La doppia imbecillità del nuovo puritano

Quanto sia imbecille lo spirito di quest’epoca, e quanto lo siano coloro che lo adottano, lo si diagnostica facilmente auscultando il petto di questi nostri tempi moderni: senza troppa fatica si sentirà battere la fibrillante contraddizione tra la proclamazione di tutte le libertà e la contemporanea costruzione di tutte le prigioni. Mai come oggi ci si trova davanti a imbecilli che illustrano, per esempio, la normalità dell’uccisione di un bambino nella pancia di sua madre e, allo stesso tempo, proclamano peccato mortale la caccia all’orso che attacca le greggi. La colorazione di tale imbecillità percorre tutto l’arcobaleno in tutte le possibili sfumature e arriva sino all’estremo originario di una chiesa che dogmatizza l’estinzione del peccato e delle fiamme dell’inferno e, insieme, getta l’anatema su chi non adora il dio Ambiente e non piange sui roghi dell’Amazzonia. Insomma, non vi è epoca più imbecille di quella che si illude di essere libera da ogni vincolo perché, in realtà, non ve n’è una più prigioniera dell’infezione puritana e della cultura del piagnisteo che ne deriva.

Sembrerebbe una contraddizione, e invece bisogna constatare che per la seminagione del morbo puritano non viene impiegata l’ossessione per il peccato, ma il suo esatto contrario, l’ossessione di esserne esentati. Così, alla fine, l’imbecille società puritana risulta un agglomerato di peccatori governati da “peccatesenti”: fenomeno che ha del grottesco quanto un esercito comandato da militesenti. Non di rado, quando si semina l’errore si raccoglie il suo contrario: che non è la verità, ma soltanto un errore di segno opposto.

Ecco perché oggi l’uomo ha perso il senso del peccato, ma solo del proprio: i peccati degli altri si vedono sempre benissimo. Il succo della psicologia puritana, che ormai si è impadronita anche delle genti di tradizione cristiana, sta tutta in questo umanissimo paradosso, nel dimenticarsi che purtroppo il peccato, come leone ruggente, è accovacciato alla porta di ciascuno di noi, nessuno escluso.

A dispetto di tale constatazione, gli uomini, più si sentono moderni e più sono convinti che peccare sia solo il contravvenire a un sistema di regole arbitrarie scritte da qualcuno che, in fondo non ne ha autorità. Chi pecca, dunque, si libera da una camicia di forza cucitagli addosso contro natura. Se le cose stanno così, è chiaro che il peccato non fa più paura a nessuno, e anzi, non esiste. Salvo, ovviamente, il peccato degli altri, l’ingiustizia che mi ferisce, la parola che mi offende, l’azione che mi tradisce.

Eppure, basterebbe essere stati un minimo diligenti al biennio del liceo, quando ancora si studiavano i Promessi Sposi. Impossibile, allora, che anche il prof più agnostico saltasse il capitolo XXI dei Promessi Sposi, quello della conversione dell’Innominato. Il quale, a un certo punto, “si trovò ingolfato nell’esame di tutta la sua vita (…) di sangue in sangue, di scelleratezza in scelleratezza: ognuna ricompariva all’animo consapevole e nuovo, separata dai sentimenti che l’avevan fatta volere e commettere”. E improvvisamente scopre, con orrore, che quelle scelleratezze “eran tutte sue, eran lui”.

Il peccato non è dunque la violazione di una norma scritta dall’arbitrio di qualche moralista, ma è un male che l’uomo compie contro Dio e contro la propria natura. Il male corrode la stessa natura di chi lo compie, al punto che l’abitudine a conviverci ne intacca l’essere. L’Innominato era diventato le canagliate compiute per una vita. Se uno ruba, diviene ladro, se uno uccide diviene assassino.

Ma la nostra essenza non può mai identificarsi totalmente con ciò che fa: ed è questa la ragione per cui l’Innominato può trasformarsi nel più famoso convertito della letteratura italiana. Peccato, pentimento e perdono riassumono il ciclo morale della tradizione cristiana. Per quanto grave sia la colpa commessa, nessuna anima è esclusa dalla possibilità del perdono, a patto che voglia riconoscere il male fatto.

Questa struttura logica e morale porta con sé alcuni presupposti necessari. Innanzitutto, il riconoscimento della oggettività del male, l’esistenza di azioni che sono intrinsecamente malvagie perché contrarie alla legge di Dio e alla natura dell’uomo, ancorché rese desiderabili dalla concupiscenza. Poi, il riconoscimento di averle compiute e il dispiacere profondo per quanto fatto, affiancato dalla sincera volontà di non ricadere nell’errore. L’ammissione della impossibilità di togliersi da soli questa colpa, affidandosi al mistero del sacramento, che è anche occasione per un giudizio oggettivo “altro” rispetto al proprio personale punto di vista. Infine, l’accettazione di una penitenza e l’impegno a rimediare quando ciò è possibile.

Naturalmente, lo schema peccato-pentimento-perdono è uno dei bersagli preferiti del pensiero moderno e della chiesa che ci va a letto assieme. L’uno e l’altra si beano dei sarcasmi beffardi sulla disinvoltura morale del cristiano che poi, tanto, si confessa. Ma laddove sono state battute strade diverse si è giunti solo al puritanesimo, che è disperazione di perfetti destinati all’inevitabile imperfezione.

Fuori dal realismo cristiano, sorgono due opposti errori. Da una parte il moralismo dei relativisti che negano qualunque verità morale e procedono all’eliminazione integrale del nemico. Dall’altra, il relativismo degli antimoralisti, che cantano l’apologia del peccato. Entrambi affetti dalla stessa quota della stessa imbecillità, che diviene sublime quando riesce a tenere insieme i due estremi. Giusto per fare un esempio, quando si negano le fiamme dell’inferno e, allo stesso tempo, si dogmatizzano quelle dell’Amazzonia.

13 commenti su “La doppia imbecillità del nuovo puritano”

  1. Mi pare che questo articolo renda il giusto quadro per apprezzare quello del dottor Pecchioli sulla follia di si occupa delle salvezza delle galline.
    Complimenti a entrambi

  2. Una fotografia tremenda ma realistica come quelle scattate di solito da Alessandro Gnocchi. So che lui è un grande esperto e allievo di Guareschi però in questa capacità di mostrare il rovescio del quadro vedo l’insegnamento di Chesterton.

  3. Il problema è che come si spiega nell’articolo e si vede nell’immagine i due errori opposti si danno la mano ai nostri danni. Cosa dobbiamo fare?

  4. “…Difendere l’ecologia, la biodiversità che è la nostra vita, difendere l’ossigeno. La lotta più grande è quella per la biodiversità”: parola di papa.
    Ma sbaglio, o una volta per un papa la lotta più grande era la salvezza delle anime?

    1. È vero. Ma molto, molto, molto… tempo fa. Il potere è una forte tentazione che fa usare le anime altrui come moneta di scambio.

    2. Giusto. Ma non possiamo lasciare per la strada uno dei due termini della questione, quello spirituale e quello corporale. Che ce ne facciamo di un’Amazzonia fiorente se perdiamo l’anima? Ma che ci dirà il Padre quando ci chiederà conto del giardino che ha affidato alle nostre cure e a tutte le persone uccise a causa della nostra incuria? Il suicidio è un peccato grave o no? Allora smettiamola di minimizzare e ridicolizzare la crisi ecologica che bussa alle porte.

  5. Assisteremo all’indottrinamento sempre più massiccio dei minori nelle scuole al verbo ecologista e all’egualitarismo biologico per cui l’uomo è ontologicamente uguale agli animali. L’Europa votata al pensiero unico satanico, che ammette ogni aberrazione tranne che si nomini il Dio Cristiano e anche Satana ( lo si nega affinché agisca indisturbato), ci imporrà per legge e sotto il controllo incrociato di mille spie telematiche e informatiche la ideologia gender, l’animalismo vegetariano, la religione di Gaia e la assimilazione agli indigeni amazzonici che uccidono i loro bambini e i loro vecchi. E tutto con la benedizione di una chiesa che segue solo il mondo e che nessuno, per questo, segue più.

  6. Caro Gnocchi io so come la pensa Lei, il punto però è che la maggior parte di chi La loda e dice di comprenderLa e condividere quello che Lei inoppugnabilmente denuncia, poi continua a definire Chiesa l’organizzazione che ha occupato abusivamente quegli edifici dotati di campanile con pianta a croce, continua a definire Papa l’eretico apostata sudamericano che all’anagrafe fa Bergoglio e continua a frequentare quelle pagliacciate in vesti policrome di nylon, con chitarre, cani, figuranti e comparse che senza vergogna definiscono perfidamente Messa.

    Questa stimato Gnocchi non è imbecillità ma ipocrisia, non è perbenismo è tradimento.

    Con stima.

  7. jb Mirabile-caruso

    A. Manzoni: “…si trovò ingolfato nell’esame di tutta la sua vita (…) di sangue
    ……………………..in sangue, di scelleratezza in scelleratezza: ognuna ricompariva
    ……………………..all’animo consapevole e nuovo, separata dai sentimenti che
    ……………………..l’avevan fatta volere e commettere”.

    Non Le sembra, dr Gnocchi, che da questo brano emerga evidente che l’Innominato NON aveva mai “ragionato” nel corso della sua vita, ma solo “pensato” sotto la preponderante influenza dei suoi ‘sentimenti’?

    È ciò che avviene ai nostri tempi. È ciò che è sempre avvenuto nel corso della storia Umana dal momento in cui i nostri due Antenati furono malamente sbattuti fuori dall’Eden. È la nostra confusione mentale nel cui contesto si consuma – sotto le mentite spoglie di ‘pensiero’ – la perversa, non riconosciuta dittatura delle nostre passioni sulla nostra Ragione!

    La Chiesa ha sempre giustamente anteposto la Fede alla Ragione. Ma questa Sua corretta posizione NON giustifica il Suo ignorare l’esistenza del pervertimento a livello biologico che stiamo evidenziando. L’Umanità NON dovrebbe guadagnarsi l’Eden perduto solo in forza della sua Fede, ma anche in forza della sua Ragione la quale – se pienamente operativa come Dio volle che fosse – salverebbe la Fede abbandonata a se stessa dal suo inevitabile svanire!

    Non Le sembra?

    “Panem et circenses” esprime brutalmente bene questa nostra patologica condizione mentale.

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