Vince Salvini: #hastatoPutin – di Elisabetta Frezza e Roberto dal Bosco

 

Dopo averci deliziato, a governo fresco di nomina, con la copertina di un ministro Fontana in tenuta da crociato (magari!), L’Espresso titola ora con i rubli per Salvini: «L’incontro segreto del ministro a Mosca. E la trattativa tra gli uomini di Putin e i suoi per finanziare la Lega. Obiettivo: far vincere i sovranisti alle elezioni europee». 

Ancora una volta, quindi, è tutta colpa di Putin o, come si suol dire oggi in gergo internettaro: #hastatoPutin. 

Virus del computer: #hastatoPutin.

Picco di radioattività nell’aria: #hastatoPutin.

Hacker contro Fifa, CIO e agenzie antidoping: #hastatoPutin.

Traditori russi avvelenati in Inghilterra: #hastatoPutin.

Troll degli M5S contro il PD: #hastatoPutin.

Musica rap di stato: #hastatoPutin.

Infiltrazioni nella rete elettrica degli USA: #hastatoPutin.

Gilet Gialli: #hasatoPutin.

Possiamo continuare per ore.

Solo una settimana fa, l’hashtag era stato strillato istericamente dalla centrale di Bruxelles, nella solenne sede istituzionale, da un europarlamentare belga in preda a una crisi di nervi. Il gran signore della lobby tecnocratica dei “democratici e liberali per l’Europa” (tris meraviglia), tale Verhofstadt, si era scagliato contro il presidente Conte, appellato “burattino” per transfert irrefrenabile e “succube del Cremlino” per automatismo compulsivo.

A ruota, per tentare di delegittimare l’avversario politico via Putin, arriva in edicola il settimanale di De Benedetti. Come interpretare la manovra mediatica? Potrebbe trattarsi di una operazione-nostalgia in memoriam di quando i rubli – quelli veri, quelli sovietici – arrivavano dal PCUS al PCI attraverso San Marino e tutto il sistema delle coop e dintorni che nessuno si è mai filato più di tanto (ma basterebbe leggersi il libro del defunto Valerio Riva, Oro da Mosca).

Oppure ci troviamo di fronte al realizzarsi nella metastoria di quello che Igor’ Šafarevič definiva come la guerra de La setta Mondialista contro la Russia, cioè della millenaria russofobia che si abbatte addosso al bicontinente caro al cuore della Madonna di Fatima?

Più prosaicamente, potrebbe darsi invece sia la semplice riprova del fatto che la sinistra, l’establishment, i giornali, i giudici, il deep state tutto, stanno raschiando il fondo del barile e quindi, esaurita persino la fantasia, rimettono in scena nei vari teatrini in giro per il mondo sempre la stessa storiella – in Francia con Marine Le Pen, in USA con Trump – sperando che qualcuno ci caschi ancora.

In America le repliche vanno avanti oramai da un triennio e ogni mese portano qualcuno in galera: ieri un collaboratore di Trump, oggi una sventola russa che occhieggia i repubblicani…Tintinnio di manette, gogne pubbliche, sospetti striscianti, articoli al vetriolo, tutto rimbalza sui media scatenati tranne il cosiddetto scandalo Uranium One, cioè la vendita della grande compagnia di estrazione dell’uranio canadese all’agenzia atomica russa Rosatom, intorno alla quale, secondo alcuni repubblicani statunitensi, sarebbero girate tangenti da 145 milioni di dollari. Uno si può chiedere il perché del misterioso silenzio e poi scopre che l’affare coinvolge Hillary Clinton e la Clinton Foundation, e si dà la sua risposta. Steve Bannon ne ha tratto un film, e anche un libro: Clinton Cash.

L’Espresso, però, non ne ha mai parlato. È da scusare, #hastataHillary suona mica bene.

Tuttavia, c’è qualcosa che gli antiputini nostrani dovrebbero imparare dai loro colleghi (antiputini) ucraini, i quali hanno capito che a forza di parlare di lui e delle sue manovre da puparo dell’intero scacchiere mondiale, lo si rende, nella mente dei più, un mito: uno bravo, pressoché invincibile. Di sicuro, uno statista vero.

Con il risultato che qualcuno, e neanche pochi, ne auspicherebbero la candidatura extraterritoriale e scommetterebbero pure in una sua vittoria in terra straniera. Ricordiamo quel che sul presidente russo diceva, il giorno del suo 64°compleanno, il ponte di Manhattan.

Del resto il fenomeno surreale del #hastatoPutin ha sperimentato derive inverosimili, anzi fantascientifiche, che non potevano non generare un sempre più imponente effetto paradosso. Nell’agosto 2016, si sparge in occidente – in Italia la riprende fedelmente il corrispondente da Mosca del Corriere della Sera Fabrizio Dragosei – la storia per cui Putin sarebbe in possesso di un nuovo dispositivo chiamato “nooscopio” che, si dice, potrebbe attingere alla coscienza globale per «rilevare e registrare i cambiamenti nella biosfera e nell’attività umana». Putin onnisciente. Putin Darth Vader.

In effetti, diciamo noi, il genio di Putin sta anche qui: nel suo potere di demiurgo dei media russi e internazionali. Un ruolo cruciale, per una cifra indiscutibile e spaventosa dell’ora presente, che egli ha riservato a uno dei suoi uomini più fidati, Vladimir Surkov.

Se ne è accorto il documentarista britannico Adam Curtis  il quale, evocando quanto succede nei romanzi dei Fratelli Strugackij tanto amati da Surkov (come Stalker) e citando il saggio di Peter Pomerantsev «Putin’s Rasputin», scrive: «Nella Russia contemporanea, a differenza della vecchia URSS o dell’attuale Corea del Nord, il palcoscenico è in costante cambiamento: il paese è una dittatura al mattino, una democrazia a pranzo, un’oligarchia per cena, mentre nel backstage le compagnie petrolifere vengono espropriate, i giornalisti uccisi, miliardi sifonati via. Surkov è al centro dello spettacolo, sponsorizzando gli skinhead nazionalisti per un momento, sostenendo i gruppi per i diritti umani il prossimo. È una strategia di potere basata sul mantenere qualsiasi opposizione che possa essere costantemente confusa, un incessante cambiamento di forma che è inarrestabile perché indefinibile».

Surkov, che proviene dal mondo del teatro d’avanguardia, si è vantato con The Indipendent: «la Russia sta giocando con le menti dell’Occidente», «non sanno come affrontare la propria coscienza cambiata».

Secondo Adam Curtis, lo stesso Trump ha usato una strategia surkoviana per conquistare la presidenza degli Stati Uniti, e ciò – sostiene il regista inglese nel documentario Hypernormalisation – avrebbe indotto Putin a esprimere sui media russi la propria ammirazione per l’omologo americano. 

Non ci stupiremmo, quindi, se anche dietro le fonti degli articoli de L’Espresso, ci fosse lo stesso Cremlino. Il tutto a maggior gloria di Putin e, di rimbalzo, anche di Salvini. Di sicuro, l’ossessione russofobica non può non ritorcersi contro chi la manifesta senza vergogna, e a favore di chi si vorrebbe demonizzare per relationem, oggi le forze sovraniste. Dunque, un altro punto a favore della Lega in vista delle prossime europee.

In conclusione, permetteteci di svelarvi l’equazione ignota a giornalisti, magistrati, politici della sinistra occidentale che è ora tramontata più del Sol dell’Avvenire: più lo attaccate, più lui vi confonderà. Vi manipolerà. Vi vincerà.

Cioè, per dirla in sintesi internettara: #hastatoPutin=#lungavitaaVladimiro.

3 commenti su “Vince Salvini: #hastatoPutin – di Elisabetta Frezza e Roberto dal Bosco”

  1. Sono con questo Putin democratico e fedele della grande Chiesa Ortodossa.Difensore dell’antropologia umana vera.Difensore della gioventù.Diga di fermezza della nefasta pornografia che da noi dilaga e distrugge i giovani.Riaprire con la grande Russia i commerci interrotti da quel’insensato embargo.Essa si sta riorganizzando e molte cose le realizza per conto proprio,con grande perdita per noi e per tutta l’Europa.

  2. Oswald Penguin Cobblepot

    D’altronde non si può neppure pretendere che un settimanale come L’Espresso possa essere diverso da così. In fin dei conti chi ha pubblicato nel 1967 un’inchiesta sul Piano Solo del gen. De Lorenzo? Chi, nel 1978, ha distrutto Leone, pubblicando le falsità di Camilla Cederna? Siamo sempre nei salotti editoriali della sinistra radical chic. LJC da Gotham, il Pinguino.

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