La voce del padrone ti parla di femminicidio. Stacca la spina e usa il cervello

La sceneggiatura prontamente allestita intorno a un tragico fatto di ordinaria follia mostra tutta una sapienza organizzativa che le stesse comparse arruolate alla bisogna, volontariamente o meno, forse non sono neppure in grado di misurare: le une perché obnubilate da un successo inatteso quanto provvidenziale per il proprio ego in cerca di autore, le altre perché impigliate inconsapevolmente nella rete tesa dai programmatori.

Una volta c’era la antropologia criminale, figlia del positivismo ottocentesco, ad occuparsi del delitto e dei suoi autori variegati, condizionati dalle situazioni contingenti socioculturali o personali, oppure dalle caratteristiche psicofisiche, le cui gesta potevano rientrare nell’arco che va dalle patologie psichiche o psichiatriche alla esasperazione di stati emotivi e passionali, comuni a loro volta a soggetti considerati mentalmente normali o mentalmente deviati. Una evoluzione giuridica e filosofica esigeva che le leggi penali fossero applicate tenendo conto delle caratteristiche soggettive dell’autore, da vagliare caso per caso.

Infatti, ci sono distanze spesso siderali tra i delitti di Medea, di Gilles de Rais, veri o falsi che fossero, di Riccardo III, di Carlotta Corday, o di Otello. Ognuno esige una sistemazione concettuale a sè stante sotto ogni profilo.

C’era per questo persino la Psicopatologia Forense, famosa quella elaborata dal Musatti, che mirava a fornire elementi utili per lo studio delle diverse personalità che comparivano sulla scena processuale, e offrivano anche ai difensori gli strumenti per meglio organizzare in giudizio una difesa adeguata dell’imputato. 

Quegli studi si erano resi necessari da quando si era sentita la necessità di adeguare la pena al grado di responsabilità, ovvero alla capacità concreta di intendere e di volere specialmente degli autori di reati di sangue, e misurarne anche la eventuale pericolosità sociale. Il sistema penale si interessa insomma della punibilità del soggetto che commette l’atto delittuoso e che ne deve subire le conseguenze sanzionatorie, perché viene violato ad esempio il bene giuridicamente protetto della vita, indipendentemente da chi in concreto abbia subito l’offesa. Infatti, le vittime devono essere considerate tutte uguali, da quando il nostro mondo ha realizzato che la vita di uno schiavo vale quella di un uomo libero e non è possibile misurare la pena sul presunto valore di chi ha subito la violenza.

Non per nulla anche l’attenuazione di pena prevista per l’infanticidio è giustificata non da una diminuita considerazione del valore del neonato, ma dalle condizioni di menomato controllo psichico in cui versa la puerpera, in virtù delle tempeste ormonali post partum. E non è il caso di aprire qui il discorso sulla uccisione del feto che ci porterebbe troppo lontano. 

Questo concetto basilare della civiltà giuridica di cui ci siamo sentiti orgogliosi portatori, per cui ogni vita umana ha uguale valore, ha subito un mutamento inatteso piuttosto singolare quando qualche anno fa ha co9minciato a circolare il “femminicidio” quale fantomatica nuova figura da introdurre nell’ordinamento penale, e la lingua è stata arricchita da un neologismo che ha attecchito con velocità stupefacente. 

Eppure, la novità con tutto il suo sottosuolo ideologico, non ha turbato i sonni dei molti dormienti mediaticamente addomesticati, della cosiddetta società civile, fuori e dentro l’accademia, e tanto meno dei rappresentanti della nostra sedicente democrazia che hanno continuato a parlarne con convinzione a cuor leggero, forse più per ignoranza che per malafede. Incapaci tutti di realizzare che una volta introdotto un simile monstrum, e con esso un principio giuridicamente regressivo, si potrebbe stabilire qualunque punizione aggravata o alleviata in ragione delle qualità della vittima e non del fatto commesso. Qualità ad esempio razziali, culturali, ideologiche, esistenziali, religiose, e magari estetiche o economiche, perché la fantasia può mancare all’uomo normale, ma non manca mai allo stolto armato di potere.

In fondo, è lo stesso principio applicato oggi a Gaza sulla falsariga di quello applicato a suo tempo agli ascendenti degli attuali vendicatori senza macchia e senza paura, in una sorta di contrappasso rovesciato. Qui una pretesa esigenza moralmente compensativa, capace di tranquillizzare le coscienze più ottuse, viene soddisfatta attraverso quella che viene chiamata “guerra”, prescindendo dalla definizione canonica di “confronto tra parti armate contrapposte”, e copre eufemisticamente la sostanza di quanto una volta era chiamato “pogrom”, e risponde ora ad un preciso predefinito disegno “politico” di sterminio.

La digressione non è casuale. Nell’orgia della distruzione di ogni principio eticamente razionale, cioè teleologicamente orientato ad una equilibrata convivenza e promozione umana, ogni fraudolenta usurpazione di potere e di ragionevolezza si fa strada attraverso la inconsapevolezza generalizzata. Infatti, nella confusione indotta dalla manipolazione dei linguaggi e dal rovesciamento dei piani concettuali, possono lavorare alacremente le termiti che corrodono le coscienze e il buon senso, confondono i semplici per creare gli eserciti dei sempliciotti da spingere, come nella favola sempre attuale dei musicanti di Brema, nel buco nero del suicidio collettivo.

Ecco, dunque, come è nata la storiaccia del femminicidio, chimera che prepara la fabbrica diabolica di un mondo artificiale come i parchi Disneyland, in cui i nuovi umanoidi senza sesso e senza famiglia si aggireranno fustigati perennemente come in un girone dantesco dagli eunuchi al servizio del Potere.

Fuori di metafora, quella legge sciagurata era stata ideata già da anni perché preceduta e ispirata dalla grottesca Convenzione di Istanbul con cui gli Stati firmatari si impegnavano ad inserire nei rispettivi ordinamenti giuridici norme repressive della violenza di “genere”, dove il genere comprende femmine e omosessuali di varia specie, ma non il maschio acchiappafemmine, cioè quello per definizione mortificato da una natura matrigna.

La scelta del luogo era sintomatica, e serviva a giustificare, in ragione di certe restrizioni imposte alle donne nel mondo islamico, un impegno del tutto insensato da parte degli illuminati paesi occidentali, dove il principio di uguaglianza è consolidato ovunque da decenni, e le leggi tutelano tutti in eguale misura. Dunque, si impegnavano a stabilire una normativa eccezionale quanto inutile e giuridicamente incongrua, ma indispensabile, nella visione dei manipolatori di regime, per imbastire una vera e propria campagna culturale.

Infatti, la pietanza era pronta non solo per diffondere l’idea del femminicidio ma, sempre in attuazione della Convenzione di Istanbul, per portare anche nelle scuole, sotto le spoglie della lotta contro ogni forma di violenza di genere, la nuova ideologia genderomosessualista. Insomma, per “forgiare” fin dalla infanzia i cervelli morbidi e recettivi dei bambini non più educati da famiglie sfasciate e da genitori confusi ma ansiosi di “aggiornamento”, alla nuova cultura omofiliaca (di aggiornamento, del resto, parlava da tempo anche la Chiesa, dal Papa carismatico al parroco allevato nei seminari postconciliari). Si trattava di creare un cuneo ideologico capace di sfondare il recinto della educazione. 

Ci voleva una mente dinamica come quella di Renzi e delle femmine al suo seguito, perché il “Piano” venisse quindi inserito, con un gioco sapiente di rinvii, che dovevano passare inosservati al lettore frettoloso, dalle proposizioni della Convenzione nelle pieghe della sua “Buona Scuola”. Anche perché è “l’Europa che ce lo chiede”, ma prima ancora ce lo hanno chiesto le lobby angloamericane abitate da individui dai gusti aggiornati alla Epstein.

Senza contare il poderoso supporto dell’Oms, che si cura della nostra salute fisica, come sappiamo, ma soprattutto della salute mentale delle future generazioni, e per questo ha allestito a suo tempo il famoso piano per l’Educazione sessuale in Europa, dove ha fissato tutte le tappe cronologicamente definite della educazione sessuale. Questa deve cominciare, come è noto, a quattro anni con l’insegnamento della masturbazione, per proseguire con l’inoculazione di altre nozioni basilari per la crescita armoniosa dell’individuo, delle quali è bello tacere, ma che chiunque sia di stomaco robusto può andare a leggere.

Eppure, si continua a fare attenzione a quello che dice o non dice, fa o non fa l’Oms, come se si trattasse di una istituzione abitata da gente che può dire autorevolmente la sua in tante materie attinenti alla salute psicofisica del quivis de populo, e quindi operare per il bene comune.

Ora che sotto il paravento della fantomatica educazione sessuale, diventata ipocritamente e subdolamente “educazione all’affettività”, vi fosse tutta la macchina ben oleata dell’omosessualismo entrato con prepotenza nelle stanze del potere, avrebbe dovuto risultare chiaro anche ai non vedenti appisolati davanti alle sempre più invasive performances televisive senza limite di orario e di materia trattata. Ma l’assuefazione lenta al peggio come è noto fa miracoli, come fa miracoli la degenerazione indotta delle idee nascosta dietro le parole rispettabili e accattivanti. 

Insomma, nulla di questo smottamento continuo dalla normalità delle cose verso il suo innaturale rovesciamento, è avvenuto per caso. E il “Piano”, in senso letterale, è documentato e documentabile in ogni sua articolazione. Ed è il dato indispensabile da riconoscere per trovare un senso a quanto di insensato vediamo scorrere sotto i nostri occhi. Occorre riconoscere il meccanismo perché soltanto questo ci risparmia una inutile e del tutto fuorviante ricerca di ragioni giustificatrici. Perché l’insensatezza distruttiva non può trovare ragioni, ma solo spiegazioni. 

Inoltre, se c’è un piano in senso lato dietro a tutto ciò, come c’è, ci sono individui in carne ed ossa che lo studiano e lo organizzano. L’ignoranza di questo fenomeno ostacola la comprensione dei fatti e della loro manipolazione, creando quella realtà illusoria che neutralizza anche ogni possibilità di reazione.

In altre parole, bisogna smascherare i burattinai e a questo non serve il cui prodest, un criterio che per il fenomeno della eterogeneità dei fini può risultare fuorviante. Occorre invece, per capire la dinamica dei paradossi in cui siamo immersi, ricercarne le finalità, che con un po’ di buon senso è facile mettere a nudo. Ma occorre assemblare tutte le componenti del quadro. A partire dunque dalla forsennata campagna propagandistica dell’omosessualismo, e dalla sua altrettanto prepotente spinta a entrare nei luoghi dell’infanzia “perché a quattordici anni è già tardi”, come ebbe a dichiarare apertis verbis una lesbica militante e in carriera che si prodigava per la diffusione del proprio pensiero nell’ambito forense. 

Poi si deve mettere a fuoco l’alleanza ricercata da tali movimenti con il femminismo postsessantottino, quello dell’utero è mio e me lo gestisco io, che molti frutti ha prodotto per la dissoluzione della famiglia e la conseguente avanzata delle perversioni di ordine sessuale al cui controllo e contenimento era non per nulla destinato il pater familias. I movimenti omosessualisti fioriti negli Stati Uniti già a ridosso della seconda guerra mondiale si orientarono presto a stringere una solida alleanza con quelli femministi con i quali andavano felicemente a braccetto, perché entrambe le falangi armate potevano allearsi contro la virilità, già indebolita peraltro dalla retorica dei diritti e degli storti, e oggi tanto ridimensionata al punto che il più potente esercito del mondo deve ridurre gli organici per mancanza di personale adeguato.

In questo quadro di famiglia alla fine disturbato fondamentalmente proprio dalla figura del pater familias per le ragioni suddette, l’idea del femminicidio cascò dunque a fagiolo. Lo spunto lo offrivano, al tempo della agguerrita “islamofobia” che serviva a giustificare a suon di bombe massicce esportazioni di democrazia, le leggendarie violenze perpetrate nel mondo mediorientale sulle donne costrette a coprire “le parti belle” la cui vista in democrazia non si nega a nessuno e in nessun luogo. E ora che il ministero della difesa, in mano a un industriale particolarmente competente, mette l’esercito in stato di allerta, e da Sigonella partono aerei con carichi di morte a ritmi incalzanti, è il momento buono per questa nuova sacra rappresentazione, capace di far esplodere il grande problema ancora insoluto della questione femminile, come è noto a tutti e a Valditara più che a chiunque altro.

Si sfrutta la disgrazia per far sfilare plotoni di ragazzette che strillano contro la cultura patriarcale senza capire neppure il senso delle parole. Infatti, è proprio l’eventuale padre a consentire loro di fare e dire ogni sciocchezza e di esporre al pubblico tutte le grazie di cui dispongono, anche senza alcuna remora di tipo estetico e anche quando l’inverno suggerirebbe una maggiore prudenza espositiva. 

Confondono il regime costrittivo di cui non godono affatto, con i drammi della gelosia e dell’amore folle di cui forse sono a corto e di cui sentono la mancanza, o che forse non conoscono per mancanza di letture adeguate. Ignorano che da sempre esistono i drammi dell’amore tradito o disprezzato che sono tutta un’altra storia. Quei drammi per cui muoiono da secoli in scena o nei romanzi Desdemona, Carmen e Nastasija Filipovna e soffrono da morire Tatjana e Anna Karenina, o la Concetta surclassata da Angelica Sedara anche nel cuore di suo padre. 

Insomma, qualche malpensante potrebbe arrivare ad insinuare che quella violenza diffusa di cui si va blaterando e che di fatto non c’è, se da un lato serve ad intorbidare le acque, dall’altro crea anche e qualche disagio in quella femmina engagé che non riesce suo malgrado a vestire i panni di Santuzza e a trovare chi sia disposto a battersi e morire per lei. 

Che venga poi raccontata a suon di statistiche insignificanti e inutili una realtà giuridicamente e socialmente inesistente perché insignificante, lo dimostra del resto proprio il clamore suscitato ad arte intorno ad un evento tragico e isolato come tanti eventi tragici che fanno parte della vita umana e che meriterebbe di essere preservato da pudico e decoroso silenzio.

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