La Sardegna paga le nuove imprese. Ma solo se fatte da immigrati – di Roberto Pecchioli

di Roberto Pecchioli

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La Sardegna ha poco più di un milione e mezzo di abitanti. Conta 110.000 disoccupati e 25.000 “inattivi”, oltre il 16 per cento del totale. La percentuale di giovani senza lavoro è attorno al 50 per cento; ogni anno emigrano verso il continente o all’estero migliaia di sardi di ogni età e condizione. La provincia di Carbonia Iglesias è stabilmente inserita tra le aree più depresse dell’intera Unione Europea. Giusto dunque che la sessantina di privilegiati che formano il Consiglio della Regione Autonoma – il presidente Pigliaru gode, dicono, di un appannaggio di 13.000 euro mensili – cerchino di aiutare chi vuol avviare un’impresa.

Al riguardo, nell’ambito di un progetto comicamente denominato Impr.Int.Ing, mutuato certo dagli studi sulle oche di Konrad Lorenz, i giudiziosi amministratori della cosa pubblica sarda hanno stanziato la ragguardevole somma di euro 2.003.171,43 per sovvenzionare  nuovi imprenditori. Purché non sardi, non italiani, e neppure cittadini comunitari. La prima considerazione riguarda la bizzarria della cifra: chissà come saranno pervenuti, gli uffici burocratici dell’isola, a calcolare persino i centesimi disponibili per la generosa operazione finanziaria antinazionale. Non che abbiamo dubbi sulla correttezza  della contabilità: la regione autonoma conta su circa tredicimila dipendenti, abbonderanno i ragionieri e i dottori in economia. A proposito, Marche e Liguria, con una popolazione analoga, hanno circa 1.300 dipendenti ciascuna. Alla faccia dei Quattro Mori !

Tutto va quindi per il meglio, nella fortunata patria di Emilio Lussu e della Brigata Sassari. Perché indignarsi, dunque, se due milioni e spiccioli del sudore del popolo sardo vanno alle imprese costituite da extracomunitari? Anzi, possono partecipare anche i cittadini di Paesi Terzi (niente rumeni, estoni o tedeschi, dunque) che abbiano ottenuto la nostra cittadinanza, i “nuovi italiani”. Oh, gran bontà del democratico presidente Pigliaru, c’è posto anche , ça va sans dire, per i “richiedenti asilo” ed i “rifugiati”. Non sia mai che rimangano fuori, sai l’indignazione dei mammuthones di Mamoiada e di qualche disoccupato reazionario di Quartu Sant’Elena, incautamente originario dell’isola!

Se credessimo ancora ad un briciolo di legalità, consiglieremmo i cittadini di Cagliari e Sassari di impugnare gli atti della regione per incostituzionalità, ma si sa, “le leggi son, ma chi pon mano ad esse?”. E poi non vorranno certo, i bravi abitanti della Sardegna, esporsi all’infame accusa di razzismo. Da biechi reazionari, magari pensiamo, ma sottovoce e con il rossore sul volto, che i due milioncini, ed anche i restanti euro 3.171,43, avrebbero potuto essere assegnati a start up di cittadini italiani, o magari inseriti in un programma dal nome altisonante per sostenere la natalità, che è in picchiata anche da quelle parti, o, se proprio a Pigliaru avanzano denari, devoluta ai terremotati dell’Italia Centrale.

Basta, vergogniamoci anche solo di averlo pensato, e plaudiamo invece alla nobile iniziativa della giunta democratica sarda. Gli stranieri devono lavorare ed  integrarsi, come si dice. Sarà per quello che i corsi professionali organizzati nell’isola sono gratuiti per loro ed a pagamento per i sardi, che, ricordiamolo, non abitano tutti sugli yacht di Porto Cervo e non trovano lavoro nonostante l’impegno diuturno di Pigliaru & Compagni. Sarà anche per integrazione che la direzione dell’ospedale di Sassari ha chiesto ai primari di “sospendere i ricoveri e dimettere i dimissibili in previsione dello sbarco di migranti”.

Ed è un chiaro segnale di integrazione tecnologica se gli aspiranti percettori stranieri del denaro pubblico sardo dovranno trasmettere le loro istanze “esclusivamente in forma telematica”. Riferito della democratica ed egalitaria disposizione che assegna “almeno il 49 per cento” delle somme a richiedenti di “genere” femminile – il genere è ormai dappertutto e getta il sesso nell’angolo ! – qui, sulla forma telematica, casca l’asino, anzi il simpatico somarello sardegnolo.

Rifugiati, richiedenti asilo, extracomunitari: tutti nativi digitali con computer al seguito su cui seguire le disposizioni della giunta e trasmettere le domande con relativi curricula. Strano: non sarà invece che il denaro finirà largamente nelle tasche rapaci delle organizzazioni  ben inserite nel sistema che lucrano sul business dell’accoglienza? Chissà che non abbiano già organizzato qualche affaruccio e che gli stranieri da aiutare o sfruttare non siano il mezzo per lucrare denaro pubblico e rafforzare consolidate clientele. A pensare male si fa peccato, ripeteva Giluio Andreotti, ma difficilmente ci si sbaglia. A proposito, i maligni insinuano che sia piuttosto chiacchierata, nell’isola, almeno una di queste caritatevoli istituzioni che incassano soldi sugli sbarchi dei clandestini. Noi non ci crediamo, naturalmente.

L’unica cosa che pensiamo davvero è che un popolo merita la fine che fa, se non si ribella a ciò che accade. Si può essere disinformati, si può anche essere oggetto della più disgustosa, mistificante e falsa propaganda immigrazionista, ma non si può rimanere indifferenti dinanzi a tanta protervia. In tempi normali, comportamenti della specie si chiamerebbero tradimento ed i loro protagonisti sarebbero considerati dei nemici del popolo, dei tiranni.

Più di due secoli fa la Sardegna insorse compatta contro i feudatari alleati dei piemontesi che si erano trovati a governare l’isola a seguito di complicati intrecci dinastici.  Il canto popolare che ne scaturì è considerato l’inno della nobile nazione sarda, Procurade, barones, moderare sa tirannia.

Le prime strofe del testo, tradotte dalla “limba” suonano  così: “Cercate di moderare, baroni, la tirannia, perché sennò, per la vita mia! Tornate con i piedi in terra! Dichiarata è già la guerra contro la prepotenza, e comincia la pazienza nel popolo a mancare. Guardate che si sta accendendo contro di voi l’incendio;
badate che non è un gioco, che la cosa diventa realtà; badate che l’aria minaccia temporale; gente mal consigliata ascoltate la mia voce”.

Siamo tra coloro che non credono più nella volontà di reagire del popolo italiano, anzi non siamo più neppure certi dell’esistenza in vita di un popolo italiano. Eppure, dottore Pigliaru, ed assessori democratici sardi, e voi, signori  della Impr.Int.Ing, moderate se non altro il disprezzo che mostrate verso la vostra gente, e riportate quei due milioni nelle tasche di chi ha bisogno tra i vostri cittadini.

Il temporale può alzarsi all’improvviso, e nella vostra isola ci sono, purtroppo, migliaia di sardi che l’ombrello non ce l’hanno più. E’ brutta, se arriva, la collera della buona gente, quella senza Imprinting, che non ha santi in paradiso o in regione. Ajò, avanti forza paris!

5 commenti su “La Sardegna paga le nuove imprese. Ma solo se fatte da immigrati – di Roberto Pecchioli”

  1. …e sperausu a su mancu…,
    “sa giustizia d’abruxidi” diceva mio nonno…speriamo ben che si sveglino i miei conterranei.
    Saluti dal continente.. a proposito: a quando una Santa Messa stabile “commente Deus cumandadat”?

    1. Stefano Mulliri

      Potrei dirle caro Ivan ” candu proiri cixiri” però confidiamo Nel Signore, a Lui tutto è possibile intanto se si accontenta, se le capita di passare per Cagliari so che oghi domenica alle ore undici, si officia la Santa Messa in rito antico nella basilica di Santa Croce nell’omonimo bastione,nel quaertiere castello.

      1. Sia ringraziato il cielo, Sig. Mulliri. La Santa Messa di sempre è, sempre, un buon punto di partenza. Sapevo che vi era stato non poco ostracismo da parte delle gerarchie diocesane per l’istituzione della Messa in rito straordinario (come del resto in molte altre parti d’Italia). Mi fa piacere sapere che almeno a Cagliari ce la si sia fatta! A presto allora!

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