La questione meridionale fra piagnistei e malapolitica, vecchia e nuova – di Clemente Sparaco

In vista della direzione del PD del 7 agosto, il premier ha avvertito: “Sul Sud basta piagnistei: rimbocchiamoci le maniche. L’Italia, lo dicono i dati, è ripartita. E’ vero che il Sud cresce di meno e sicuramente il governo deve fare di più ma basta piangersi addosso“.

di Clemente Sparaco

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zzzzmrdncrsI piagnistei del Sud

Le anticipazioni sui principali andamenti economici dal rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno, diffusi il 30 luglio, evidenziano la peggiore crisi economica del dopoguerra.

Nel 2014 il Prodotto interno lordo è calato dell’1,3% nel Sud Italia, dato che, sommato a quello dei 7 anni precedenti, significa -13% (-7,4% nel Centro-Nord). Nello stesso periodo (2007-14) sono calate tanto la domanda estera, quanto quella interna, sono diminuiti in misura i consumi delle famiglie (-13,2%) e quelli pubblici, si è fortemente contratta la spesa per gli investimenti (-38,1%). Il solo comparto dell’industria manifatturiera dal 2007 ha perso un terzo del suo prodotto (-33,1%). Uguale calo hanno fatto registrare i servizi, mentre per l’agricoltura il colpo è stato addirittura maggiore (-38,1% a fronte di un -10,8% del Centro-Nord).

Ma i dati più drammatici riguardano l’occupazione. Dal 2008 è calata del 9% (-1,4% Centro-Nord). Al Sud si è concentrato il 70% delle perdite occupazionali (576 mila su 811mila unità lavorative perse). In misura esponenziale è aumentata quella giovanile (-31,9% a fronte del -26% del Centro-Nord). Il tasso di disoccupazione giovanile è salito al 56% (a livello nazionale 43%). Ne sono stati colpiti indistintamente diplomati e laureati. Rispettivamente, solo il 24,7% e il 31,9% di essi trova lavoro a tre anni dal conseguimento del titolo. Ed è un dato che non ha riscontro in Europa, nemmeno nelle economie in forte difficoltà della Spagna e della Grecia, dove il tasso di occupazione giovanile è al 65% e al 44%. I giovani meridionali scoraggiati, che non lavorano né si formano in vista di un possibile impiego, sono superiori in valori assoluti ed in percentuale a tutti gli altri paesi europei.

Il fatto è che la carenza di opportunità di lavoro nel Mezzogiorno è strutturale, endemica, frutto di un’emergenza troppo a lungo rimandata e di carenza di strategie e politiche di sviluppo. Rotto negli anni ’60 l’ancestrale equilibrio economico-sociale fatto di miseria e fatica, non se ne è mai instaurato un altro fondato su basi più solide e moderne. Il Mezzogiorno, da sempre traboccante di braccia, continua a conoscere la disoccupazione e la sottoccupazione, malgrado la deprivazione demografica che una perdurante emigrazione ha indotto in gran parte del suo territorio. E proprio l’emigrazione, tradizionale valvola di sfogo per i giovani meridionali, ha ripreso consistenza in questi anni di crisi. Tra il 2001 e il 2014 sono emigrati dal Sud verso il Centro-Nord 1667mila meridionali e ne sono rientrati 923mila per un saldo negativo netto di 744 mila unità. Ciò ha comportato una deprivazione enorme del tessuto demografico, economico e sociale del Mezzogiorno. Basti dire che il 70% (526mila) di quelli che hanno lasciato per sempre il Mezzogiorno erano giovani diplomati e laureati.

Ma il Sud non è nemmeno più una terra traboccante di braccia, perché un dato assolutamente nuovo emerge dal rapporto SVIMEZ: le nascite sono diminuite negli ultimi anni in misura drammatica. Nel 2014 hanno toccato il valore più basso dall’Unità d’Italia (174mila).

Il Sud invecchia rapidamente. La sua popolazione, specie sulla fascia appenninica che ne costituisce l’ossatura naturale, va assumendo sempre più caratteri di residualità. Sui piccoli paesi abbarbicati sulle montagne dell’interno restano ormai solo gli anziani a scrutare l’orizzonte e a custodire i ricordi di un Mezzogiorno che non c’è più.

La malapolitica vecchia e nuova per il Sud

Il premier ha sentenziato: “basta piagnistei sul Sud!” e il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi ha dichiarato: “Per il Mezzogiorno serve un piano da almeno 70, 80 miliardi di euro sulle nuove infrastrutture. Una cifra poderosa, il fulcro di un modello di rilancio“.

In effetti, oggi, a fronte della più grave crisi economica dal dopoguerra, il Mezzogiorno si presenta come un paese senza risorse e senza speranze. Paga, in misura maggiore rispetto alle altre regioni, la politica di contenimento della spesa pubblica con i minori investimenti e la conseguente contrazione dei consumi pubblici e dei trasferimenti. Vede il suo potenziale produttivo fortemente depauperato, se non addirittura compromesso, in tutti i suoi comparti.

In passato si è affrontata l’emergenza Meridione con una pioggia di finanziamenti sotto forma di appalti pubblici, ma essi sono serviti più spesso ad alimentare le mafie, che una reale crescita economica. Laddove il problema grosso era l’assenza dello stato, non si è fatto altro che ingrassare le clientele e, all’ombra di queste, la corruzione ed i favoritismi. Alla società civile si sono date le briciole sotto forma di un assistenzialismo paternalistico, che è servito a veicolare consensi elettorali in un gioco al massacro per la democrazia.

Con il suo linguaggio agevole e diretto il premier intercetta senz’altro un sentimento diffuso, specie nell’opinione pubblica del Nord. Il punto è se le sue parole rispondono ad un’ennesima operazione di facciata o sono di sostanza. In realtà, sin ad ora le politiche del governo non solo non hanno inciso su quei concentrati di interessi e poteri locali, che hanno alimentato ed alimentano il sottosviluppo economico, sociale e civile del Mezzogiorno, ma su quelli si sono sostenute. “Nel Sud Italia, il partito renziano è pieno di emiri, ovvero di capi delle clientele – ha dichiarato Eugenio Scalfari in un’intervista a SkyTg24 il 29 giugno. Non parli di mafiosi, ma di lobby. Sono loro che dicono a Renzi: ‘Vuoi che ti deleghi il potere? Per me va bene, ma qui sappi che decido io le cose che mi interessano’. Sugli interessi particolari di questi poteri, Renzi sa di non avere alcuna voce in capitolo. Questo è l’accordo”. Il caso De Luca, “ineleggibile” eletto Presidente della regione Campania, ne è solo il più macroscopico esempio.

E’pertanto significativo che a fronte di una crisi così profonda si assuma di intervenire in una direzione di partito, convocata per il 7 agosto, preannunciando per bocca del ministro dello sviluppo economico interventi a pioggia “sulle nuove infrastrutture”. Ed è ancora più significativo che a fare simili affermazioni siano brillanti giovanotti divenuti premier o ministri, non per investitura popolare, ma sotto la spinta di primarie di partito o della simpatia di poteri più o meno forti.

Colui che si era presentato come un innovatore, che avrebbe cambiato il sistema politico, rottamando la vecchia classe dirigente, rischia di essere, per il Mezzogiorno, un patetico Presidente del Consiglio, non diverso da quelli che lo hanno preceduto.

6 commenti su “La questione meridionale fra piagnistei e malapolitica, vecchia e nuova – di Clemente Sparaco”

  1. La fine dell’articolo è molto esauriente.
    Ma mi torna in mente anche quanto ha denunciato più volte Salvini: lo spreco enorme delle risorse
    economiche, produttive, ecc da parte di Sindaci, Presidenti di regione, ecc.
    Cioè la condizione del Sud non dipende solo dal Presidente del governo: non lo dico per difendere
    Renzi: per amor del cielo!!!!
    O sbaglio?

  2. Clemente Sparaco

    Nel Sud la crisi evidenzia un più profondo e radicato disordine morale. Esso è quello di una società in cui non solo le contraddizioni esplodono, ma anche i tradizionali valori cristiani si incrinano. Non c’è solo, infatti, una gestione viziosa della cosa pubblica, in quanto si mira, e si è mirato, a perseguire il vantaggio proprio o del proprio gruppo, a scapito di quello della collettività. Non c’è solo una mentalità che eleva la furbizia a virtù, in luogo dell’intelligenza, e che porta a perseguire un tornaconto facile e immediato, in deroga ad ogni rispetto e scrupolo. C’è più in profondità un individualismo irretito nel proprio cupo egoismo. E tanti individualismi non fanno un popolo.

  3. il vero problema del sud in generale secondo il mio modesto parere è storico culturale.finita la seconda guerra mondiale e la nascita della repubblica ,con la divisione in due dell’ italia .il sud è diventato il serbatoio di voti di una parte politica italiana con eccessi di assistenzialismo. si è volutamente concentrare lo sviluppo al nord .la cosa che fa più rabbia e che i cervelli ,le menti e soprattutto il saper fare dei meridionali è riconosciuto in tutto il mondo ,ma questo a casa loro non era concesso e lo e tuttora.l’enorme potenzialità che vi e al sud viene soffocata come se vi fosse una regola non scritta . i giochi di potere, gli interessi di gruppi di potere di famiglie storicamente radicate nei territori fanno si che vi sia questo stato di cose . purtroppo la cosa più grave e che non si vede all’orizzonte una classe dirigente che possa cambiare il modus operandi in poche parole o ti adegui o ti annullano.

  4. il sud è come sempre abbandonato dal regime, lasciato a se stesso con qualche sporadica mancia elargita con sufficienza ipocrita.

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