La stabilità, dogma politico del mondo liquido – di Roberto Pecchioli

di Roberto Pecchioli

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Franco Battiato cercava un centro di gravità permanente, che non gli facesse mai cambiare idea sulle cose,  sulla gente. Forse l’artista catanese aspirava inconsapevolmente alla stabilità, e l’ha trovata nella sua splendida musica carica di suggestione , sonorità arcane e spiritualità . Le nostre classi dirigenti perseguono invece, anzi vogliono, sempre e fortissimamente vogliono un altro tipo di stabilità. Per loro, stabili devono essere i sistemi politici ed i governi per svolgere senza impicci le politiche economiche e finanziarie gradite ai mercati e far felici i padroni del mondo, che hanno tanto bisogno di farsi gli affari nostri in santa pace.

I popoli , fastidiosa variabile nell’elegante equazione elaborata nelle accademie economiche e finanziarie, devono limitarsi ogni cinque anni a recarsi disciplinatamente alle urne per votare governi che si alternano senza un’ alternativa. Messi a tacere i popoli ed i movimenti sociali che li animano, i governi amministratori di condominio possono solo suonare in tonalità diverse l’unica musica decisa dai superiori: è ammessa qualche modesta stecca in questioni di poco conto, ma lo spartito è uno solo, il coro deve essere unanime, l’orchestra rispondere alla bacchetta del direttore di turno, pronta, disciplinata ed ovviamente stabile. Vietato disturbare il manovratore. Non vi è agenda di governo che non persegua la stabilità come un meraviglioso traguardo,  non manca mai qualche severo monito degli “esperti”  di economia e finanza che la invochi, né passa giorno che gli editoriali degli opinionisti più autorevoli non chiedano, esigano, impongano questa benedetta stabilità  .

Insomma, pare davvero che, come l’Elisir di Dulcamara o certe pozioni vendute dagli antichi imbonitori da fiera paesana, la stabilità curi tutti i mali. Evidentemente non è così, si tratta invece di un incredibile ossimoro di questo tempo liquido.  La modernità fu liquida per definizione, la contemporaneità postmoderna, esaurite le “narrazioni” descritte da Lyotard, è addirittura gassosa, leggera , impalpabile, inafferrabile. Tutto deve continuamente mutare, a partire delle idee, degradate a semplici opinioni, che devono sostenere un universo liquido, disponibile di buon grado ad ogni cambiamento. Di qui l’elogio del meticciato, culturale ed etnico, della contaminazione, della “pentola che bolle”, (melting pot) e muta continuamente colore e sapore dell’intruglio predisposto dai padroni del mondo.

Così, abbiamo la crisi della famiglia, la decadenza dell’istituto matrimoniale, il divorzio breve, la valigia sempre pronta dell’impalpabile generazione Erasmus, il relativismo più paradossale, rovesciato nell’assolutismo della non-verità, la svalutazione di ogni autorità, lo sradicamento dalla propria terra, dall’appartenenza etnica e religiosa, l’indifferenza per la verità, il disprezzo o la negazione feroce per le convinzioni forti, la fine dell’orgoglio del proprio mestiere o professione, del lavoro ben fatto, di ogni tradizione. Interrotta traumaticamente la trasmissione – oggi dovremmo parlare di “connessione”- tutto ciò che era solido, tangibile, persino venerabile degrada in poltiglia e poi in liquido. Decomposizione, o, nel lessico di uno Julius Evola, degenerescenza.

E tuttavia, un unico dogma resta inconcusso nell’Occidente gassoso d’inizio millennio, quello della stabilità obbligatoria delle istituzioni politiche, economiche e sociali. Curiosa circostanza, strana controtendenza rispetto a tutto il resto. Invece no: è sulla fissità, sulla proibizione di mettere in discussione i teoremi postmoderni che vive e prospera la menzogna relativista e liberista  globale. Sopra la panca della stabilità, campa la capra progressista, sotto la panca crepa.

Prendiamo il recente referendum costituzionale italiano. I suoi fautori, strampalati riformisti della stabilità- è un tempo disseminato di paradossi – affermavano di perseguire la stabilità istituzionale, cornice necessaria di quella economica e finanziaria. I mitici “mercati”, che, a differenza dei popoli votano tutti i giorni attraverso gli algoritmi delle istruzioni di compravendita ricevute, odiano le sorprese. Banche d’affari, multinazionali e signori del denaro hanno lavorato un paio di secoli per conseguire il potere assoluto di cui sono ora titolari: che sia quindi stabile, ovvero intangibile, eterno, inattaccabile da mente umana. Dunque, hanno bisogno di sudditi liquidi, meglio gassosi, disposti a credere che “non c’è alternativa”, che la specie umana è gettata nel mondo per compravendere beni e servizi, vivendo in una continua  ricerca del soddisfacimento di nuovi bisogni indotti, nello scatenamento di ogni pulsione, nell’abolizione di qualunque confine tra bene e male. Abbattuta quella frontiera, tutte le altre cadono come nel gioco del domino.

Allegria liquida, dunque: è bene cambiare coniuge o fidanzato, anzi partner, la barriera dei sessi deve scomparire per fare spazio ad un grottesco ermafrodito globale. Allo stesso modo, dobbiamo mutare continuamente gusti e preferenze, sostituire continuamente, febbrilmente, l’automobile, la televisione, il guardaroba, il telefonino e tutte le altre merci di cui non “si può fare a meno”.   Bambini di pochi anni, vittime preferite dei parafernali pubblicitari, pretendono quel tale taglio di capelli del momento, quel particolare zainetto, che, chissà perché, sostituisce proprio quello dell’anno precedente. Quanto ai modelli di smartphone o di i-phone, l’obsolescenza è tanto rapida da essere seguita solo da pochi specialisti, il cui linguaggio tecno-criptico li fa assomigliare a certi teologi medievali durante la disputa sugli universali.

Zygmunt Bauman ha coniato il fortunato termine di modernità liquida, ma forse più calzante è sindrome da moto perpetuo.  Generazioni di scienziati hanno impegnato vite intere e brillanti ingegni nella speranza di costruire una macchina che non si fermasse mai, poi è arrivata la termodinamica e la fisica dei quanti a chiudere la questione. Max Planck fu chiarissimo, dimostrando l’impossibilità di ottenere il moto perpetuo per via meccanica, termica o chimica. Da scienziato, ha omesso di prendere in considerazione la società dei consumi, che non può fermarsi mai per definizione , pena la mancanza di “crescita”, come se un albero o un essere umano crescessero indefinitamente per l’intero ciclo vitale.

Per realizzare il moto perpetuo sociale ed economico, tuttavia, occorreva una leva; anche Archimede ne invocò una, per sollevare il mondo, ma , contro tutte le leggi naturali, la leva deve essere stabile. Stabilità sirena del mondo: nessuno deve muovere l’enorme edificio di mattoni faticosamente incastrati da lorsignori, né mente umana deve concepire un sistema diverso. Loro hanno detto che non esiste, e, come al tempo dell’autorità indiscutibile di Aristotele, “ipsi dixerunt”.

Il problema è che l’invocata stabilità è un valore solo per chi sta bene. Se siamo in salute , ci auguriamo che la nostra condizione sia stabile, ma se siamo in un letto d’ospedale ed il medico parla di condizioni stabili non è buon segno: si limita ad attestare che non ci siamo aggravati. Se poi siamo dei giovani disoccupati o titolari di lavoretti, la stabilità minaccia di trasformarsi in miseria o inedia. Nel finto paese dei balocchi in cui ci conducono tanti omini di burro su carri trainati da asini, aumenta costantemente e si conta a milioni la stabilità dei cosiddetti “neet”, ovvero chi non ha né cerca un impiego e non frequenta una scuola né un corso di formazione o di aggiornamento professionale. Sono così stabilmente numerosi che non fanno più parte delle elaborazioni dell’ISTAT. E’ così strano, allora, che le generazioni “liquide” per definizione non credano alla favola della stabilità?

Nel presente tempo natalizio, anche i più riottosi sono costretti a frequentare mercatini e centri commerciali. Lì osserviamo in piena attività due grandi categorie antropologiche “liquide”: i consumatori felici muniti di carte di credito multicolori, debitori a vita, devoti delle merci e della novità, per lo più ciarpame che durerà sino alla prossima fiera mercatale con copertura religiosa (diciamo San Valentino, al massimo Pasqua). Poi la generazione “mille euro”, commessi , venditori e cassieri, giovani e meno giovani precari, costretti ad orari di lavori stranissimi ed a raccontare balle commerciali ai clienti – forse è questo il vero significato di storytelling – privi di una vera qualificazione. E’ la classe operaia del presente, individualista, perplessa, priva di orgoglio, coscienza sociale e purtroppo in possesso solo di un pezzo di carta, laurea o diploma, ma nessuna vera competenza . La gran parte sogna di trasferirsi all’estero, hanno la valigia in mano ed aspirano a perdere quel che resta delle loro radici. Tutto merito dei signori della stabilità, che è diventato sinonimo di distribuzione della scarsità, giacché l’abbondanza è cosa loro.

Quando la nostra vita era meno liquida, si rilevava che il limite della società era quello di lasciare indietro uno su tre. I governi cambiavano spesso, non ascoltavamo ossessivamente i listini di borsa, non sapevamo che cosa fossero le agenzie di “rating” che danno il voto alle nazioni (ahi, Standard & Poors, una delle tre grandi, ci ha declassato, outlook negativo, qualunque cosa significhi nella lingua di quegli imbroglioni). Deploravamo, giustamente, che un certo benessere si fosse diffuso solo in due terzi della popolazione. Adesso, le proporzioni sono ribaltate, uno sta bene, due stanno male e la tendenza (l’outlook !) è negativa, lo registrano tutte le rilevazioni ed è esperienza elementare di chiunque frequenti il mondo reale.

Di che cosa parlano, allora, quando blaterano di stabilità con sopracciglia aggrottate e fronte corrugata? Chiedono forse stabilità gli abitanti dei quartieri investiti dal degrado, dall’immigrazione massiccia ed incomprensibile, dalla malavita di strada , quella che non interessa i professionisti dell’antimafia ed i soloni dell’educazione alla legalità, ma rende impossibile la vita a milioni di persone normali? Non stabilità, ma lavoro e sicurezza esigono milioni di altri, non assistiti dalla Caritas antinazionale, non protetti dai sindacati  di regime, esposti alle meravigliose sorti e progressive del mercato unico e globale.

Quanto poi ai grandi temi della politica e della democrazia – questa parola omnibus che significa tutto ed il suo contrario – l’educazione civica con cui ci hanno indottrinato a scuola insegnava che il conflitto esiste – nelle idee, nei principi, negli interessi – ma la beneamata democrazia ha la capacità di regolarlo. Non certo di abolirlo, in nome del principio superiore e superstizioso della “stabilità”. Quale stabilità, poi, in sistemi politici ed elettorali che  negano o minimizzano la rappresentanza di tutte le idee e convinzioni presenti,  umiliano la partecipazione, selezionano al contrario le classi dirigenti ed enfatizzano il potere improprio di lobby, oligarchie, gruppi di pressione più o meno riservati. E quale stabilità possono esigere da una popolazione che hanno abituato e diseducato a volere sempre il nuovo, adorare il “progresso” senza neppure definirlo, schernire tutto quanto fa parte del “prima”, che è, per definizione, arretrato, superato, e va smontato, o, con i paroloni della peggiore filosofia “decostruito”, reso ridicolo in nome dell’universo liquido.

Nel liquido, però, si annega, specialmente se si è disimparato a nuotare. Non vi è dipinto che meglio descriva il presente della Zattera della Medusa di Géricault, che pure ha quasi duecento anni. Un terribile naufragio di una grande, modernissima nave, in un mare tempestoso con i superstiti che si accapigliano per trovare posto sulla zattera. Ai tempi del quadro, iniziava l’epoca dell’ottimismo scientifico ed ideologico, ma l’artista già ne coglieva limiti ed orrori. Sulla zattera , l’individualismo sfrenato accoglie solo chi è più violento e più cinico, per correre verso una nuova stabilità.

L’esito è, probabilmente, quello immaginato da altri artisti: pensiamo agli orologi molli di Salvador Dalì,  opera surrealista per antonomasia, intitolata significativamente La persistenza della memoria . Raffigurano una landa deserta dominata dalla presenza di alcuni orologi molli, dalla consistenza quasi fluida, simboli dell’elasticità del tempo. Bauman con un anticipo di ottant’anni: il mondo liquido che si scioglie anche in ciò che dovrebbe essere più certo ed indiscutibile, il tempo.

A Siena avevano già capito tutto nel Trecento, e lo descrissero negli affreschi meravigliosi dell’allegoria e degli effetti del buono e del cattivo governo sulla città di Ambrogio Lorenzetti. Lì una polis stabile generava ricchezza, arte e cultura perché solidi erano i valori di riferimento: il patriottismo civico, il rispetto del lavoro di ciascuno, il senso della bellezza, l’amore di sé e dei propri valori, la solidità della terra lavorata con cura, l’ordinato trapasso delle generazioni.  Sì, perché la stabilità non è affatto un disvalore, ma si trasforma in menzogna e violenza del potere in un orizzonte instabile, liquido, privo di direzione e di scopo.

Non può esistere la stabilità a vantaggio di pochi nel mondo in cui tutto, velocissimamente, passa e scorre via, in cui ogni filo è spezzato e non ha più capo né coda, in cui la persona diventa prima semplice individuo, poi utente, successivamente consumatore, e via via sempre più in basso, unità o, quando e finché lavora, risorsa umana.

Nel mucchio di spettacoli spazzatura prodotti dal sistema di intrattenimento di massa, un regista di oltre ottant’anni , Clint Eastwood , già in Gran Torino ci parlò con semplicità e profondità di comunità nonostante tutto, nonostante Metropolis. Da ultimo, nel recentissimo Sully, ci propone un uomo, un pilota d’aereo che diventa eroe semplicemente perché fa bene il suo lavoro, e sa riconoscere quanto è dovuto agli altri, al fattore umano, nel salvataggio di tutti i passeggeri del suo aereo precipitato. Stabile, solido, è lui, insieme con la variegata comunità che ha collaborato perché era giusto così. Liquidi, gassosi, oggettivamente pessimi sono i membri del potere, chierici e sacrestani della stabilità a tutti i costi, tronfi sulle loro poltrone, gran giurì teso a scoprire a tutti i costi i suoi eventuali errori . Nella finzione cinematografica, i detentori del potere perdono e vince Sully. Nella realtà, tutto è più complicato, ma una società liquefatta, sciolta nell’aria come  il contenuto di un insetticida non può produrre stabilità.

Anzi no: è causa del potere stabile, ma degenerato di oligarchie antiumane e nemiche che vivono, prosperano e dominano solo nel Caos. A Siena, Italia, nel Palazzo di Città, Campo del Palio, il centro di gravità permanente è splendidamente, stabilmente chiaro nell’Allegoria di Ambrogio Lorenzetti. Dal 1338.

7 commenti su “La stabilità, dogma politico del mondo liquido – di Roberto Pecchioli”

  1. Caro Pecchioli, il suo articolo è davvero penetrante ma mi sia consentita una tirata d’orecchie: Battiato è si un musicista e cantautore suggestivo, arcano e colmo di spiritualità, ma queste caratteristiche dell’artista catanese sono quanto di più lontano dalla Verità è dalla Tradizione e spiritualità cattolica. Non dimentichi che Battiato crede nella reincarnazione, nei viaggi astrali, nel nulla delle religioni orientali e fu colui che, in occasione della morte dell’eretico Martini, uno che in altre epoche avrebbe goduto di trattamento speciale dalle autorità vaticane, e papà spirituale dell’attuale occupante del Soglio di Pietro, ha affermato in una intervista al foglio neo giacobino Il Fatto Quotidiano, che Benedetto XVI avrebbe dovuto recarsi a piedi a commemorare la salma del modernista-postmodernista Arcivescovo di Milano (sant’Ambrogio e sant’Agostino si staranno contorcendo dalle risate).

  2. Articolo profondo e lieve. Il riferimento a Battiato stona con tutto il resto ma, può essere inizio di una nuova indagine e messa a fuoco. Il cantautore è uno dei tanti appartenenti a quella cultura, nella società civile e nella chiesa contemporanea, che è da tempo e oggi, inconfutabilmente, corrente trainante. Di questo c’è proprio bisogno. Grazie .

  3. La ringrazio molto per questo suo articolo cosi illuminante! Si capisce bene perché l’esito del referendum abbia procurato tanti musi lunghi!!! Non capisco come mai i nostrani fautori
    della stabilità possano pensare che ai due terzi degli italiani piaccia cosi tanto impoverire ogni giorno di più, fare salti mortali per pagare tutte le tasse e le bollette, essere sottopagati o non vedere aumenti di stipendio da decenni , riuscire a portare la famiglia in vacanza per qualche giorno facendo enormi sacrifici !!Perché dovremmo sognare e “votare” che tutto ciò continui all’infinito?? Per fortuna il “loro” lifestyle ci ha aperto gli occhi, la loro sfacciata ricchezza ed arroganza ci ha insegnato molto più di qualsiasi dottrina o guru di partito.Mi dispiace solo per la mia regione (Emilia Romagna)dove le persone stentano ad aprire gli occhi, forse perché resi ciechi da un certo benessere e dalla paura di perdere piccoli poteri e privilegi…ma le cose stanno cambiando!!

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