La semplicità di Manzoni e il segreto comunicativo del Papa – di Patrizia Fermani

di Patrizia Fermani

 

 

ppbrgSpadaro, che ha avuto il privilegio di raccogliere in una ormai storica intervista le impegnative dichiarazioni di Bergoglio sulla corretta definizione della coscienza, ci spiega su Avvenire il suo segreto comunicativo. L’interessante analisi, condotta per punti ed incentrata – come prevedibile – sul linguaggio e sui gesti, offre comunque il destro per qualche osservazione.

Anzitutto, informa l’autore, si tratta di un “linguaggio lontano dal paradigma dell’idea e della filosofia”. Ovviamente, se per paradigma si intende per esteso un modello espressivo e concettuale, che il Vescovo di Roma lasci stare gli stilemi propri di presenti o passati sistemi filosofici è certamente ragionevole. Bisogna convenire, infatti, che Fabio Fazio e Corrado Augias sono già in grado di fornire alla gente comune gli strumenti essenziali per una speculazione filosofica di base.

Meno evidente appare invece, di primo acchito, la possibilità che il linguaggio faccia a meno “del paradigma della idea”. Infatti, in genere le parole esprimono un pensiero. Persino il gatto domestico usa il miagolio, cioè il proprio linguaggio, per esprimere chiaramente l’idea che il cibo scarseggia. E’ vero che oggi non si bada più tanto al significato delle parole, cioè alle idee che dovrebbero esprimere, quanto al suono che esse emettono, perchè si è compiuto il passaggio fatale dalla libertà di parola alle parole in libertà. Tuttavia è ancora incerto il ricavo di simile trasformazione, i cui svantaggi furono già denunciati a suo tempo in modo perentorio anche dalla Bibbia.

Ma tornando a Spadaro, egli ci spiega come quella di Bergoglio, liberata finalmente dall’ingombrante paradigma delle idee che tanto affliggevano l’emerito predecessore e i suoi affaticati uditori, si presenta libera anche da esigenze estetiche. E su questo non possiamo che concordare con lui.

Per questi motivi è anche un linguaggio che “dà il meglio di sè quando è rivolto a gruppi ristretti ed omogenei”, come i giornalisti aerotrasportati o quelli di Civiltà Cattolica. E non si può sottovalutare il fatto che forse, in ragione di queste condizioni favorevoli, anche qualche idea emerga con prepotenza e riesca perfino a diffondersi con grande efficacia nei bacini una volta refrattari delle più evolute avanguardie culturali. E qui si coglie chiaramente tutta la forza, magari anche non preterintenzionale, delle parole.

Questa attitudine “alla conversazione” e non “alla lezione” è, dice Spadaro, il vero logos col quale si può comunicare il Vangelo. Ora: se si tratta di conversazione, più che il logos pare emergere il diálogos, eppure sembra di ricordare che il Vangelo non sia stato il prodotto di un dialogo socratico in cui la verità si raggiunge dialetticamente con l’aiuto della maieutica, ma un insegnamento. Nel Vangelo un Maestro insegna e i discepoli apprendono la lieta Novella da tramandare. Almeno fino a qualche tempo fa. Però queste sono forse sottigliezze anche per Spadaro.

Dunque resta la preferenza per il discorso colloquiale rispetto a quello omiletico. Ma, se proprio un’omelia va fatta, Bergoglio ritiene che il suo stile debba essere “plasmato dal popolo che ha ascoltato la parola di Dio”. E qui bisogna ammettere che l’estensione all’omiletica del principio democratico è un inedito interessante, sul quale converrà ritornare per opportuni approfondimenti.

Altro pregio del linguaggio di Bergoglio è, sempre per Spadaro, la concinnitas. L’affermazione non manca di stupire, perché sembra in aperta contraddizione con l’asserito disinteresse per le forme espressive. Ora, poiché subito dopo ci viene proposto il paragone con la semplicità dei detti sapienziali, nasce il fondato sospetto che l’autore attribuisca alla concinnitas, per assonanza, il significato di concisione, laddove, come è noto, il termine indica l’ eleganza, la simmetria espositiva ecc., dunque l’opposto di quella indifferenza estetica da cui si era partiti; e che, ovviamente, non viene compromessa dalla svista del commentatore.

Ma il problema della semplicità non finisce qui perchè – sempre secondo Spadaro –  essa è paragonabile a quella di Manzoni e di Sant’Agostino. E qui un nuovo orizzonte sembra schiudersi per la storia della critica letteraria. Infatti, anche a volere chiamare semplicità la immediata incisività descrittiva dei Promessi Sposi (chè, forse, della semplicità della forma poetica manzoniana è bello tacere), sappiamo che essa è il frutto di uno studio così esasperato della forma, non per nulla tante volte risciacquata in Arno, che nulla ha a che fare con la immediatezza espressiva riconosciuta dall’autore al Vescovo di Roma. Per esempio: “Dio non ha la bacchetta magica” non è propriamente paragonabile a “la sventurata rispose”, quanto a studio anche filologico.

Per non incorrere nella pedanteria lasciamo stare Sant’Agostino.

In ogni caso, la semplicità, posto che se ne possa dare una nozione univoca, deve essere valutata in relazione al contenuto che esprime. Quello che è semplicità in certe circostanze, può diventare sciatteria in altre. Insomma, la semplicità non è facile da definire, se non si hanno chiari i parametri di riferimento. Si possono esprimere contenuti impegnativi in modo semplice, ma significativo, o esprimere quei contenuti in una forma inadeguata, che li mortifica. O si può adottare una forma minimale, perchè è senza spessore anche il pensiero che essa rappresenta.

Dopo l’esame delle parole, si passa a quello dei gesti. Dice Spadaro: “per Bergoglio l’informalità dei gesti è un modo per riportarli nell’ambito della vita”. L’uomo, in quanto animale superiore, si plasma, si educa. Elabora la forma migliore per dare decoro ai propri gesti. Se mi tolgo il cappello quando entro in casa d’altri, se mi vesto in modo adeguato alle circostanze, sono fuori dalla vita? Dove sono? Meglio la nudità dei progenitori?

Sarebbero i gesti, rigorosamente informali, quelli utili per una “trasmissione della fede, che si fa vivendo il Vangelo, con la testimonianza”. Certo, se contraddico i suoi precetti, è difficile che possa trasmettere la fede. Ma il Vangelo è in primo luogo un tesoro di idee che possono essere trasmesse solo se conosciute e comprese rettamente.

Sono le idee che segnano la sorte degli uomini, a seconda che siano buone o cattive, e sono le idee che individuano i contenuti della religione e ne definiscono l’identità. A meno che, come lasciava intendere Spadaro all’inizio, sia cosa buona e giusta fare a meno del paradigma delle idee, comprese quelle evangeliche, con i correlativi principi e criteri di valutazione, perché entrambi ormai possono essere abbandonati.

Beninteso, fatta salva l’idea che autorizza felicemente questo abbandono.

5 commenti su “La semplicità di Manzoni e il segreto comunicativo del Papa – di Patrizia Fermani”

  1. a spadaro dovremmo regalare una gorgiera uguale a quella indossata dal tartufo di Molière – la sua prosa è un capolavoro di sacra tartuferia – congratulazioni alla prof fermani, che ha ridicolizzato l’adulazione tartufesca e cortigiana – il regnante pontefice corre incontro ai poveri ma è circondato da adulatori e frenetici claqeurs

  2. Questi commenti che vogliono commentare quanto ha detto un commentatore a riguardo del “segreto comunicativo di Papa Bergoglio”, mi sembrano un po da intellettuali. Credo invece che valga la pena ascoltare quanto dice il Papa, ma non solo traendo delle osservazioni da qualche suo passaggio, ma dall’insieme dei suoi interventi e omelie.
    Anche il Vangelo, se prendiamo in considerazione solo qualche passaggio, finiamo con l’averne una lettura parziale, e potremmo fargli dire quello che vogliamo. Ma il Vangelo, anzi, la Bibbia, va presa nella sua totalità, perché tutto si tiene, specialmente se letto alla luce della parola di Cristo.

  3. Che poi anche sui Promessi Sposi come romanzo “della Provvidenza” , ci sarebbe molto da dire. Vedi la critica di Aldo Spranzi alla celebrata cattolicità del Manzoni.

  4. cortese amico claudio, su manzoni aldo spranzi ha pubblicato notizie terribili ma senza serio fondamento – quanto ai commenti critici mi sembra che il regnante pontefice tenga discorsi – come dire? inconsueti? bizzarri? pensi all’attacco che ha ispirato (a padre fanzaga) il fulmineo (e immotivato) licenziamento di gnocchi e palmaro

  5. Signor Claudio. E agli intellettuali cosa facciamo? Spariamo? E a coloro che hanno tratto beneficio spirituale dal “parlar forbito, difficile”, di Papa Benedetto ? Li mandiamo al confino? Chi non ama la sciatteria, il gesticolare, le frasi dette in libertà (dette perfino da nipoti adolescenti), non ha diritto di cittadinanza? Per favore, lasciateci la libertà di critica, come lasciamo a voi quella dell’adulazione.

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