La nuova moda di inginocchiarsi. Dagli Usa al resto dell’impero

Non avremmo immaginato, in un’unica vita, di assistere alla quantità di cambiamenti, follie, ribaltamenti di prospettiva di cui ci è toccato essere testimoni. Negli ultimi anni, negli ultimi, fatali mesi, abbiamo sommato esperienze – quasi tutte negative – che, in altre epoche, avrebbero richiesto generazioni. Come sempre, le novità arrivano dagli Stati Uniti e si diffondono fulmineamente, come veri e propri contagi, nel resto del mondo americanizzato. L’ultima moda, l’ultima stravagante invenzione prescrive di inginocchiarsi per otto minuti e quarantasei secondi, il tempo in cui il povero George Floyd è stato costretto a terra dal poliziotto che lo ha fermato e poi soffocato.

L’orgoglioso uomo d’Occidente ha finalmente trovato qualcosa dinanzi a cui inginocchiarsi. Non è un Dio, ma una para-ideologia obbligatoria, l’antirazzismo. Mettiamo le carte in tavola: nessuno, tanto meno un poliziotto, può soffocare fino alla morte qualcuno sino a ucciderlo. La tutela della legge e dell’ordine ha sempre un limite, il rispetto della vita altrui, con l’ovvio limite della difesa della propria e di quella dei cittadini indifesi. Quanto alla motivazione razzista della condotta dell’agente bianco, l’episodio non è certo il primo, ma le statistiche attestano che gli atti di violenza poliziesca in America trascendono le razze a cui appartengono protagonisti e vittime.

Nello specifico, la pattuglia che ha fermato il povero Floyd, che stava acquistando sigarette con una banconota che il venditore riteneva contraffatta, era formata da tre agenti, uno bianco – l’accusato di omicidio – e due asiatici. Entrambi non si sarebbero mossi in difesa di Floyd, il che è grave, ma non sostiene l’accusa di omicidio a sfondo razziale. C’è di più: il capo della polizia della città di Minneapolis è un nero, anzi afroamericano, come è obbligatorio dire. Gli incidenti che rendono incandescente, prerivoluzionario, il clima degli Usa, hanno causato numerosi morti tra commercianti assaltati, manifestanti e poliziotti, diversi dei quali afroamericani.

Le dimostrazioni si sono risolte in vandalismi e distruzioni, ma soprattutto saccheggi. Ne hanno fatto le spese supermercati, negozi di quartiere, vetrine di lusso dei marchi più conosciuti, oltre a numerosissimi sportelli bancari automatici. Il comando della rivolta, dietro la quale si muovono certamente organizzazioni non governative “umanitarie”, settori politici e comunità etniche e razziali, ha obiettivi politici – in novembre ci saranno le elezioni presidenziali e quelle legislative – molti manifestanti di ogni etnia sono certo in buona fede, ma è un fatto che i disordini si sono trasformati in puro nichilismo distruttivo. Diciamola tutta: sono la dimostrazione più evidente del fallimento del modello economico, sociale e multiculturale americano.

Gli Usa sono un paradiso per alcuni, un luogo dove il pane è duro per molti e per tantissimi un vero inferno. Ecco dove e come finisce il sogno americano, l’american way of life. I poliziotti, bianchi, neri, ispanici, asiatici, sono violenti perché violenta è la società in cui operano. Milioni di americani sono detenuti, e diverse prigioni sono gestite da privati. L’imprenditore carcerario è una figura impressionante, niente affatto pittoresca, come i cacciatori di taglie e i fornitori di cauzioni per chi incappa nel sistema giudiziario.

I saccheggi sono il corollario dei tumulti quando manca un obiettivo politico preciso, ma diventano qualcosa di più profondo, la spia di un malessere sociale enorme, se coinvolgono tanto i generi alimentari e altri beni primari, quanto il denaro e la razzia di beni di lusso. Hanno rubato di tutto, indubbiamente con la regia criminale delle bande che sono parte del panorama esistenziale di interi quartieri sottratti alle leggi.

Segno non di debolezza del sistema, ma del fatto che la violenza, il contropotere, l’appartenenza per tribù etniche, è in America elemento centrale nel modo di vivere della sedicente patria della libertà. Il problema razziale non è stato mai risolto per molti motivi. Uno è il fatto che alla tradizionale contrapposizione tra maggioranza bianca e minoranza di colore, si sono sovrapposte, negli ultimi cinquant’anni, enormi ondate migratorie provenienti da ogni altro angolo del pianeta, a cominciare dal Centro e Sud America e dall’Asia. Gli Usa si sono trasformati in una torre di Babele in cui – letteralmente – nessuno parla più una lingua comune.

L’unico denominatore comune è il denaro, la ricerca della ricchezza, che scatena lotte, invidia sociale alimentata da diseguaglianze intollerabili, la volontà di ottenere il successo – che in America significa esclusivamente possedere molto denaro – con le spicce, con la violenza e l’ingiustizia. Nulla di strano: così sono nati, sono diventati grandi e potenti gli Usa. Hanno sottratto terra e pascoli agli indiani nativi, non si sono fatti scrupolo – da protestanti devoti – di praticare la schiavitù nelle sterminate piantagioni agricole, abolendola solo dopo una guerra e a seguito del sorgere della civiltà industriale che aveva bisogno di operai, non di braccianti. Lo stesso Floyd, la vittima, ha trascorso anni in carcere per rapina ed era uno dei milioni di americani a cui il Coronavirus ha sottratto il lavoro.

È significativa la circostanza che una banconota da venti dollari abbia dato la stura a una serie di eventi che attestano l’assoluta assenza di principi morali dell’intera società. Evidentemente il commerciante non poteva rifiutare il pagamento per paura di reazioni: ha chiamato la polizia, il cui intervento ha avuto gli esiti che conosciamo. È una società intrisa di violenza, con scarso rispetto della vita umana e assoluta sfiducia reciproca, specie se l’Altro appartiene a un diverso gruppo etnico. Le razze esistono, eccome e la reazione della società americana ne è la dimostrazione. Il potere americano ha seminato vento, adesso raccoglie tempesta. Ha diffuso, nelle università private, ogni sorta di idee, dal femminismo più esacerbato alla teoria del genere e all’uguaglianza-equivalenza, ha propagato la cultura della droga e quella dell’odio per qualsiasi autorità.

Pur nel darwinismo sociale liberista, ha costruito una gabbia in cui gli impieghi, le carriere, le funzioni, gli studi, seguono un doppio binario. Da un lato, domina il denaro: per i ricchi, porte aperte a prescindere e successo assicurato dall’inizio; per tutti gli altri, vige la “discriminazione positiva”, ovvero quote prefissate per razza, sesso, adesso anche per orientamento sessuale.

Nel tentativo di assicurare una certa giustizia distributiva, si sono creati nuovi ghetti, nuove burocrazie, nuovi centri di potere, dunque anche ulteriori esclusioni. I vecchi valori americani – Dio, la famiglia, la legge, l’ordine, la stessa Patria – sono diventati carta straccia per un numero crescente di immigrati, estranei per provenienza, cultura (e incultura), religione. Nuove muraglie sono state erette, specie nei grandi centri urbani, divisi in tribù reciprocamente ostili, in cui la legge del sangue – respinta dalla legge e dalla cultura ufficiale – riaffiora nelle bande, nelle divisioni territoriali, nelle identità rivendicate come unico patrimonio comunitario.

Su tutto, il motivatore universale, il dollaro misura di tutte le cose. Sulle banconote è stampato un motto surreale: in god we trust, noi confidiamo in Dio. Un Dio pret-a-porter, fai da te, simboleggiato dall’infinito numero di confessioni, sette, non solo cristiane, che rendono l’America un labirinto spirituale. Bene o male, un fragile equilibrio è rimasto fintantoché l’egemonia bianca anglosassone ha retto, sia pure tra ingiustizie e macroscopiche contraddizioni: agli americani di certe razze era chiesto di morire in guerra per lo zio Sam, ma non avevano pieni diritti politici e spesso non potevano frequentare gli stessi ambienti dei bianchi. Adesso il tappo è saltato, e l’enorme quantità di armi che circolano fa presagire che il ritorno alla normalità non sarà facile né rapido. Un numero crescente di tribù, di minoranze ostili armate circola per il paese.

I poliziotti sono a loro volta vittime: la loro vita è costantemente in pericolo e sanno di non essere più supportati dal potere. Il rischio è che diventino imbelli, corrotti – un po’ per necessità e molto per convenienza – e che, come già avviene per l’esercito, il reclutamento finisca per privilegiare personalità disturbate, borderline, settori marginali della popolazione per i quali la divisa resta uno strumento di affermazione sociale. Dietro di loro, migliaia di quartieri e città “difficili”, ghetti etnici, il denaro da ottenere in fretta e a ogni costo come unico obiettivo comune, la diffusione endemica di sostanze stupefacenti. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso, giacché la cultura della droga venne diffusa nelle università dagli anni 60 con la complicità attiva dei servizi segreti.

La cosmogonia cristiana narra di una felice condizione umana originaria, seguita dalla volontà di diventare come Dio, fino a suscitare la collera del creatore allorché gli uomini intesero costruire un palazzo elevato sino al cielo. “Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. (…) Questo è l’inizio della loro opera e quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro. Il Signore li disperse su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra”. (Genesi, 11, 1-9)

I riferimenti veterotestamentari restano assai forti in America: impossibile che non occupino la riflessione di milioni di americani di ogni origine. L’incomprensione reciproca, la confusione di lingue, genti, modi di essere, è il naturale esito della folle scommessa multiculturale, multirazziale, multi religiosa priva di un centro di equilibrio e senza valori condivisi dalla maggioranza. Lo stesso sbandierato antirazzismo è un anti valore: si è contro qualcuno, non “per “qualcosa.

Eppure, è diventato, in queste settimane, la parola d’ordine emotiva, utilizzata per giustificare i disordini, che hanno fatto tabula rasa innanzitutto della ridicola parola d’ordine del distanziamento sociale. Chi manifesta, cerca la folla, la contiguità; chi ha come obiettivo commettere reati – violenze, furti, saccheggi – preferisce l’anonimato della massa.

Diventa farsesco, nella remota provincia dell’impero chiamata Italia, attaccare la destra in piazza perché senza mascherine, ravvicinata, sudata, come ha detto lo scrittore “sinistro” Gianrico Carofiglio, e applaudire freneticamente i tumulti d’Oltreoceano. Si sono distinte le Sardine, il cui nome evoca un pesce assai facile a cadere nella rete, ginocchioni a pugno chiuso. Pugno di mosche, presumiamo.

Il caso Floyd ha dimostrato a chi ha occhi per vedere e cervello per ragionare, quanto sia fragile la nostra civilizzazione e fino a che punto è pervenuta la riduzione a gregge cretinizzato dai riflessi unificati, pavloviani. Impressiona l’immagine di artisti, sportivi, finti e veri intellettuali, gente di buona fede e nessuno spirito critico, prostrati in ginocchio.

È non solo l’immagine icastica, ma il racconto, il ritratto simbolico del tempo che ci è toccato di vivere e soffrire. È vietato dire che chi grida in strada contro la polizia e poi distrugge negozi, assalta l’esposizione di Louis Vuitton o il centro di vendita di Apple, aggredendo selvaggiamente chi difende se stesso e il suo pane, è l’esercito del crimine. È chiaro – ma bisogna aver conservato l’uso degli occhi in un tempo di ciechi, anzi di non vedenti – che i loro padroni e mandanti ci vogliono in ginocchio di fronte ai loro piani criminali di dominazione, di ingegneria sociale, di riconfigurazione dei cervelli, o di ciò che ne resta. In ginocchio, come schiavi (gli schiavi in molte società, dovevano portare una maschera) o come, nel buio passato da cui il magnifico progresso ci ha liberato, ci si poneva davanti a Dio.

Ecco il nuovo Dio: un mondo folle, violento, dominato da un’oligarchia che ci ha reso schiavi e adesso, con il pretesto dell’omaggio a un poveraccio morto per venti dollari con su scritto il sacrilego motto “in God we trust”, pretende l’omaggio più servile. Abbiamo visto immagini da vomito: agenti della Guardia Nazionale americana in ginocchio di fronte ai manifestanti, donne che baciavano le scarpe dei nuovi guerriglieri urbani del Bene e dell’Antirazzismo. Chi ha messo in piedi questa disgustosa ordalia è il Foro di San Paolo, che dal 2000 riunisce la galassia del sinistrismo politico, culturale e religioso, foraggiato da ONG come quelle legate a George Soros e ad altri membri della plutocrazia, i re del denaro.

La via è tracciata e non è affatto quella del paradiso multi, pluri e trans ad uso dei gonzi inginocchiati. Hanno minato lo spirito della libertà e il criterio della democrazia, corrono spediti verso un super stato mondiale in cui ci saranno solo schiavi e iper padroni, ricchissimi e poveri, ceti dirigenti onnipotenti e masse indottrinate pronte a inginocchiarsi al fischio del padrone, felici di seguire gli slogan del momento sotto pena di scomunica sociale.

È l’incredibile neo comunismo oligarchico, utopia di miliardari decadenti con pose progressiste. Nella solita America, chiamano sindrome FOMO (fear of missing out, il timore di perdersi qualcosa), un’ansia patologica caratterizzata dalla necessità di rimanere attaccati alle mode altrui, di essere esclusi da eventi o contesti sociali di massa, considerati gratificanti. E’ sempre più facile manipolare masse di neo alfabeti a cui non interessa leggere, informarsi seriamente, indifferenti o addirittura plaudenti alla repressione più o meno violenta contro chi si oppone alla dittatura riciclata in giustizia da sofà e a parole d’ordine ripetute a pappagallo, più gradite quanto più generiche ed in grado di attivare il facile registro emozionale di cervelli addormentati

Nessuno di questa massa amorfa si inginocchierà dinanzi al vile assassinio del capitano di polizia in pensione David Dorn, nero anch’egli, settantasettenne, che era accorso in aiuto di un amico commerciante, colpito da un giovane bianco. La sua agonia, ripresa con un apparato telefonico, non risveglierà alcun senso di umanità o commozione. La mandria progressista non si inginocchia dinanzi alle vittime, a loro volta costrette in ginocchio, assassinate per decapitazione o sgozzate dai gentiluomini dell’Isis. Nessuna manifestazione, nessun ginocchio a terra per i milioni di sudamericani affamati, impoveriti e senza cure in mano a governi narco marxisti.

Non ricordiamo folle ginocchioni in ricordo delle vittime del terrorismo, tutt’al più ridicole infiorate nelle piazze. In Italia, conclamati assassini sono in cattedra ad impartire lezioni e non pochi sono ospiti graditi di salotti televisivi e kermesse culturali. Sono tutti in piedi orgogliosi di sé, e vogliono noi in ginocchio, a chiedere perdono, supplicanti, impauriti per peccati che non abbiamo commesso. Vogliono che ci sentiamo colpevoli di qualsiasi cosa, del passato e del presente, sino alla confessione finale, l’autocritica di matrice comunista: siamo razzisti, fascisti, maschilisti, omofobi, violentatori eccetera eccetera.

Ebbene, resteremo soli, ma non ci inginocchieremo davanti all’orda. Saremo sempre dalla parte delle vittime, manifesteremo empatia a tutti i George Floyd del mondo, di tutte le razze, bianchi, neri, donne, uomini di qualunque credenza religiosa, vittime di ingiustizia, in un mondo nel quale siamo tutti potenziali vittime di assassini a cui troveranno attenuanti, esimenti, giustificazioni. Ma in ginocchio no, solo davanti a Dio! Un potere formidabile dall’intelligenza sopraffina è riuscito a farci prostrare di nostra volontà.

Brutti, pessimi tempi. Se potremo scegliere, chineremo il capo dinanzi al Cristo di Lepanto o al Cristo morto di Andrea Mantegna. Davanti ad altri uomini, mai, e quando capiterà di morire, che avvenga con la testa alta e lo sguardo diritto.

9 commenti su “La nuova moda di inginocchiarsi. Dagli Usa al resto dell’impero”

  1. “Ma in ginocchio no, solo davanti a Dio! Un potere formidabile dall’intelligenza sopraffina è riuscito a farci prostrare di nostra volontà.” Sottoscrivo in pieno.
    Bellissimo articolo, come sempre. Quello che sconvolge è la mancanza di alcun senso critico, l’incapacità di fare un qualsiasi ragionamento. Ha ben detto, una reazione stile Pavlov perché la massa è stata ridotta alla stregua dell’animale. E’ tutto molto triste e quasi difficile da credere se non fosse tutto davanti agli occhi.

  2. Mi inginocchierò anch’io accanto a voi, povere e cieche boldrine di ogni specie, quando lo farete in omaggio a un Innocente condannato a morte, sbeffeggiato, denudato, massacrato, ammazzato orribilmente e soffocato con tre ore di agonia, senza che nessuno muovesse un dito e senza successive manifestazioni e turbolente sommosse. Vi auguro, boldrine di ogni specie, per la vostra eterna salute, di potervi un giorno inginocchiare davvero di fronte a Uno così davanti al Quale, certamente per grazia ricevuta, mi inginocchio già da una vita.

  3. Quali brevi parole possiamo usare, per significare tutto quello che l’articolo elenca in maniera dettagliata, su alcune recenti stravaganze della tirannide ideologica dominante? Infatti è difficile descriverle in maniera completa e precisa, come prova a fare il nostro Pecchioli. Descrivere un immondezzaio è impossibile!
    Le parole giuste possono essere queste: dissennatezza, insulsaggine, stoltezza, e altre simili.

  4. “Il vaccino che Bill Gates intende imporci, oscenamente raccomandato da Bergoglio, provocherà violenti sconvolgimenti sociali in tutto il pianeta. Lo stesso causerà il microchip. Ma alla fine Dio interverrà e suo Figlio Gesù Cristo, Signore della storia, avrà l’ultima parola.” : parole di un coraggioso sacerdote che non teme la persecuzione del falso papa italo-argentino, servitore (o membro) della massoneria satanica che sta stringendo sempre più l’umanità intera in una morsas diabolica.
    https://rivelazione.net/notizie/dallamerica-latina-si-innalza-una-voce-potente-un-sacerdote-gladiatore-sfida-limperatore-bergoglio-direttore-di-rivelazione-samuel-colombo-intervista-don-ruben-martinez-cordero/

  5. Signor Roberto,
    Le rinnovo tutta la mia stima e ammirazione per come riesce efficacemente a trattare ogni argomento usando parole chiare, convincenti e sacrosante.
    Nel paese dei “grilletti facili” e dei bounty killer, questi fatti accadono di frequente. Tuttavia, a quest’ultimo é stata riservata una ridondante cassa di risonanza, a parer mio voluta.
    E’ risaputo che, Donald Trump e le sue politiche anticonformiste, sono una palla al piede mica da ridere per i sinistroidi a stelle e striscie.
    Hanno provato ad abbatterlo con gli scandali delle intercettazioni senza riuscirci, quindi, quale miglior modo per riprovarci ancora, usando una delle loro armi preferite: “l’antirazzismo”, quando se ne presenta l’occasione?
    Se, alla casa bianca, oggi albergasse ancora il suo predecessore “l’abbronzato”, questo fatto, certamente avrebbe avuto risvolti diversi.
    L’impero sinistroide da quest’altra parte dell’oceano, ovviamente ha aderito con ossequiosi “gesti simbolici” prontamente evidenziati dall’informazione “certificata” al loro servizio.
    Il teatrino della premiata ditta: “Boldrini & Co.” non poteva certamente esimersi.
    Bisogna incurgitare dosi massiccie di farmaci antiemetici per evitare il vomito!

    claudio

  6. Complimenti signor Pecchioli per l’analisi direi definitiva.
    Il più bel articolo che ho letto in questo tempo di follia. Grazie.

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