CORSO DI ESCATOLOGIA
La Parusia di Cristo
di P. Giovanni Cavalcoli, OP
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Riprendiamo il nostro piccolo corso di escatologia. Questa volta trattiamo di una promessa che ci ha fatto Cristo prima di lasciare questo mondo e di tornare al Padre. Egli annuncia, in forme velate ed in forme esplicite, che tornerà alla fine del mondo, vittorioso sulle potenze del male, per giudicare i vivi e i morti, per far risorgere i morti dai sepolcri ed inaugurare in pienezza il Regno di Dio.
Questo ritorno glorioso di Cristo si è convenuto di chiamarlo “parusia”, parola greca usata dal Nuovo Testamento per significare appunto questa venuta finale di Cristo. Il termine, di per sé, indicava, ai tempi di Cristo, il ritorno trionfale del re alla sua sede dopo la vittoria sui nemici, circonfuso di gloria ed esaltato dal suo esercito vincitore nonché dal suo popolo. Per usare un esempio moderno, pensiamo al ritorno in patria di una squadra di calcio vincitrice del campionato mondiale.
Questa idea, questa speranza della venuta del Messia redentore e liberatore dei giusti dal giogo degli empi per l’instaurazione del Regno di Dio sulla terra, compare già nei profeti dell’Antico Testamento. In tal modo il popolo ebraico, destinatario principale di questa promessa del Signore, fu sempre in attesa della venuta di questo Messia trionfante, senza però troppo badare al fatto che il Messia veniva presentato dal profeta Isaia anche come sofferente ed apparentemente sconfitto, ma salvatore del popolo mediante l’offerta sacrificale di se stesso, come “mite agnello immolato” per l’espiazione dei peccati.
I cristiani riuscirono ad afferrare questo aspetto apparentemente sconcertante del Messia (“beato colui che non si scandalizzerà di me”), ma, come è noto, la maggior parte di Israele non capì e tuttora non capisce che già nell’Antico Testamento la vittoria finale del Messia è preceduta e condizionata dal suo sacrificio redentore. Questa corrente maggioritaria dell’ebraismo invece si
Tuttavia è vero che solo col Nuovo Testamento e in particolare dalle parole stesse di Cristo emerge una vera e propria distanza storico–temporale tra una prima e una seconda venuta del Messia: la prima, quella di Cristo duemila anni fa, finalizzata al sacrificio della Croce, benchè con la possibilità di un inizio del Regno sin da adesso grazie alla fondazione della Chiesa ed alla vita della grazia; la seconda – l’unica che si aspettano gli Ebrei – quella effettivamente e definitivamente trionfatrice, nella quale certo Israele resta popolo eletto, non però per dominare ma per servire l’umanità sulla via della salvezza, sulle orme dello stesso Redentore di Israele, “che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la sua vita in riscatto di molti”.
S.Paolo prevede la conversione di Israele a Cristo alla fine del mondo (Rm 9-11). Verrebbe fatto di pensare che Cristo venga in tal modo incontro alle attese di Israele di un Messia glorioso e trionfatore. Tuttavia, siccome senza croce non c’è salvezza, potremmo pensare che le sofferenze di Israele lungo il corso della storia presente suppliscano alla sua mancanza di fede in un Messia sofferente. Israele stesso, come sappiamo, è un popolo messianico, per cui è possibile che questo popolo, magari senza rendersene conto (pensiamo all’Olocausto), abbia patito e patisca i dolori del Messia.
La venuta finale di Cristo, così come emerge dal Nuovo Testamento, è preparata lungo il corso della storia sino alla fine del mondo, da una venuta parziale costante, più interiore che socialmente rilevante, nello Spirito Santo. Una venuta nelle coscienze, più che nelle realizzazioni esterne di questo mondo. Lungo il corso della storia Cristo continua a venire e ad operare la salvezza nei suoi discepoli, nei poveri, negli oppressi, nei sofferenti, nei piccoli, nella Chiesa, nei sacramenti, nell’anno liturgico: ecco il periodo dell’“avvento”. Ma, come il Cristo della storia è apparso uno sconfitto, come la sua azione nel mondo appare incompresa, contrastata e spesso sull’orlo di estinguersi, così la Chiesa, corpo di Cristo, nelle tormentate vicende terrene, è similmente combattuta e la sua azione è costantemente contrastata dal potere delle tenebre, il “drago rosso” dell’Apocalisse.
Con tutto ciò, come le forze del male non hanno potuto fermare Cristo nel compimento della sua missione, ma gli insulti che Cristo ha ricevuto dai peccatori sono diventati ingredienti della sua vittoria, così la Chiesa, Regno di Dio iniziato in questo mondo, grazie alle sue stesse sofferenze, avanza inesorabilmente nella costruzione del Regno lungo il corso dei secoli, < /span>protetta dal suo Sposo divino e tutti coloro che vivono in questa comunità di salvezza di per sé invincibile diventano a loro volta invincibili, anche se per tutto il corso di questa vita esiste per loro la possibilità di cedere per loro colpa alle forze del male.
La parusia è il momento finale dell’edificazione del Regno, è l’inaugurazione del Regno nella sua pienezza e in certo modo l’inizio di una nuova storia non più di peccato ma di giustizia, non più di morte ma di vita, non più di sofferenza ma di gioia. In questo momento, secondo le profezie evangeliche, il grano viene definitivamente separato dal loglio, i giusti ricevono il premio eterno ed i malvagi l’eterno castigo. E tutto ciò non tanto nell’anima, dato che ciò è già avvenuto nel giudizio particolare al momento della morte, ma nel corpo stesso e nel mondo, come ridondanza della divina sanzione, al momento del giudizio universale.
Mentre infatti il giudizio particolare è pronunciato dal Giudice divino al momento della morte in relazione al destino personale di ciascuno, di felicità o di miseria, il giudizio universale, pronunciato da Cristo al momento della parusia, ha la funzione di porre ciascuno di noi nel giusto rapporto con l’intera umanità e con l’universo cosmico.
La parusia di Cristo avrà inoltre la funzione di rigenerare l’intera creazione, la quale, come dice S.Paolo, attualmente “soffre i dolori del parto”, nell’attesa della rivelazione finale dei figli di Dio. In questa conclusione della storia presente, il Figlio conduce a termine l’opera divina della liberazione del mondo dal male, porta a compimento la sottomissione del creato al suo potere, ricapitola in unità ed armonia tutte le energie cosmiche disorganizzate dal peccato e restituisce al Padre, il legittimo proprietario perché suo creatore, quel mondo che il peccato aveva sottratto al suo potere benefico, strappandolo dal potere di Satana, adesso cacciato per sempre nell’inferno, benchè Dio, nella sua misericordiosa provvidenza, non resti assente neppure da quei luoghi tenebrosi e sciagurati.
Cristo comanda ai suoi di tenersi sempre pronti alla sua venuta con l’esercizio delle buone opere: il momento della parusia, dice Cristo, lo conosce solo il Padre. Per quanto vivo possa essere il nostro desiderio di sapere quando Cristo verrà, Cristo non ci consente di soddisfare questo desiderio. Del resto, il non sapere quando verrà ci consente di vigilare e di tenerci sempre pronti.
Per questo sono ridicoli e blasfemi i ricorrenti tentativi di gruppi settari di esaltati che sempre di nuovo, con incredibile ostinazione, pretendono calcolare la data della fine del mondo, restando regolarmente delusi e sempre daccapo al lavoro per nuove illusorie predizioni. Ma è altrettanto sbagliata, benchè apparentemente più seria, l’idea di certi esegeti che la fine del mondo non sia un avvenimento futuro datato nella storia, ma semplicemente, come dice Rahner, “il presente rappresentato con le categorie del futuro”. E’ vero che con l’avvento del Vangelo, viviamo gli “ultimi tempi”; ma ciò non vuol dire affatto che questi tempi escatologici si esauriscano nella vita presente senza riservarci la novità soprannaturale di un evento posto nel futuro temporale, che è appunto la parusia di Cristo.
Cristo annuncia bensì alcuni segni della sua venuta. Tuttavia questi segni, volendo usare termini tratti dalla medicina, non sono prognostici ma solo diagnostici. Infatti Cristo, come si è detto, non ci consente di prevedere in anticipo quando verrà (prognosi). Tuttavia sarà possibile riconoscerlo mentre verrà (diagnosi): calo della fede e raffreddamento della carità, guerre e sconvolgimenti cosmici. Questi segni, benchè mantengano un margine di mistero e di equivocabilità, sono esplicitati da S.Paolo con l’annuncio dell’apostasia finale e della venuta dell’Anticristo. Anche l’Apocalisse descrive in modo impressionante, benchè piuttosto oscuramente, le prove, i castighi e le sciagure che precederanno la fine del mondo e il ritorno di Cristo.
Il “Regno dei mille anni” del quale parla l’Apocalisse (c.20) non va confuso con una specie di parusia inframondana, ma, come già spiegò S.Agostino a suo tempo, rappresenta l’era della Chiesa su questa terra, inizio del Regno di Dio. La parusia di Cristo è una sola, quella della fine del mondo. Il “millenarismo”, che rappresenta questa eresia, è stato condannato dalla Chiesa. Esso in qualche modo ricompare in tutte le ideologie che prospettano la possibilità di una piena felicità dell’uomo nel mondo presente, come il marxismo e la massoneria.
Alla venuta di Cristo questo mondo non sarà distrutto se non nei suoi aspetti di peccato, di ingiustizia, di sofferenza e di morte. Ma siccome in se stesso è creato da Dio, è buono, Cristo lo purifica e lo salva, lo libera dal potere del maligno e lo consegna al Padre. In questo senso, il mondo futuro della resurrezione non è propriamente un “altro mondo” da questo, anche se il Vangelo lo chiama così, ma è questo stesso mondo che ritrova il piano originario di Dio su di lui annunciato nel Genesi, e perfezionato dalla vita dei figli di Dio. “Nuovi cieli e nuova terra”, come annunciano già i profeti dell’Antico Testamento, “nei quali abiterà la giustizia”.
I primi cristiani, come si evince dai testi neotestamentari, per esempio da S.Paolo, si attendevano un ritorno di Cristo per la loro stessa generazione, considerando alcune sue affermazioni che potevano indurre a pensare una cosa del genere, benchè Cristo d’altra parte avesse detto che solo il Padre conosce il giorno e l’ora. Tuttavia Cristo parla effettivamente di un’imminente venuta del Regno con potenza. Ma egli non intende la parusia, bensì la vittoria della croce e la sua resurrezione, che avrebbe inaugurato l’inizio dell’edificazione del Regno come comunità ecclesiale. D’altra parte Paolo stesso si premura di precisare che è ignoto il momento nel quale il Signore tornerà e segnala quelli che saranno gli eventi connessi con la fine del mondo.
Alcuni esegeti protestanti e modernisti hanno stoltamente creduto che Cristo, annunciando la sua imminente venuta, “si sia sbagliato”. Ma questa evidentemente è una grande sciocchezza per non dire una bestemmia, considerando l’assurdità che il Figlio di Dio, Verità assoluta fatta uomo, si sia sbagliato circa un elemento così fondamentale della sua missione. Invece le parole del Signore vanno interpretate nel senso suddetto, ossia come riferite alla sua resurrezione, la quale effettivamente costituisce, se non la venuta finale nella gloria, l’inizio stesso di questa venuta, la quale, come ho detto, costella tutto il corso della storia di una molteplicità di venute incoative – i momenti felici della storia della salvezza -, che avranno il loro compimento finale in quella che propriamente e pienamente si chiama “parusia” alla fine del mondo, con la resurrezione dei morti, il giudizio universale, la sconfitta totale delle forze del male, la liberazione dei giusti dagli empi e l’inaugurazione del regno nella sua pienezza definitiva.
Bologna, 7 settembre 2011
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