Legge elettorale: il triplice imbroglio dei falsi democratici – di Roberto Pecchioli

di Roberto Pecchioli

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Il dibattito sulla legge elettorale è fatto apposta per allontanare il grande pubblico; gli argomenti considerati “tecnici” non appassionano, sono noiosi, hanno bisogno di troppe spiegazioni e, pensano i più, non cambiano la sostanza delle cose. Errore gravissimo, su cui campano ed ingrassano gli imbroglioni, categoria sempre più numerosa e ampiamente maggioritaria in politica. Come abbiamo sostenuto in altri interventi, nessuna procedura tecnica è neutra, ma risponde sempre a criteri di interesse e tornaconto per qualcuno, massimamente quando si tratta delle modalità dell’evento centrale della sedicente democrazia, ovvero le elezioni. Inoltre vale più che mai, in materia, il detto anglosassone “follow the money”, segui il denaro.

L’attuale vicenda della legge elettorale ne è la perfetta dimostrazione. Tralasciamo gli antefatti, le pronunzie della Corte Costituzionale e mettiamo da parte anche l’evidenza che la legislatura corrente – e morente – è viziata ab initio dall’ incostituzionalità manifesta, sentenziata da oltre tre anni, delle regole elettorali che hanno consegnato un’impressionante maggioranza di seggi alla Camera (il 60 per cento) all’alleanza capitanata dal PD il cui consenso fu inferiore al 30 per cento. Delizie del Porcellum ideato da Roberto Calderoli per eternare due coalizioni obbligatorie, la destra e la sinistra del sistema neoliberale, saltato in aria per l’effetto Cinque Stelle. Limitiamoci ai fatti più recenti, per affermare senza tema di smentita che siamo dinanzi ad un triplice imbroglio.

Non è, ovviamente, un problema solo italiano. Nel tempo della globalizzazione e del mercatismo, le elezioni sono un fastidio, un intoppo, un passaggio che non può (ancora) essere eluso od eliminato. Il popolo non capirebbe, o meglio realizzerebbe in un attimo di essere ingannato, si è affezionato alla credenza ingenua di essere il decisore, persino il sovrano di cui parlano le costituzioni. Lo ammettono con franchezza gli esponenti dell’oligarchia tecnica, come Mario Monti o Piercarlo Padoan, preoccupati – bontà loro – delle ricadute delle turbolenze elettorali sull’amato mondo economico finanziario. Sì, perché il popolo, quell’impertinente, si permette talvolta di non pensarla come dovrebbe, cioè come desiderano lorsignori. E’ quasi d’obbligo la citazione di Dario Fo, il giullare del Mistero buffo: “Sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re, fa male al re e all’imperatore”. Dobbiamo amare le nostre catene, anzi stringerle spontaneamente ogni giorno di più. Zarathustra fu chiaroveggente, descrivendo gli “ultimi uomini”: Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono uguali: chi sente diversamente, se ne va da sé al manicomio.  Oppure, con linguaggio meno immaginifico, Wolfgang Goethe nelle Affinità elettive: nessuno è più schiavo di colui che si crede libero senza esserlo.

Il sistema, però, sa difendersi e riprodursi assai bene, e, in base alla supremazia delle procedure sulla sostanza (John Rawls, Norberto Bobbio) ha risolto il problema: il punto debole della democrazia parlamentare rappresentativa è, guarda un po’, la rappresentanza, dunque va abolita o almeno fortemente compressa. Nasce da questo la preferenza neo liberale per i sistemi elettorali maggioritari rispetto a quelli proporzionali. Vale la pena di spiegare il concetto, per quanto sembri un arido tecnicismo da saltare a piè pari, mentre è il nocciolo della questione. Secondo i teorici del neoliberalismo, le elezioni si fanno solo per nominare un governo, o, per usare il loro lessico, un’amministrazione.

Dunque, la procedura – questa nascosta servitrice del Potere – deve prevedere che i voti non si contino, ma, come nei consigli d’amministrazione, si pesino. Quindi, si impedisce la semplice presenza di oppositori al sistema con regole e meccanismi preliminari complessi, costosi e rischiosi anche dal punto di vista della legge penale: raccolta di migliaia e migliaia di firme certificate, deposito di simboli , carta bollata in quantità ed altro. Dopodiché si organizza il voto dividendo la popolazione in innumerevoli collegi elettorali, prevedendo che in ciascuno venga eletto il candidato che prende un voto più degli altri: è il sistema maggioritario puro, di matrice anglosassone, per cui, ad esempio, in Inghilterra, i governi sono l’espressione di non più del 40 per cento degli elettori. La minoranza, purché organizzata, vince, ed è già un bel salto logico rispetto al concetto classico di democrazia. In Gran Bretagna, il partito liberale ottiene in media solo qualche decina di deputati pur contando su circa il 20 per cento dei voti. I voti liberali “pesano” pertanto molto meno di quelli laburisti e conservatori. Sistema analogo, con aggravante, è quello francese, maggioritario a doppio turno, per cui chi non è in grado di costituire ampie alleanze non ottiene alcuna rappresentanza, ed è il caso del Front National.

Altrove, si preferisce imporre sbarramenti di voti, sotto i quali non si ottiene alcun seggio parlamentare, come il 5 per cento del metodo tedesco che stiamo per adottare. Poiché l’intero corpo elettorale italiano è di circa 50 milioni di persone, si tratta di negare valore e rappresentanza alle convinzioni di milioni di cittadini. Una lista che fallisse per un voto la soglia del 5 per cento sarebbe stata votata, più o meno, da due milioni di italiani. La chiamano democrazia, e la giustificazione è la solita: ci vuole stabilità, i piccoli partiti sono un problema, e Silvio Berlusconi, la cui sincerità migliora con l’età, ha detto chiaro e tondo che, fosse per lui, eleverebbe lo sbarramento all’8 per cento, ovvero escluderebbe con gioia dal parlamento movimenti il cui consenso sfiora i tre milioni. Credete ancora nella neutralità “tecnica” delle leggi elettorali? Siete ancora convinti di vivere in un sistema democratico, o cominciate a pensare che avesse ragione  Solženicyn quando, esule in America dopo anni di carcere e repressione sovietica, affermò che non vi era poi una gran differenza tra i divieti espliciti (URSS) e, come disse, lo spegnimento dei microfoni da cui parlare (Occidente)?

Dunque, l’imbroglio e la menzogna sono nel cuore del sistema, sono il sistema, in cui si è liberi di pensare in modi diversi le stesse cose. Per i ribelli ed i dissenzienti, non c’è la Siberia, ma la proscrizione, l’esclusione, i microfoni negati o spenti, e l’ingresso nei parlamenti impedito nei fatti con espedienti legali, legalissimi. Tanto, le leggi le fanno loro.

Nel merito della vicenda italiana, diciamo la nostra in tre punti. Primo argomento: dopo anni di melina, interminabili discussioni e nessuna proposta concreta, adesso sono tutti d’accordo su un finto sistema proporzionale detto alla tedesca, e corrono a perdifiato per approvare la nuova legge e chiudere entro l’estate questa triste legislatura. Motivo principale, oltre la fretta di Matteo Renzi di recuperare protagonismo e centro della scena, è che nei prossimi mesi deve essere scritta, sotto dettatura di Bruxelles (Unione Europea) e Francoforte (Banca Centrale) una legge di bilancio fatta di tagli alle spese sociali e nuove tasse. In contemporanea, devono essere reperite somme ingenti – venti miliardi al minimo – per salvare il sistema bancario, ovvero per socializzare le perdite di una banda di incapaci e/o disonesti, dopo che costoro hanno privatizzato profitti e privilegi.

C’è di più: nel 2018 in base ad accordi pregressi stipulati dal governo Renzi, il rottamatore dell’Italia, scatterà automaticamente un pesantissimo aumento dell’IVA, dal 22 al 25 per cento l’aliquota ordinaria, di un punto e mezzo quella agevolata, che dal 10 balzerà al 13 per cento entro il 2020. Una mazzata potente ai consumi, alle imprese ed innanzitutto al portafogli di ciascuno di noi, giacché ogni bene o servizio costerà almeno il due per cento in più. Ovvio che il PD al governo non voglia andare ad elezioni subito dopo il bagno di sangue; meno ovvio che le altre forze politiche gli tengano bordone, ma chi aspira al governo sa di avere margini di decisione ristrettissimi e preferisce ingannare gli elettori e, incassati i voti, ripetere il consueto mantra. Ce lo chiede/impone l’Europa, non possiamo farci nulla, era già tutto previsto e deciso, è la governance, bellezza. Passata la festa (se festa è) gabbato lo santo…

Intanto, i riflessivi e responsabili ci avvertono ogni dì che i mercati votano tutti i giorni e che occorre la stabilità (cioè che non si possono fare scelte politiche, ma andare avanti con il pilota automatico della tecnocrazia e della finanza regina), ricordano che gli speculatori si scateneranno per mesi, si alzerà il terribile spread, gli indici di borsa saranno negativi, Moody’s, Standard & Poors e Fitch (le agenzie di rating) faranno il loro sporco e niente affatto tecnico lavoro di valutazione per conto dei loro padroni – i soliti mercati – e il nuovo governo sarà nei pasticci più di prima. Conclusione: una bella grande coalizione di governo che, allargando le braccia e sospirando davanti all’ineluttabile, stringerà ulteriormente il cappio al collo degli italiani, per conto dei soliti noti di Bruxelles, Francoforte e New York. In contemporanea, anche in Germania Frau Merkel guiderà un altro governo allargato ai socialdemocratici, mentre Macron già da mesi avrà realizzato a Parigi il governissimo di destrasinistracentro.

Lo scenario è questo, ma non si tratta che del primo imbroglio, quello destinato a mettere nel sacco il corpo elettorale a breve termine, neutralizzando eventuali oppositori sopravvissuti alla caccia grossa mediatica: populisti, fascisti, comunisti, vade retro Satana, ed il giochetto funziona sempre!

Gli altri due attengono alla sfera dei principi, dunque sono un po’ meno visibili, ma altrettanto importanti. Si tratta, da un lato, di leggi elettorali disegnate per favorire nell’immediato le forze politiche esistenti e più forti, e non certo per realizzare una cornice istituzionale corretta, dall’altra, come accennato, la neutralizzazione delle alternative, quindi una sorta di dichiarazione di eternità del sistema vigente per negazione del principio democratico, che è, ci insegnano, la rappresentanza concreta delle idee e degli interessi realmente esistenti. La Carta del 1948 dispose giustamente un sistema proporzionale pressoché puro, poi, caduta la prima repubblica, si passò al sistema maggioritario (venne detto Mattarellum perché ne fu l’architetto proprio Sergio Mattarella, l’attuale capo dello Stato) che, secondo il nuovo verbo neoliberale, meglio corrispondeva alla stabilità, questo bene tanto prezioso il cui significato reale è l’abolizione o l’impotenza delle idee non conformi. La presenza di due coalizioni relativamente coese fu la levatrice della successiva legge con spropositato premio di maggioranza, sempre in omaggio a Sua Maestà Stabilità. Poi arrivò Grillo a guastare la festa con il suo abbondante 20 per cento nel 2013, e fummo daccapo. La legge che sta per nascere sarà dunque la quarta dal 1994: un pessimo servizio alla stessa stabilità, ma sicuramente il contrario della democrazia.

Eh sì, poiché il sistema della democrazia rappresentativa si fonda, come dice la parola, sulla rappresentanza, che è di fatto negata, o almeno fortemente affievolita da qualunque sistema maggioritario. Nello specifico, poi, al netto di eventuali cambiamenti in corso d’opera, il sistema prescelto dai caporioni di PD, Cinque Stelle, Forza Italia, con la partecipazione attiva di quasi tutti gli altri attori non protagonisti, non è affatto proporzionale, giacché per metà i seggi verranno attribuiti al candidato della lista meglio piazzata in ciascun collegio, e solo per l’altra metà divisi tra chi avrà conquistato il magico cinque per cento. Dunque, con lo stesso numero di voti, il meccanismo assegnerà più seggi a chi è forte in alcune zone e magari assente altrove rispetto a chi avrà conseguito una rappresentanza omogenea in tutta la nazione. Un esempio? Con circa 170.000 voti, la SVP, il partito degli altoatesini di lingua tedesca avrà almeno due seggi, forse tre alla Camera, il movimento X fermo al 4,99 per cento su base nazionale – ripetiamo, quasi due milioni di voti – non varcherà la soglia di Montecitorio.

In giovinezza, alcuni di noi cantavano “Democrazia, democrazia, è cosa vostra e non è mia”. Un altro verso gridava “democrazia in quanto ché comandate voi”. L’esito pratico di tutta l’operazione sarà, verosimilmente, la corsa di molti movimenti e partiti a formare liste aggregate all’unico scopo di scavalcare l’ostacolo del 5 per cento, per poi dividersi inevitabilmente in parlamento dopo il voto. Un inganno nell’inganno, o, come direbbero i sociologi, un epifenomeno all’interno del fenomeno della finta ricomposizione politica.

Un altro effetto sarà quello di impedire la rappresentanza ad ogni voce davvero dissenziente rispetto all’esistente, ma è esattamente ciò che vogliono lorsignori. Non a caso, meccanismi e procedure sono costruite attentamente affinché il risultato sia quello precostituito e voluto da chi distribuisce la carte, che, ribadiamolo sino alla sfinimento, non è la politica, nazionale o estera, ma l’oligarchia finanziaria ed industriale globalitaria che ha privatizzato il mondo, ed è quindi proprietaria anche del sistema politico. Poiché il gioco non è più gradito a molti, e le crepe del sistema sono evidenti, la soluzione è pronta, l’uovo di Colombo: un colpetto in basso ed il meccanismo torna in piedi. Le componenti del sistema politico, la destra, il centro e la sinistra del cerchio magico – un giorno la gente scoprirà che i cerchi non hanno destra e sinistra, tutto dipende dalla posizione dell’osservatore – si uniscono ed il gioco, una volta ancora, sarà fatto.

Così funziona da un decennio in Germania, ma anche in Francia, ed in Belgio, in Olanda, tutto sommato anche in Spagna dove i sedicenti socialisti permettono la sopravvivenza del governo dei sedicenti popolari. L’Italia seguirà, con grande entusiasmo dei mercati, l’applauso della grande stampa che, ci scommettiamo, troverà dei pregi persino in Berlusconi, se parteciperà all’allegra brigata.

Allegria di naufraghi, poiché anche il popolo italiano, o ciò che ne resta, sarà felice. Le catene si stringeranno ulteriormente, ma, che volete, ce lo chiede l’Europa, e poi, perbacco, there is no alternative, non c’è alternativa!

5 commenti su “Legge elettorale: il triplice imbroglio dei falsi democratici – di Roberto Pecchioli”

  1. Se si arrivasse a proporre uno sbarramento all’otto, la stessa FI forse non riuscirebbe a raggiugere il quorum dopo la perdita di consensi con la rielezione di Napolitano prima e il sostegno a Renzi poi. I sistemi elettorali sono come la cucina, basta avere ingredienti scadenti o sbagliare la cottura e il risultato cambia. Quello che ci propongono avrebbe bisogno di robusti correttivi che nessuna forza politica vuole mettere sul piatto. Come prima cosa sarebbe utile il voto disgiunto per favorire il candidato meno peggio nel collegio. Poi nel rispetto degli elettori bisognerebbe prevedere, come gia’ esiste in alcuni ordinamenti, una seconda indicazione di partito nel caso che il proprio non raggiungesse il quorum. I sistemi maggioritari in una societa’ divisa avvantaggiano un leader carismatico ma non risolvono i problemi. Quando il leader non c’e’ si crea, come il caso francese. L’elite sceglie chi comanda, il popolo ratifica cio’ che e’ gia stato deciso. E la chiamano democrazia.

  2. Stefano Mulliri

    Bene oggi è la solennità di Pentecoste, e quindi ci auguriamo , che Lo Spirito Santo possa illuminare le menti di chi deve governare. Ma siccome dubito assai che costoro “Illuminati” vogliano farsi illuminare dallo Spirito Santo, spero che almeno ne fulmini qualcuno.

    Buona festa a tutti.

  3. se non si hanno le idee ‘giuste’ si va in galera per anni anche in Italia con la legge Mancino, con quella che punisce opinioni non ‘in regola’ su certi aspetti della seconda guerra mondiale, tra poco anche per affermazioni ritenute ‘omofobiche’. L’inadeguatezza della classe dirigente dei partiti di destra si coglie dal fatto che nessuno propone l’abolizione della legge Mancino e delle altre due leggi sopramenzionate.

    1. Bravo Antonio, concordo. Almeno usassero la Mancino contro gli imam che tuonano odio nelle moschee italiane: “È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni”. Basterebbe applicare questa legge anziché allo storico che cerca di fare onestamente il suo lavoro, al religioso mussulmano che istiga i suoi correligionari alla violenza “contro i crociati”.

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