L’inflessibilità: uno spettro che si aggira per l’Europa  –  di Clemente Sparaco

In questo mondo, in cui l’unità di misura della purezza è la capacità di partecipare al gioco consumistico, la libertà è ridotta ad un carrello della spesa da riempire in un supermarket. Il pensiero neoliberista classico, che la fa da padrone, richiede la flessibilizzazione del lavoro, la privatizzazione per assecondare i mercati e la totale deferenza verso il capitale finanziario che utilizza l’euro e che vuole a capo dei governi politici che si adattino ad essere pedine di un gioco più grande di loro e dei Paesi che dovrebbero rappresentare.

 di Clemente Sparaco

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zzevsrfsclL’intolleranza, a dispetto di quanto si ostenti, fa parte integrante dell’Europa di oggi, anche se ha cambiato forma e stile. Guai a parlarne in senso etico-politico, ma a livello economico, una volta assegnatole il nome di inflessibilità, diventa qualcosa di positivo, per alcuni addirittura una bandiera ideologica. In ambito morale sembra diverso, perché si inneggia alla flessibilità, anche se si preferisce chiamarla tolleranza.

La tolleranza è un valore assoluto e non è nemmeno pensabile eccepire. Che tutti debbano vedere riconosciuta la libertà di essere e porsi autonomamente in conseguenza delle proprie scelte è semplicemente fuori discussione. Anzi, i confini della tolleranza e della flessibilità si spingono sempre più in là verso nuove frontiere dell’ethos e del diritto. Basta con le rigidità che importano discriminazioni nei confronti delle donne, dei seguaci di altre religioni, degli immigrati, degli omosessuali e dei diversi di ogni genere! Nessun appello, quindi, all’unità, ma, semmai, alla diversità, nessun appello alla stabilità, ma, semmai, all’oscillazione, nessuna difesa della legge naturale, ma, semmai, l’erosione dello stesso principio di natura (e, quindi, di genere).

Il pluralismo democratico semplicemente non tollera intolleranze!

In ambito economico, il discorso sembra diverso, perché l’inflessibilità è brandita come sinonimo di rigore, di trasparenza di bilancio e di efficienza. Un sistema economico produttivo, che sappia guardare al futuro e prepararlo, deve essere inflessibile (ad esempio contro l’evasione fiscale). All’opposto, la flessibilità introduce una variabile che rischia di scompaginare il quadro con elementi di disordine finanziario e morale. Dietro di essa si nasconde il cancro economico del debito pubblico, il difetto di fondo di un pareggio di bilancio eluso, il non rispetto di quei parametri che sono diventati la linea nemmeno tanto sottile che separa i virtuosi dagli inottemperanti, gli impeccabili dai sanzionabili, i vincitori dai vinti.

L’inflessibilità regola il rapporto tra gli Stati e gli individui, ingenerando una nuova intolleranza che non ci si arrischia a definire tale. I mercati, le burocrazie, la finanza non concedono dilazioni. Guai agli Stati che vi dovessero incorrere! Sono come appestati economici verso cui adottare un protocollo di isolamento. Pressioni di carattere morale, politico, economico, finanziario, sono, quindi, lecitamente concesse ed esercitate. Manovre speculative sono avviate chirurgicamente ad estirpare il bubbone maligno della morosità. La sovranità di quei Paesi è sospesa e popoli interi sono diffidati o resi sudditi di altri in attesa che saldino il conto.

E questo inesorabile meccanismo si ripete all’interno degli Stati. Verso chi non paga nessuna pietà! Sei “un contribuente da vessare, e della peggior specie: sei uno sporco evasore. Sei un ladro. Sei un bastardo. Poco importa se hai dichiarato tutto, ma non avevi i mezzi per pagare, per poter mangiare e mandare avanti l’attività. Rimani un rifiuto della società. Per la massa sei un delinquente. E ti meriti la gogna, ti meriti la fame” (Araba Fenice – www.lintraprendente.it). I suicidi per debito si moltiplicano e un’inquietante contabilità viene aggiornata ogni giorno sui quotidiani. Ma non basta, perché la stessa inflessibilità è ingiunta ai giovani lasciati inattivi e senza speranza, ai pensionati sospinti al limite della sopravvivenza, ai piccoli risparmiatori espropriati dei risparmi di una vita.

In questo mondo, in cui l’unità di misura della purezza è la capacità di partecipare al gioco consumistico, la libertà è ridotta ad un carrello della spesa da riempire in un supermarket. Il pensiero neoliberista classico,che la fa da padrone, richiede la flessibilizzazione del lavoro, la privatizzazione per assecondare i mercati e la totale deferenza verso il capitale finanziario che utilizza l’euro e che vuole a capo dei governi politici che si adattino ad essere pedine di un gioco più grande di loro e dei Paesi che dovrebbero rappresentare.

Quanto alla morale, essa non è nulla più ormai che la disposizione del consumatore pronto a cogliere le opportunità del momento, i saldi di fine stagione. Non contano i valori e i credo inflessibili sono arnesi disutili ed ingombranti: niente più remore o principi, nessun sacrificio e nessuna ribellione alle ingiustizie, nessuna rottura dell’omertà indifferente. Tutto va bene, purché, si circoli e si compri non indugiando a considerare i volti né curandosi degli sguardi incerti. Gli uomini sono atomi di consumo senza patria, senza memoria e senza identità.

Non c’è contraddizione, quindi, se nell’Europa di oggi si difenda l’autodeterminazione della donna e si seppelliscano i feti abortiti fra i rifiuti speciali, si difenda il diritto dei gay al matrimonio e si attui una campagna iconoclasta e distruttiva contro la famiglia naturale, contro la sessualità etero, ci si mostri tolleranti verso tutte le religioni, ma ci si trasformi in violenti, repulsivi, e blasfemi nei confronti del Cristianesimo,si proclamino solennemente i diritti inviolabili dei rifugiati e dei richiedenti asilo e si dimostri – come ha scritto Vittorio Feltri – “una gelida insensibilità verso i poveri del Sud”, verso i morti di Lampedusa o di Pozzallo.

Irretita nella sua logica tecnocratica l’Europa è un mero sistema di convenienze, un’accozzaglia burocratica, dominata da un egoismo tanto inflessibile quanto crudele.

2 commenti su “L’inflessibilità: uno spettro che si aggira per l’Europa  –  di Clemente Sparaco”

  1. Son d’accordissimo con quanto scritto e vorrei parlare un momento del governo Berlusconi, per l’appunto quello che ha promosso quell’orribile spot contro chi non paga le tasse. Cominciando dallo spot, è uscito in agosto 2011, quindi promosso dal governo Berlusconi, quello che doveva abbassare le tasse, diceva che le tasse servono per pagare le scule, la sanità ecc., ma non faceva cenno a tutti i privilegi della casta, ai 9 uomini di scorta a Fini con stanze in albergo prenotate per 3 mesi a spese nostre. Il ministro Brunetta aveva cominciato a rivoluzionare la p.a. dal basso, gli assenteisti giusto, ma on aveva fatto cenno agli assenteisti del parlamento, degli stipendi di barberi, stenografi e quant’altro.
    Un giorno sono stata invitata ad un incontro per parlare del federalismo fiscale, relatore Enrico la Loggia e da esponente del governo che voleva abbassare le tasse, dice che un buon padre di famiglia se guadagna 1000 euro al mese sa che non potrà andare spesso a cena fuori; lo stato invece prima fissa gli standard, poi se non gli bastano i soldi i sindaci possono andare dai loro cittadini, purtroppo potrebbero anche essere elettori del suo partito e dire: vedi bisogna che tu paghi un pochino di più! a questo punto mi soo alzata e sono andata via, non lo sopportavo, specie perchè io avevo votato quel partito. Poi si stupiscono se non li votano più-

  2. Si e’ capovolta la ragione. Con la complicita’ determinante dei cattolici ( vescovi, sacerdoti, fedeli……..). Un tempo, la Chiesa era rigida (giustamente) riguardo alla morale e possibilista per quanto concerne le formule economiche. Oggi, al contrario, vige il massimo lassismo a livello morale e una ferrea regola in materia finanziaria. Guai a sforare il deficit, ma via libera ai piu’ sfrenati esibizionismi. Brutta piega. Ripeto, favorita dall’ inerzia cattolica, esplosa dopo il Vaticano II.

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