“Dici che vuoi una rivoluzione; beh, sai, tutti vogliono cambiare il mondo”.

Sono tra coloro che considerano esagerata e spropositata la fama dei Beatles. Sono del tutto consapevole che l’impatto emotivo e isterico suscitato dai cosiddetti “Fab Four”, soprattutto dal punto di vista dei costumi di un’epoca, è stato, senza alcun dubbio, eclatante, clamoroso, sconvolgente al punto da far dire a John Lennon, all’apice del successo, che i Beatles erano più popolari di Gesù. 

Ho il sospetto però, abbastanza fondato, che sia stata una bella operazione di ciò che chiamiamo “marketing” e che questa vada inserita all’interno della società borghese, capitalista e liberale inglese dell’epoca. Sto dicendo, in sostanza, che la fama di questi quattro ragazzini di Liverpool (John Lennon, Paul McCartney, George Harrison, Ringo Starr) sia stata abilmente costruita e architettata da personaggi come ad esempio Brian Epstein (1934-1967), loro primo manager di origine ebraica, che intravide nei Beatles l’opportunità di sfruttare l’onda della moda e della musica beat di inizi Anni Sessanta. 

Epstein, dopo aver firmato un contratto con i Beatles nel 1961, creò attorno a loro la giusta immagine che li avrebbe portati all’incredibile celebrità mondiale, iniziando a far togliere loro i giubbotti di pelle e i blue-jeans che li caratterizzavano, al pari di numerosi gruppi beat di allora, che si identificavano nei miti americani di James Dean e Marlon Brando. Epstein impose loro alcune scelte che si riveleranno nel tempo decisive: comparvero così giacche e cravatte, i capelli a caschetto anziché i capelloni e cerimoniali sul palcoscenico studiati ad arte, come l’inchino esibito a fine concerto. 

Brian Epstein al centro. Fu definito “Colui che inventò i Beatles”.

Un altro personaggio importante sul destino del gruppo di Liverpool fu George Martin (1926-2016), produttore discografico britannico, definito addirittura il “quinto Beatle” data la notevole influenza sul sound del complesso. Martin, oltre a curare ed abbellire gli arrangiamenti del gruppo, impose loro l’abbandono del primo batterista Pete Best, che fu sostituito dal già menzionato Ringo Star. 

George Martin, oltre che produttore era anche compositore e fu lui che colmò, con la sua esperienza musicale, il divario tra il suono grezzo della band e la riuscita dei pezzi arrangiati. Certamente i Beatles hanno messo a frutto i disegni strategici di questi personaggi, basti pensare ad alcune canzoni, tra le più conosciute (Yesterday, Penny Lane, Eleanor Rigby), che risentono degli arrangiamenti classici e orchestrali voluti da Martin. 

Sia chiaro comunque che non sto negando il talento musicale del gruppo: sto solo affermando la riuscita commerciale dell’affaire Beatles con tanto di emolumenti dovuti alle persone che stavano dietro loro e ne curavano lautamente l’immagine. Ritornando alla produzione discografica, una delle canzoni ritenuta più politicizzata, e questo lo si intuisce dal titolo stesso del brano, è stata Revolution. Inserita nel famoso doppio album bianco (The white album) del 1968, composta da John Lennon, traeva spunto dalle manifestazioni di protesta studentesche del maggio parigino.

The Beatles – Revolution

Ecco la traduzione del brano:

Dici che vuoi una rivoluzione, / Beh, sai / Tutti vogliamo cambiare il mondo. / Mi dici che è evoluzione,/ Bene, sai / Tutti vogliamo cambiare il mondo./ Ma quando parli di distruzione,/ Non sai che puoi considerarmi fuori? / Non sai che andrà tutto a posto?

Dici che hai una vera soluzione / Beh sai / non aspettiamo altro che vedere il piano / Mi chiedi un contributo / Beh sai / si fa quel che si può/ Ma se vuoi soldi per gente con la mente piena d’odio / tutto ciò che ti posso dire, fratello, è che devi aspettare / Non sai che andrà tutto a posto?

Dici che cambierai la costituzione / Beh sai / tutti noi vogliamo cambiare la tua testa
Mi dici che è l’istituzione / Beh sai / Faresti bene a liberare la tua mente, invece / ma se vai innalzando ritratti del Presidente Mao / Non ce la farai con nessuno, in nessun modo / Non sai che andrà tutto a posto?

Inutile dire che la canzone venne contestata dai cosiddetti “sessantottini”, al punto da considerarla “il grido borghese impaurito che si chiama fuori dall’utopia rivoluzionaria”.

5 commenti su “La “Revolution” dei Beatles”

  1. Forse per partito preso non riesco a separare i personaggi dalla loro musica,
    Ma posso dire che già al loro primo apparire i Beatles non mi piacquero. Una sensazione a pelle. Bravi forse sì, ma troppo fuori dalla mia educazione e fenomeno canoro dagli esiti quanto meno insopportabili, considerando anche le urla e gli schiamazzi di ragazzi e ragazzine in lacrime isteriche al solo loro apparire. Quando poi ho saputo, già da adulta matura, il significato di certe loro canzoni e certe pericolose frasette e paroline contenuti nelle loro composizioni, mi sono pentita persino di aver canticchiato a suo tempo qualche loro motivo. Hanno segnato un’epoca, è vero, ma sappiamo tutti di che epoca terribile stiamo parlando.

  2. Francesco Contu

    E’ sbagliato. I Beatles ad un certo punto smisero di fare concerti, tutto il contrario del marketing, e produssero i loro album migliori. Poi si sciolsero esaurita la vena creativa, altra scelta contraria al marketing, ma il loro successo continua ancora oggi.

  3. Ferdinando Antonioli

    Scarsa conoscenza sia della storia che della musica dei Beatles , se lei prendesse centinaia di dischi dell’epoca senza nome ne copertina e li suonasse tutti capirebbe il perché della grandezza dei Beatles e della loro musica , che è e rimarrà per sempre una delle massime vette raggiunte nell’ambito della musica cosiddetta leggera .

    1. Posseggo (e ascolto) centinaia di dischi (vecchi 33 giri in vinile) dell’epoca dei Beatles. Erano migliaia i gruppi dell’epoca, alcuni tecnicamente molto bravi (cito solo i primi che mi vengono in mente: gli Yardbirds di Jimmy Page, Jeff Beck, i Cream, gli Animals di Eric Burdon, i Rolling Stones, i Byrds, i Vanilla Fudge, i Procol Harum, i Moddy Blues,ecc.). Come si intuisce dal nome del gruppo, alcuni di questi preferirono un genere musicale più vicino al blues, in forza dei contatti con alcuni bluesmen neri (Sonny Boy Williamson, John Lee Hooker,ecc.) che vennero a suonare in Inghilterra. Altri ebbero influenze folk. Credo che l’operazione Beatles sia riuscita non solo per la bravura loro, ma anche, come ho cercato di spiegare, per la scelta dei manager, dei produttori del suono e degli arrangiamenti. Ritorneremo sui Beatles, come parleremo di altri gruppi dell’epoca.
      Un cordiale saluto,
      F.T.

  4. Per cui? I Beatles sono i controrivoluzionari di Revolution o i rivoluzionari di Imagine?
    L’uno e l’altro. Chi li pagava non voleva la rivoluzioni politiche (sono cose troppo serie per quella gente lì) ma solo rivoluzioni culturali, anzi antropologiche . Voleva e vuole un popolo di rincoglioniti. E direi che sta raggiungendo il suo obiettivo.

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