marte il pianeta rosso nostro vicino: è il nome del Dio della guerra. Coerentemente, martedì non si chiamerà più così, come giovedì, che ricorda Giove, un Dio violento, collerico, fondatore dell’eteropatriarcato, adultero compulsivo, che arrivò a uccidere suo padre. L’abolizione del giovedì precederà quella del sabato, dedicato a Saturno (saturday) un dio selvaggio che divorava i figli, evirò e uccise il padre.

Tolto di mezzo il mese di marzo, non si potrà che espungere dal calendario luglio e agosto, il cui richiamo a dittatori schiavisti e guerrafondai come Giulio Cesare e Ottaviano Augusto è intollerabile. Si potrebbe rimediare con l’esemplare coerenza palingenetica dei giacobini, che mutarono i nomi dei mesi: termidoro, brumaio, ventoso. L’unico dubbio riguarda la ghigliottina: i rivoluzionari francesi erano anch’essi- ahimè- efferati assassini, sia pure a fin di bene, per edificare un mondo nuovo. Lasciamo la decisione alla saggezza di Capitol Hill, Seattle. Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno abolendo senz’altro il calendario, che porta il nome di un papa, Gregorio. Per di più, divide il tempo in maniera arbitraria, con un inizio divisivo, niente affatto integratore, la nascita di Cristo. Bisognerà convincere i mussulmani, che, beati loro, non hanno sensi di colpa, per i quali il tempo storico parte dall’Egira, l’esodo dalla Mecca a Medina di Maometto e dei suoi seguaci.

L’umile consiglio ai rifondatori del mondo di Seattle e dintorni è di ripartire da zero. La nuova datazione, la linea di partenza sia l’ex 2020, anno glorioso del virus, delle maschere, del distanziamento sociale e della presa di coscienza etnica. Il rito di ogni capodanno, prima dei festeggiamenti, consisterà nella genuflessione rituale di massa inaugurata da Black Lives Matter, la cui pioniera italiana è Laura Boldrini, cui potrebbe essere intitolata la capitale d’Italia. Ci correggiamo: è ancora più inclusivo un calendario che faccia risalire l’umanità unica e fraterna all’antenata australopiteca Lucy, i cui resti, rinvenuti secondo l’antica datazione nel 1974, furono chiamati così in onore di una canzone dei Beatles. Saranno immediatamente abrogati gli inutili inni nazionali, sostituti, per armonia e universalità, con Imagine di John Lennon, che dei Beatles fu componente.

Resta un dubbio tecnologico: si potrà continuare a parlare di robot, giacché in lingua ceca significa lavoro pesante e, per estensione, schiavo? Bisogna pensarci, del resto anche gli oggetti avranno i loro diritti, nel Brave New World, il valoroso mondo nuovo. Anche la parola schiavo dovrà essere sostituita, per esecrarla meglio. Evoca gli slavi- schiavoni per i veneziani che modificheranno immediatamente la toponomastica dell’omonima Riva – prediletti dai trafficanti medievali, rapiti e venduti nel Nordafrica.

John Stuart Mill, padre del pensiero liberale, avvertì nel lontano 1859, nel saggio Sulla libertà, che quando pensiamo di vivere in una nazione con libertà economica, di stampa, politica e giudiziaria, dobbiamo vigilare per non diventare ostaggi del conformismo dei pensieri, rappresentato oggi dalla correttezza politica. I falò delle vanità non sono nuovi: consola che il Savonarola, lunatico e anche omofobo, finì malamente. Condannato a morte, fu arso vivo nello stesso luogo in cui organizzava i suoi roghi. Singolare contrappasso che segnaliamo a Capitol Hill, a Black Lives Matter e a ogni giacobino, poiché – parola di Pietro Nenni – essere puri non basta: si trova sempre qualcuno “più puro che ti epura”.

Ne abbiamo individuato uno, il famoso allenatore di calcio Pep Guardiola. Giudicare attraverso il colore della pelle è diventato di moda e l’obbligo è condannare l’uomo bianco per il fatto di essere tale. Razzismo di nuovo conio che, in perfetta inversione terminologica, chiamano antirazzismo. Guardiola rappresenta perfettamente il nuovo tipo umano. Ricco di famiglia, strapagato, influente, separatista catalano scatenato (ma non è un suprematismo da condannare?) petulante progressista, ha proclamato affranto che i bianchi devono chiedere perdono ai neri. Non i magnati ai poveri, non gli sfruttatori agli sfruttati, né i maltrattatori alle vittime: i bianchi ai neri, per via della schiavitù. Un’altra balla, poiché la schiavitù, purtroppo, è stata esercitata nella storia da chiunque abbia potuto farlo, senza riguardo al colore della pelle.

Il ragionamento, semplificato fino all’osso, è il seguente: erano bianchi gli armatori delle navi che rapivano e tiranneggiavano innocenti nativi, quindi ogni appartenete al ceppo etnico caucasico è colpevole. Per quanto a Guardiola dispiaccia essere spagnolo, è bene ricordargli che nei secoli della dominazione araba della penisola iberica, un gran numero di europei furono tratti schiavi in Africa, tra loro lo stesso Cervantes, tanto che vennero fondati ordini religiosi il cui scopo era raccogliere fondi per affrancare gli schiavi cristiani (bianchi).

Non importa: sei nato con scarsa melanina, devi chiedere perdono, ogni eccezione rimossa. Sei un aggressore passivo, “strutturale” di ogni uomo la cui pelle è più scura della tua. Esempio: Barack Obama, potente ex presidente americano, prospero avvocato e indubbiamente ricco, è vittima storica di Gennaro Gargiulo di Torre Annunziata, manovale disoccupato, figlio e nipote di povera gente. Secca assai che a diffondere certe sciocchezze senza arrossire siano milionari che sembrano aver comprato da Gucci, insieme con borse e accessori, anche la superiorità morale “firmata” e un’arroganza che oltrepassa gli estratti conti dei loro depositi bancari anche mentre intonano ipocriti mea culpa.

Nel recente passato, i ricconi moralisti erano più femministi di Emma Bonino, poi si sono brevemente interessati del salvataggio del pianeta dai gas ad effetto serra, applaudendo Greta Thunberg, ma il vento cangiante dell’impegno soffia ora in un’altra direzione e si dedicano a smascherare il privilegio razziale, senza mai rinunciare al loro, di privilegio. Così, abbiamo visto visi pallidi inginocchiati davanti a gente color cioccolata e persino una ridicola scena in cui stupidi uomini bianchi lustravano gli stivali di soddisfatti cittadini di colore. Il messaggio di Guardiola, milionario separatista a Barcellona ma progressista nel resto del mondo, non ci è tuttavia del tutto chiaro. Ci spieghi se l’atto di inginocchiarsi debba essere svolto ogni volta che si incrocia un africano o se è sufficiente un atto di contrizione con cerimonia privata.

Dia istruzioni, le attende con ansia la cameriera del bar sotto casa, bianca per nascita, ancora più pallida per non aver ricevuto gli spiccioli della cassa integrazione. Al tempo di Savonarola, almeno, i ricchi fiorentini diventati “piagnoni” bruciavano nei falò della vanità qualcosa di proprio. Nell’epoca del virtuale, dei falò del politicamente scorretto, si sono fatti furbi: una genuflessione, un applauso a Greta, un omaggio ai neri, e via, verso il party successivo.

2 commenti su “La deriva del Black Lives Matter? Un bel falò del mondo intero”

  1. I nemici di Trump si sbagliano di nuovo. Non hanno capito che la maggioranza è meno stupida di prima e ha voltato loro le spalle. Come gli Obama e le false accuse fecero perdere i democratici, così le proteste e i magnati li faranno perdere a novembre.

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