La Grande Bellezza mancata a priori – di Piero Nicola

Stringi stringi, La grande bellezza di Paolo Sorrentino è un patinato polpettone, o centone senza altro costrutto che quello di rappresentare una Dolce vita vagamente aggiornata e di dubbia verosimiglianza. Abbiamo una vana riviviscenza di felliniane scene corpose e stravaganti, e di felliniano, intellettuale male di vivere, con espedienti narrativi della Nouvelle vague anni Sessanta.

di Piero Nicola

 .

grndbllzzSi ripresenta una cinematografia scaduta non solo per il suo decadentismo, ma anche come forma artistica retorica. Riproporla, ha fatto effetto nello squallore del cinema attuale e sui mestieranti e sterili cinematografari d’Oltreoceano, ma è cosa trita e morta. Riesumarla equivale a un voler rifare, per esempio, un lavoro con lo stile del neorealismo italiano, ugualmente non destinato all’immortalità, tanto che oggi il rivederlo stanca, né ciò si deve a un motivo di anacronismo.

  Gli elementi di quest’opera composita sono quello documentario, variamente inserito; quello del baccanale estetizzante, tuttavia infarcito di volgarità; quello delle considerazioni esistenziali e filosofiche provenienti da un copione scarsamente originale; quello di una presenza religiosa o mistica epidermica e inconcludente. La comparsa delle suorine in bianco o in nero e di un cardinale, infilata nelle sequenze della mondanità, resta pure un tocco abusato e alquanto insignificante.

  Il protagonista Gep Gambardella, sessantacinquenne autore di un romanzo premiato molti anni prima, effettua ricercate interviste per conto di una rivista, è un frequentatore di salotti, di festini, di ambienti del bel mondo, ricco soltanto di meravigliose bellezze ereditate e di piaceri viziosi. Nel suo disincanto epicureo, egli ha l’unico merito di sbugiardare una intellettuale impegnata di sinistra, che vorrebbe spacciare per vera la propria illusione di aver creato qualcosa di buono per la società e in ambito familiare.

  Gep frequenta un poeta e fine dicitore mediocre (impersonato da Carlo Verdone), fallito anche nella sua impossibile relazione amorosa; un borghese vedovo, deluso dalla scoperta, in un diario, che sua moglie restò sempre innamorata di Gep; la figlia di un eroinomane (Sabrina Ferilli) gestore di locale notturno, la quale si esibisce ostinatamente sul palcoscenico paterno; e altri uomini e donne di minor rilievo. Con le donne piacenti egli approda a un’andata a letto e poco più. Con gli uomini scambia qualche battuta faceta, generalmente grossolana, e qualche pensiero d’un’intelligenza che sfigura al confronto con quella degli antichi uomini di spirito.

  Egli ci dice che la sua ambizione fu di far fallire le feste, senza che la distruzione assuma un significato, e confessa che la propria vita, come quelle della cerchia salottiera e festaiola, è devastata e minacciata dalla disperazione.

  Ma quando il vedovo inconsolabile, che si sarebbe dedicato per sempre al culto della donna perduta, e invece egli lo ritrova insieme a una nuova compagna con cui conduce una vita pressoché normale, Gep si limita a uno scontato apprezzamento, costatando il proprio destino di nottambulo. Anche il deporre le armi del poeta sprovveduto, per ritornare al paesello, passa come un episodio privo di sostanza. Quando invece, tali personaggi erano gli unici suscettibili di uno sviluppo per un certo riscatto.

  Da notare, il caso della suora reduce da una missione di assistenza caritativa nel Terzo Mondo. Centenaria incartapecorita e orridamente sdentata, considerata santa, riceve su una sorta di seggio  l’omaggio degli stessi prelati, al pari d’una santona. Dedita alle mortificazioni corporee, ella ammirò il romanzo di Gep, ma rifiuta la sua proposta di intervistarla. Alla richiesta avanzatale nella riunione conviviale d’alto bordo, cui ella è intervenuta, simile a una mummia vivente assai orripilante (il che fa parte degli effettacci spettacolari), risponde che la sua opera si compie e non si racconta, non è raccontabile. Come il cardinale appassionato di ricette culinarie da lui illustrate a destra e a manca, la santona non ha niente da dire sulla fede: che non è solo opere.

  Sul finire, all’estenuante salita della Scala Santa che la centenaria si infligge, viene alternato il visibile ricordo di Gep ragazzo, il quale ebbe la sua prima volta con una ventenne offertasi, per la sua iniziazione, in modo erotico, sebbene delicato.

  Conclusione: “Cercavo la grande bellezza, ma non l’ho trovata”. Per quella via morbida e scettica era inevitabile. Ha trovato che la vita è qua e là punteggiata da sprazzi di bellezza in una generale perdizione. “Non mi occupo dell’altrove” egli afferma. Ma l’altrove, il trascendente che tocca lo spirito umano, non lo si può ignorare.

  Dunque, niente di interessante, tutto nichilismo. Mentre anche dal mondo dorato, incredulo e corrotto, può estrarsi il soggetto interessante, il dramma e il suo sbocco davvero catartico, sbocco di salvezza, sia pure momentanea. Così era dato vedere nei vecchi film, oggi a torto considerati falsi e intessuti di sogni.

  I pregi? Ottima la fotografia. La scenografia è più che altro documentaria, e ripeto che le insistenze su di essa sono da documentario. Buona la recitazione di quasi tutti.

  Troppo poco, in ogni senso, per coronare del lauro il regista e ideatore Paolo Sorrentino.

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9 commenti su “La Grande Bellezza mancata a priori – di Piero Nicola”

  1. luciano pranzetti

    io credo che un prossimo film italiano, che abbia nel copione la figura di un frate, o di una suora, da disegnare a colori e tratti surreali, indegni, in chiave e salsa demenziale, con effetti da baraccone, può aspirare a un altro OSCAR(DABAGNO). Importante che la religione da prendere per i fondelli sia quella cattolica. Fateci caso: c’è mai qualche sequenza erotica o lurida che riguardi una sinagoga o una moschea, un rabbino o un imam? Nei film polizieschi della puritana, calvinista e talmudista America USA, il drogato, lo stupratore, la puttana portano chi un girocollo d’oro col crocifisso, chi tatuaggi a croce, con l’assassino seriale che, nella sua tana, tiene alle pareti quadri di Padre Pio o della Madonna. E le esclamazioni, quasi intercalari. CRISTO, CRISTO? dove li mettiamo?. Fateci caso: produttori e registi sono quasi tutti ebrei.

  2. piero vassallo

    ottima recensione o meglio opportuna stroncatura – purtroppo il messaggio nichilista del film è condiviso e propalato dagli “intellettuali” che orientano il pubblico italiano di sinistra, di centro e di destra – unica eccezione Marcello Veneziani (oggi nel Giornale) – condivido l’opinione di Piero sul “fellinismo” del regista – il film è una non felice imitazione dei prodotti decadenti del secondo Fellini – i cattolici sono ritratti con una ferocia che oltrepassa la desolante realtà della chiesa post-conciliare – anche qui io leggo l’imitazione del peggior Fellini (quello manipolato dalla psicoanalisi) – perfino l’erotismo è lapidato (penso alle figure delle attrici attempare e devastate) – congratulazioni a Piero e affettuosi saluti, p.v.

  3. Ho un concetto sacro della bellezza e una grande considerazione di essa, per questo non ho retto all’intera visione del film. Mi sono bastati una ventina di minuti di visione per rendermi conto che le uniche bellezze che vedevo erano i profili delle antiche architetture delle Chiese e qualche momento di armonia colrale di canti religiosi. Tutto il resto era la trasmissione della banalità, superficialità e squallore di elite danarose e annoiate. Mi spiace – nonostante tutti i problemi che abbiamo – questa non è l’immagine dell’Italia. Questo è un film che, come quelli dei vari padrini e della mafia, mandano nel mondo una immagine del nostro paese parziale.
    Mi ha molto colpito il giubilo del cattolico ministro della cultura, Franceschini, che non si rende conto che non c’e nulla da giubilare.
    Dostoevskij diceva che “La Bellezza salverà il mondo”, ed è vero, ma di quella Bellezza non traspariva nulla nel film, se non forse nel titolo e nel desiderio di qualcuno.
    Quando penso che una certa cultura egemone ci ha insegnato fin dalle scuole che il Medio Evo erail tempo dei “secoli bui”, però, guarda caso, che cosa vengono a vedere i turisti nel nostro paese, se non le bellezze artistiche – principalmente ispirate dalla religione cattolica – costruite lungo i secoli? Ci hanno insegnato a disprezzare il nostro passato, forse perché troppo cattolico, e ora vorrebbero indicarci questa come bellezza? Se la tengano, anche se la fotografia è ottima!

  4. Dissento da i commenti sul film e sulla immeritata attribuzione dell’Oscar.
    In effetti il film è meritiero del premio perchè esprime perfettamente le sfaccettature sociali e culturali di una parte del nostro paese ed una mentalità comune ad altri paesi quindi in quest’ottica si può considerare un’opera universale. In più l’opera è ambientata in italia “la grande bellezza” che come potrete notare ha un patrimonio artistico enorme (che altri non hanno).
    La condizione descritta è quella perfettamente calzante alle sotto elites di quelli , a cui è data l’illusione di pensare di essere potenti perchè sono di sopra delle masse ed al di sotto di chi comanda realmente. Per questo le stesse elites lo hanno premiato. Poi se a uno non piace ed interrompe la visione non è colpa di Sorrentino, bisogna pur avere stomaco per visionare certe cose.

    1. La questione sull’arte di rappresentare è semplice. C’è la fedeltà o il tradimento della verità oggettiva. C’è lo stile. C’è il punto di vista o visione critica dell’autore. Se si pretende che il film sia emblematico e rispecchi la condizione di una parte della società, le falsità sono evidenti: pochi cardinali saranno storditi come quello proposto; santone così non se ne vedono. Si tratta di uno sconfinamento nel simbolico, nel surreale? Non ne viene resa l’impressione. – Lo stile è retorico e artificioso. – Il punto di vista – sempre inevitabile – è di compiacimento verso un protagonista negativo. Il tema religioso è trattato in modo scettico; quello esistenziale o filosofico, in modo nichilista. In definitiva il lavoro di Sorrentino risulta falso e disprezzabile su punti fondamentali. Vi emerge la rassegnazione al marciume e un certo compiacimento verso l’edonismo. Perciò ha avuto l’approvazione dei potenti. L’Oscar non è certo una patente di validità, un riconoscimento di cui menare vanto. La bella Italia diventa la prostituta del mondo grasso e spregevole.

  5. Perfettamente d’accordo con il sig. Pranzetti. Nei vari “Cold Cases”, “Law and order” etc. i cattolici sono sempre presentati a fosche tinte e si sparano stupidaggini teologiche.

  6. premetto che non ha visto il film, ma di sicuro so che per noi arte e film da oscar o da palma d oro sono i nanni moretti in motorino per un ora di fila che gira muto come un baccalà per Roma.
    a questo punto ben venga qualsiasi decadenza, qualsiasi film nostalgico qualsiasi altro qualcosa che non sia la deficiente osannatissima pagatissima dai tributi pubblici sciatteria compagna sinistra radical chic o pseudocubana.
    basta forzature sinistre sull arte, sul cinema sul teatro sulla musica.
    il veleno mortifero degli avvelenati ci fa sputare su ogni qualsiasi altra proposta.
    evviva il nostalgico nuovo fellini,ben venga e che travolga come un fiume in piena tutto il nostro baccanale di sinistra

  7. Giorgio Rapanelli

    Non sono riuscito a vedere il film, in quanto mi sono addormentato. Salvandomi dalla noia. Probabilmente, in una grottesca surrealtà, egli descrive i tempi distruttivi che viviamo. Gli esaltatori dell’Arte dovrebbero vergognarsi poiché l’Arte è sempre servita all’uomo per elevarsi. Se alla nausea che sembra manifestarsi con questo film aggiungiamo i problemi esistenziati, politici ed economici che stiamo vivendo, la “Grande Bellezza”, cadaverica e in decomposizione, ci porta in apatia e quindi alla morte per infarto.

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