di Piero Nicola
Già, dicono d’avercela fatta e ci stanno incantando, però mettendo nel sacco anche sé stessi. Siccome le cose non cambiano, i nodi verranno al pettine e, questa volta, loro rischiano grosso, non solo la poltrona.
Mi riferisco alla facoltà concessa all’Italia di beneficiare di prestiti europei da spendere in lavori pubblici, o meglio, per infrastrutture di interesse europeo. E per questo impiego di capitali potremo oltrepassare il limite del 3% del pil relativamente al debito pubblico.
Ma le condizioni? Se mi dicono: “ti do del denaro, ma devi spenderlo così e così, e se contrai un altro debito – non importa che sia garantito dai tuoi beni – ti bastono”, se mi impongono queste clausole, ai proponenti faccio uno sberleffo.
Infatti, i signori della Comunità Europea si sono premurati di chiarire – forse temendo che ci vantassimo troppo e acquistassimo troppo credito sui mercati – che qualora a novembre il disavanzo finanziario statale resti al 2,9% del prodotto interno lordo, non sarà possibile fare spese extra o diminuire le tasse previste; sicché la pressione fiscale sulle imprese dovrà restare invariata o aumenterà ancora.
Perciò, addio blocco dell’IVA al 21%, addio abolizione dell’IMU, e si sarà fatto il contrario di quel che urgeva fare lasciando aziende e lavoro nella crisi nera; si sarà dato il colpo grazia all’economia italiana, all’occupazione italiana, alla famiglia italiana.
Quanto ai promessi soldi da investire in opere pubbliche, se tutto va bene, ci saranno nel 2014, forse a tempo scaduto per riprendersi.
Caso strano, il giorno prima della lieta novella, il ministro dell’Economia e delle Finanze è venuto in televisione a parlare di segni positivi che fanno prevedere una ripresa e il miglioramento dei conti pubblici. Non c’è bisogno di ricordare le fallite buone previsioni del suo predecessore Grilli per non credere una parola. Persino il Presidente di Confindustria si è affrettato a smentire Saccomanni. Sennonché adesso il blando Squinzi al vanto del capo del governo ha aggiustato un’eco prudente, compresa qualche aggiunta che i giornalisti si sono curati di tagliar via.
E come frenare il proficuo ottimismo, in questo momento?!
Ma il benevolo coro degli scrupolosi del bene pubblico va dai sindacati della vecchia triade agli esponenti del Pdl, che si sono accontentati di dire che non basta. Altro che, se non basta! Si sta curando il cancro con l’aspirina! Per non dire del ministro degli interni e vicepresidente del Consiglio e presidente del Pdl, la cui gioconda leggerezza è ormai proverbiale. E quando recita la parte giusta per imbeccata dal suo superiore e per uno scrollone ricevuto, si vede lontano un miglio che recita.
Berlusconi ha taciuto. Lui, qualche volta spiattella ciò che va spiattellato. Poco tempo fa, quasi tra il serio e il faceto, ha invitato i governanti a osare lo sforamento del fatidico 3%, cui si deve l’austerità, vale a dire la causa della miseria giunta a buon punto, quasi al punto di non ritorno. Intanto – diceva il Cavaliere – che cosa ci fanno? Non gli conviene castigarci né cacciarci, anche perché diamo più contributi all’Europa di quelli che riceviamo da lei.
Il Cavaliere teme che, pestando i piedi, si rompa il pavimento e possa finire di sotto. E poi, non è lui quello che fa la politica secondo i sondaggi di opinione, come se si trattasse di vendere un dentifricio? Negare che il governo abbia ottenuto un bel risultato, e magari gridare alla follia che stravede e non vuol vedere che la casa sta prendendo fuoco, ora sarebbe un azzardo sconsiderato: la gente non è pronta a strigliare i responsabili, che godono ancora di alte percentuali di consenso. Invece il popolo ama il coraggio, gli energici, i domatori di leoni – anche se non lo crede – e gli piace vederci chiaro. Ma chi può dire che cosa ci sia sotto o dietro o sopra le azioni dei politici?
La lentezza, le incertezze, le discordie, il patetico slogan del decreto del fare, che non faceva quasi nulla quando bisognava dare una svolta decisiva, facevano presagire lo scoppio di illusione, e questa adesso è il peggio.
È sbagliata l’austerity, sono inique le condizioni concordate a Maastricht per la moneta unica? Non si tratta di questo. È sbagliata questa moneta unica in un Europa necessariamente e tuttavia multinazionale, multistatale; è balorda l’idea che sia possibile contenere la spesa pubblica e l’intervento dello Stato sull’assetto social-economico, dovendo sottomettersi alla speculazione internazionale e alla globalizzazione. Tutto sbagliato, tutto da rifare… pena una miserevole e inarrestabile decadenza. Forse la riforma richiederebbe un’impresa troppo grande e sarebbe esagerato pretenderla, ma, come in ogni campo, se non si ha in vista la realtà e la verità, se non ci si regola su quelle, il disastro procede nei miraggi.