La “teologia della liberazione”: un libro ne denuncia il pericoloso rilancio – di Guido Vignelli

di Guido Vignelli

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zzjllrdIl paradossale rilancio della “teologia della liberazione”

Generalmente si pensa che, dopo la crisi delle ideologie e il crollo del Muro di Berlino, i movimenti politici o religiosi d’ispirazione socialcomunista siano ormai tramontati. In realtà, vi sono ideologie e movimenti che riescono a sopravvivere alle condanne e ai fallimenti, adattandosi alle mutate situazioni, trasformandosi e riproponendosi come se fossero nuovi e immacolati.

Fra questi, vi è la “teologia della liberazione” (d’ora in poi: TdL). Dopo la condanna ricevuta dalla Santa Sede e la smentita ricevuta dalla storia, questo movimento perse prestigio e influenza. Ma la fine dell’anticomunismo e la crisi economica mondiale gli hanno offerto una occasione di riproporsi come alternativa globale. Oggi la TdL, senza rinnegare le idee originarie, fa una parziale autocritica e si ripropone all’opinione pubblica cambiando paradigma, metodo e linguaggio, ossia riciclandosi in chiave ambientalista, psicoanalitica e tribale. Dopo aver tentato invano di suscitare una rivoluzione economico-politica suscitata dai movimenti di massa delle classi proletarie, oggi la TdL tenta di animare una rivoluzione psicologico-culturale basata sull’azione di gruppi emarginati o discriminati. In tal modo, essa s’inserisce nell’attuale passaggio storico dalla “terza Rivoluzione” (quella social-comunista) alla “quarta Rivoluzione” (quella ecologista e anarchica), come temeva 30 anni fa un suo grande oppositore: il prof. Plinio Corrêa de Oliveira.

Questi mutamenti hanno permesso alla TdL di riconciliarsi con la Santa Sede: lo dimostra l’appoggio ricevuto da cardinali di curia come Braz de Aviz, Maradiaga, Paglia e perfino Müller; lo confermano gli onori riservati al p. Gutiérrez e il recentissimo convegno di movimenti sovversivi latino-americani tenutosi in Vaticano. Il che solleva un dilemma imbarazzante. La Santa Sede ha riabilitato la TdL perché questa si è “normalizzata”, come sostengono alcuni vaticanisti? O all’inverso è la Santa Sede che si è “aggiornata” recependo le istanze della TdL, come sostengono alcuni suoi esponenti?

In ogni caso, come spiegare che questo movimento riesca a riciclarsi e rilanciarsi in una situazione apparentemente ostile? Possiamo spiegarlo solo inquadrandolo nel contesto dal quale nacque e si affermò e, prima ancora, risalendo alle sue origini, che sono più antiche e illustri di quanto si crede. Parimenti, solo colpendolo alle radici è possibile sradicare questa zizzania dal campo e impedire che soffochi nuovamente il buon grano. Non basta denunciare idee e metodi marxisti ieri usati dalla TdL; bisogna denunciarla così come oggi si presenta, liquidandone l’idea-matrice, il virus originario che ha prodotto l’infezione.

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Un saggio documentato e rivelatore

Appunto questo si è proposto di fare uno studioso peruviano in un suo libro, recentemente pubblicato in traduzione italiana, che affronta alle radici un problema da noi poco conosciuto, perché ci s’illude che riguardi solo l’America Latina.

Julio Loredo, giornalista, saggista e conferenziere, discende da un’antica famiglia spagnola, ma è nato in Perù, dove è stato tra i fondatori dell’associazione cattolica giovanile Tradición y Acción. Quest’associazione fu tra le prime a reagire al lancio della TdL in America Latina, diffondendo a Lima nel 1973 un saggio che si opponeva al ben noto libro del peruviano Gustavo Gutiérrez. La dura reazione del governo comunista costrinse quei giovani all’esilio in Colombia e in Brasile, dal quale continuarono a seguire il problema. Da molto tempo Loredo si è trasferito in Italia, dove difende la civiltà cristiana dirigendo l’associazione Tradizione Famiglia Proprietà e l’omonima rivista.

Il libro che ha pubblicato s’intitola Teologia della Liberazione: un salvagente di piombo per i poveri, edito da Cantagalli (Siena 2014, pp. 440, € 23). Esso ha carattere scientifico perché raccoglie i risultati di studi e ricerche “sul campo”, documentando idee e fatti ricorrendo alle fonti originarie; eppure è scritto con chiarezza e quindi si legge con una certa facilità, nonostante contenga non pochi errorini di traduzione italiana.

L’autore ammonisce che, contrariamente a quanto si crede, il problema della TdL consiste più nella sua perversa ideologia che nelle sue devastanti conseguenze sociali; pertanto egli si concentra nel descrivere e confutare il progetto religioso e politico del movimento. Il libro è diviso in due parti: la prima metà passa in rassegna le origini storiche e gli sviluppi politici della TdL; la seconda metà ne analizza le radici e le basi teologiche e filosofiche.

Secondo Loredo, per capire la TdL bisogna ripercorrere la “storia lunga e tribolata” dei movimenti politici e sociali cattolici lungo gl’interi secoli XIX e XX. Questa vicenda presuppone la grande questione del rapporto tra la Chiesa e il “mondo moderno” e parte dal problema di come reagire rispetto alla Rivoluzione Francese e alla conseguente secolarizzazione della società. L’autore quindi parte da lontano, ma lo fa per spiegare come mai l’impegno politico dei cattolici sia declinato fino a scomparire o a sottomettersi ai progetti sovversivi del nostro tempo.

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Le origini storico-politiche

Com’è noto, all’inizio prevalse la posizione intransigente, ossia contro-rivoluzionaria, che vedeva nella Rivoluzione il nemico da combattere per restaurare la civiltà cristiana; a questa posizione si oppose quella cattolico-democratica, che vedeva nella Rivoluzione un amico al quale allearsi per realizzare la civiltà antropocentrica; in mezzo si situò la posizione transigente, ossia cattolico-liberale, che vedeva nella Rivoluzione una occasione per riformare la Chiesa liberandola dai vincoli del temporalismo e del “clericalismo”. Col tempo la posizione cattolico-liberale, falsamente mediatrice, trasbordò i cattolici prima al democratismo e poi al socialismo, per cui la Rivoluzione fu accettata non più come “male minore” da arginare ma come “bene maggiore” da favorire.

Secondo Loredo, la TdL non è che l’ultima e più grave manifestazione storica di questo graduale ralliement del mondo cattolico alla Rivoluzione. I suoi teologi, infatti, vedono nei movimenti sovversivi terzomondisti le truppe che potranno imporre il “regno di Dio” sulla terra, facendo sì che la liberté e l’égalité rivoluzionarie si compiano nella fraternité, ossia nel solidarismo postmoderno. Ma ciò presuppone l’abbattere tutte le “tirannie e superstizioni” che ostacolano l’auto-liberazione del popolo: ossia le istituzioni non solo politiche (famiglia, proprietà, classe, Stato) ma anche religiose (dogma, morale, gerarchia, Chiesa).

A questo scopo, per ottenere il favore della gente semplice e l’approvazione dei moderati, la TdL si presenta come paladina del “popolo” e specialmente dei “poveri”. Ma Loredo avverte che, nella logica della TdL, “povero” è chiunque sia oppresso, emarginato o discriminato, ossia vittima di una diseguaglianza, e quindi possa impegnarsi nella rivolta rivoluzionaria; i “veri poveri” sono quelli che si ribellano alle autorità organizzandosi nei movimenti di liberazione, anche armati. Invece i poveri che restano pacifici, rispettosi dell’autorità, refrattari alla mobilitazione sovversiva, sono solo poveracci ignoranti, incoscienti, complici degli oppressori e quindi nemici dei “veri poveri”. Dunque, ciò che vale non sono tanto i poveri quanto la povertà, vista come energia potenzialmente sovversiva che quindi non va lenita ma anzi aggravata, allo scopo di alimentare quella universale rivolta esplosiva che produrrà il “salto di qualità”, il violento rovesciamento dalla oppressione alla liberazione. Questo spiega come mai, se conquista il potere, la TdL si disinteressa dei poveri per favorire i propri settari e burocrati.

Ma oggi che il proletariato si è imborghesito (non tanto economicamente quanto psicologicamente), chi sono i “nuovi poveri”, le “classi sfruttate”, i “proletari morali” potenzialmente rivoluzionari che la Tdl vuole non solo difendere ma anche imporre al potere? Nel mondo umano, sono i discriminati o emarginati nelle “periferie urbane o esistenziali”: ossia i gruppi etnici, le tribù indigene, gl’immigrati, i disoccupati, le donne, gli omosessuali, i disabili, i pazzi; nel mondo animale, sono le specie maltrattate od oppresse dall’uomo e l’intera Terra inquinata da tecnologia, produzione e consumo. Davvero un vasto campo di azione per gli agit-prop della nuova rivoluzione clericale!

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La matrice teologico-filosofica

Nella seconda metà del suo libro, Loredo amplia il discorso passando dalla radice storico-politica a quella filosofico-teologica della TdL. Qui il discorso si fa più difficile ma anche più interessante.

Secondo l’autore, l’errore radicale della TdL consiste in una eretica concezione di Dio, della divina Rivelazione e della Chiesa. Dio non è trascendente ma immanente, dunque si evolve nel tempo e nello spazio; la sua Rivelazione si manifesta non in una verità immutabile ma nella mutevole storia umana, a cominciare dall’ “evento” di un Cristo desacralizzato e secolarizzato; la sua Chiesa si realizza non in una società perfetta divinamente fondata ma nel “popolo di Dio” inteso come comunità fondata da poveri e ignoranti, animata dall’amore fraterno e solidale, dunque senza dogmi, leggi e istituzioni. Secondo la TdL, tale fu appunto la Chiesa delle origini e prim’ancora la comunità umana primitiva, composta da “buoni selvaggi”. Ma poi, per colpa di uno strano “peccato originale”, questo amore s’indebolì e gli uomini cominciarono a sentirsi estranei, a temersi e a difendersi, a cercare certezze e sicurezze, sottomettendo l’amore alla ragione, le passioni alla volontà, la spontaneità alla norma morale, la libertà alla legge giuridica, l’uguaglianza alle gerarchie religiose e politiche, infine la natura allo sfruttamento tecnologico produttivo. A questo scopo, l’umanità costruì strutture di separazione, disuguaglianza e potere: famiglia patriarcale, proprietà privata, classi, magistratura, esercito, Stato.

La TdL sostiene di avere la sacra missione di restaurare la comunità primitiva e la Chiesa delle origini, abbattendo le “strutture di peccato”, le leggi che le hanno imposte e i dogmi che le hanno giustificate. A questo scopo, i teologi devono liberare le classi oppresse dai loro pregiudizi (sia sociali che religiosi) togliendo a loro ogni remora morale all’imporsi con la violenza e la menzogna. Sì, anche con la menzogna: per quei teologi infatti la verità non è una rivelazione oggettiva né una scoperta soggettiva ma una creazione arbitraria, ossia una prassi finalizzata al successo, per cui è vero ciò che favorisce la sovversione e falso ciò che la ostacola. Il Magistero stesso della Chiesa è accettato solo se conferma le aspirazioni e le esigenze popolari, il governo ecclesiale solo se collabora all’azione liberatrice del movimento rivoluzionario.

Insomma: nel campo teorico, soggettivismo filosofico, immanentismo teologico, storicismo e relativismo dogmatico, pragmatismo morale, democratismo ecclesiale; nel campo pratico, pauperismo economico, rivoluzione politica e sovversione ecclesiale. Appare quindi evidente, commenta Loredo, che «l’uso dell’analisi marxista è quasi un “peccatuccio” di fronte a ben più gravi deviazioni teologiche e filosofiche» (pag. 17). Pertanto, il fatto che quell’analisi sia stata recentemente abbandonata dalla TdL non basta affatto a correggerne l’errata teoria e la colpevole prassi; il fatto che al metodo della violenza oggi sembri preferirsi quello del “gioco libero e gioioso”, come dice lo spagnolo Eugenio Fernández, non basta affatto a spegnere i timori di un espediente ingannevole e pericoloso.

A questo punto, Loredo dimostra che la grossolana e brutale TdL ha radici religiose sofisticate e prestigiose. Dalla “teologia liberale” di primo Ottocento e dal Modernismo d’inizio Novecento, si arriva fino alla nouvelle théologie condannata da Pio XII; fra le novità ecclesiali che hanno contribuito alla nascita della TdL, bisogna annoverare non solo la “teologia politica” di Chenu, Metz e Comblin e la “ecclesiologia democratica” di Congar e Küng, ma anche la “svolta antropologica” di Rahner e la teologia della storia di De Lubac e Daniélou. Non a caso, quasi tutti questi luminari hanno sempre difeso la TdL, anche dopo la condanna pontificia, perfino nei suoi fallimentari esperimenti politici come quello sandinista in Nicaragua.

Ciò dimostra che la TdL è un prodotto poco latino-americano e molto europeo. Per noi europei, ciò dev’essere motivo di autocritica e anche di timore: non sarà che, nel tentativo di superare la crisi del modello lib-lab dimostrata dal fallimento dell’Unione Europea, la nostrana intellighencja progressista, anche cattolica, sta rilanciando la TdL per illudere e sollevare la popolazione preoccupata dell’incerto futuro? Per evitare questo pericolo, libri come quello di Loredo sono utili sia come ammonimento sul passato che come incoraggiamento per l’avvenire.

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Julio Loredo – Teologia della Liberazione: un salvagente di piombo per i poveri – Ed. Cantagalli, Siena 2014, pp. 440, € 23,00

2 commenti su “La “teologia della liberazione”: un libro ne denuncia il pericoloso rilancio – di Guido Vignelli”

  1. Articolo molto interessante e quanto mai illuminante, perché ci fa capire che l’invasione in corso sarà perniciosa non solo perché ci porta masse di musulmani, ma anche perché gli immigrati di religione cristiana possono rivelarsi portatori di questa perniciosa dottrina, ovvero da essa facilmente indottrinabili da parte del clero progressista che cura l’accoglienza qui. Pertanto gli immigrati “cristiani” sarebbero diversamente pericolosi per noi.

  2. Luciano Garibaldi

    Ho la fortuna e il privilegio di conoscere da tempo l’Autore, Julio Loredo: un cristiano esemplare, un grande intellettuale, un propagandista della fede e della verità. Con questo suo nuovo lavoro ci fornisce importanti spunti di meditazione e ci indica la strada da seguire per non soccombere ai richiami del male.

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